Lettera Apostolica “Una fedeltà che genera futuro” del Santo Padre Leone XIV
in occasione del LX Anniversario dei Decreti Conciliari Optatam Totius e Presbyterorum Ordinis
1. Una fedeltà che genera futuro è ciò a cui i presbiteri sono chiamati anche oggi, nella consapevolezza che perseverare nella missione apostolica ci offre la possibilità di interrogarci sul futuro del ministero e di aiutare altri ad avvertire la gioia della vocazione presbiterale. Il 60° anniversario del Concilio Vaticano II, che ricorre in questo Anno giubilare, ci dà l’occasione di contemplare nuovamente il dono di questa fedeltà feconda, ricordando gli insegnamenti dei Decreti Optatam totius e Presbyterorum Ordinis, promulgati rispettivamente il 28 ottobre e il 7 dicembre del 1965. Si tratta di due testi nati da un unico respiro della Chiesa, che si sente chiamata a essere segno e strumento d’unità per tutti i popoli e interpellata a rinnovarsi, consapevole che «l’auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo».[1]
2. Non celebriamo un anniversario di carta! Entrambi i documenti, infatti, si fondano saldamente sulla comprensione della Chiesa come Popolo di Dio pellegrinante nella storia e costituiscono una pietra miliare della riflessione circa la natura e la missione del ministero pastorale e la preparazione ad esso, conservando nel tempo grande freschezza e attualità. Invito, pertanto, a continuare la lettura di questi testi in seno alle comunità cristiane e il loro studio, in particolare nei Seminari e in tutti gli ambienti di preparazione e formazione al ministero ordinato.
3. I Decreti Optatam totius e Presbyterorum Ordinis, ben collocati nel solco della Tradizione dottrinale della Chiesa sul sacramento dell’Ordine, posero all’attenzione del Concilio la riflessione sul sacerdozio ministeriale e fecero emergere la cura dell’assise conciliare verso i sacerdoti. L’intento era quello di elaborare i presupposti necessari per formare le future generazioni di presbiteri secondo il rinnovamento promosso dal Concilio, tenendo salda l’identità ministeriale e al tempo stesso evidenziando nuove prospettive che integrassero la riflessione precedente, nell’ottica di un sano sviluppo dottrinale.[2] Bisogna, quindi, farne una memoria viva, rispondendo all’appello a cogliere il mandato che questi Decreti hanno consegnato a tutta la Chiesa: rinvigorire sempre e ogni giorno il ministero presbiterale, attingendo forza dalla sua radice, che è il legame tra Cristo e la Chiesa, per essere, insieme a tutti i fedeli e a loro servizio, discepoli missionari secondo il suo Cuore.
4. Al contempo, nei sei decenni trascorsi dal Concilio, l’umanità ha vissuto e sta vivendo cambiamenti che richiedono costante verifica del cammino percorso e coerente attualizzazione degli insegnamenti conciliari. Di pari passo, in questi anni la Chiesa, è stata condotta dallo Spirito Santo a sviluppare la dottrina del Concilio sulla sua natura comunionale secondo la forma sinodale e missionaria.[3] È con questo intento che indirizzo la presente Lettera apostolica a tutto il Popolo di Dio, per riconsiderare insieme l’identità e la funzione del ministero ordinato alla luce di ciò che il Signore chiede oggi alla Chiesa, protraendo la grande opera di aggiornamento del Concilio Vaticano II. Propongo di farlo attraverso la lente della fedeltà che è insieme grazia di Dio e cammino costante di conversione per corrispondere con gioia alla chiamata del Signore Gesù. Desidero premettere a tutto la gratitudine per la testimonianza e la dedizione dei sacerdoti che in ogni parte del mondo offrono la vita, celebrano il sacrificio di Cristo nell’Eucaristia, annunciano la Parola, assolvono i peccati e si dedicano giorno per giorno con generosità ai fratelli e alle sorelle servendone la comunione e l’unità e prendendosi cura, in particolare, di chi più soffre e vive nel bisogno.
Fedeltà e servizio
5. Ogni vocazione nella Chiesa nasce dall’incontro personale con Cristo, «che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».[4] Prima di ogni impegno, prima di ogni buona aspirazione personale, prima di ogni servizio sta la voce del Maestro che chiama: «Vieni e seguimi» (Mc 1,17). Il Signore della vita ci conosce e illumina il nostro cuore con il suo sguardo d’amore (cfr Mc 10,21). Non si tratta solo di una voce interiore, ma di un impulso spirituale, che spesso ci arriva attraverso l’esempio di altri discepoli del Signore e che prende forma in una coraggiosa scelta di vita. La fedeltà alla vocazione, soprattutto nel tempo della prova e della tentazione, si fortifica quando non ci dimentichiamo di quella voce, quando siamo capaci di ricordare con passione il suono della voce del Signore che ci ama, ci sceglie e ci chiama, affidandoci anche all’indispensabile accompagnamento di chi è esperto nella vita dello Spirito. L’eco di quella Parola è nel tempo il principio dell’unità interiore con Cristo, che risulta fondamentale e ineludibile nella vita apostolica.
6. La chiamata al ministero ordinato è un dono libero e gratuito di Dio. Vocazione, infatti, non significa costrizione da parte del Signore, ma proposta amorevole di un progetto di salvezza e libertà per la propria esistenza che riceviamo quando, con la grazia di Dio, riconosciamo che al centro della nostra vita c’è Gesù, il Signore. Allora la vocazione al ministero ordinato cresce come donazione di sé stessi a Dio e, perciò, al suo Popolo santo. Tutta la Chiesa prega e gioisce per questo dono con cuore colmo di speranza e gratitudine, come esprimeva Papa Benedetto XVI a conclusione dell’Anno sacerdotale: «Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno. Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro “sì”».[5]
7. Ogni vocazione è un dono del Padre, che chiede di essere custodito con fedeltà in una dinamica di conversione permanente. L’obbedienza alla propria chiamata si costruisce ogni giorno attraverso l’ascolto della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti – in particolare nel Sacrificio Eucaristico – l’evangelizzazione, la vicinanza agli ultimi e la fraternità presbiterale, attingendo alla preghiera come luogo eminente dove incontrare il Signore. Ogni giorno il sacerdote è come se tornasse al lago di Galilea – là dove Gesù chiese a Pietro «Mi ami tu?» (Gv 21,15) – per rinnovare il suo “sì”.[6] In questo senso si comprende ciò che Optatam totius indica riguardo alla formazione sacerdotale, auspicando che non si fermi al tempo del Seminario (cfr n. 22), aprendo la strada a una formazione continua, permanente, in modo da costituire un dinamismo di costante rinnovamento umano, spirituale, intellettuale e pastorale.
8. Pertanto, tutti i presbiteri sono chiamati a curare sempre la propria formazione, per mantenere vivo il dono di Dio ricevuto con il sacramento dell’Ordine (cfr 2Tm 1,6). La fedeltà alla chiamata, dunque, non è staticità o chiusura, ma un cammino di conversione quotidiana che conferma e fa maturare la vocazione ricevuta. In questa prospettiva, è opportuno promuovere iniziative come il Convegno per la formazione permanente dei sacerdoti, svoltosi in Vaticano dal 6 al 10 febbraio 2024 con più di ottocento incaricati della formazione permanente provenienti da ottanta nazioni. Prima di essere sforzo intellettuale o aggiornamento pastorale, la formazione permanente rimane memoria viva e costante attualizzazione della propria vocazione in un cammino condiviso.
9. Sin dal momento della chiamata e dalla prima formazione, la bellezza e la costanza del cammino sono custodite dalla sequela Christi. Ogni pastore, infatti, prima ancora di dedicarsi alla guida del gregge, deve costantemente ricordare di essere egli stesso discepolo del Maestro, insieme ai fratelli e alle sorelle, perché «lungo tutta la vita si è sempre “discepoli”, con l’anelito costante a configurarsi a Cristo». [7] Solo questa relazione di sequela obbediente e di discepolato fedele può mantenere mente e cuore nella direzione giusta, nonostante gli sconvolgimenti che la vita può riservare.
10. In questi ultimi decenni, la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero, che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà, ci ha reso ancora più consapevoli dell’urgenza di una formazione integrale che assicuri la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale.
11. Il tema della formazione risulta essere centrale anche per far fronte al fenomeno di coloro che, dopo qualche anno o anche dopo decenni, abbandonano il ministero. Questa dolorosa realtà, infatti, non è da interpretare solo in chiave giuridica, ma chiede di guardare con attenzione e compassione alla storia di questi fratelli e alle molteplici ragioni che hanno potuto condurli a una tale decisione. E la risposta da dare è anzitutto un rinnovato impegno formativo, il cui obiettivo è «un cammino di familiarità con il Signore che coinvolge l’intera persona, cuore, intelligenza, libertà, e la plasma a immagine del Buon Pastore».[8]
12. Di conseguenza, «il seminario, in qualunque modalità sia pensato, dovrebbe essere una scuola degli affetti […], abbiamo bisogno di imparare ad amare e di farlo come Gesù». Pertanto invito i seminaristi a un lavoro interiore sulle motivazioni che coinvolga tutti gli aspetti della vita: «Non c’è niente di voi, infatti, che debba essere scartato, ma tutto dovrà essere assunto e trasfigurato nella logica del chicco di grano, al fine di diventare persone e preti felici, “ponti” e non ostacoli all’incontro con Cristo per tutti coloro che vi accostano».[9] Solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi, cioè persone in cui la dimensione umana e quella spirituale sono ben integrate e che perciò sono capaci di relazioni autentiche con tutti, possono assumere l’impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto.
13. Si tratta quindi di custodire e far crescere la vocazione in un costante cammino di conversione e di rinnovata fedeltà, che non è mai un percorso solo individuale ma ci impegna a prenderci cura gli uni degli altri. Questa dinamica è sempre di nuovo un’opera della grazia che abbraccia la nostra fragile umanità, guarendola dal narcisismo e dall’egocentrismo. Con fede, speranza e carità, siamo chiamati a intraprendere ogni giorno la sequela ponendo tutta la nostra fiducia nel Signore. Comunione, sinodalità e missione non si possono infatti realizzare se, nel cuore dei sacerdoti, la tentazione dell’autoreferenzialità non cede il passo alla logica dell’ascolto e del servizio. Come ha sottolineato Benedetto XVI, «il sacerdote è servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente, assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo al servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando, in questa progressiva assunzione della volontà del Cristo, nella preghiera, nello “stare cuore a cuore” con Lui».[10]
Fedeltà e fraternità
14. Il Concilio Vaticano II ha collocato lo specifico servizio dei presbiteri all’interno della uguale dignità e della fraternità di tutti i battezzati, come ben testimonia il Decreto Presbyterorum Ordinis: «I sacerdoti del Nuovo Testamento, anche se in virtù del sacramento dell’Ordine svolgono la funzione eccelsa e insopprimibile di padre e di maestro nel popolo di Dio e per il popolo di Dio, sono tuttavia discepoli del Signore, come gli altri fedeli, chiamati alla partecipazione del suo regno per la grazia di Dio. In mezzo a tutti coloro che sono stati rigenerati con le acque del Battesimo, i presbiteri sono fratelli membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti».[11] All’interno di questa fondamentale fraternità che ha la sua radice nel Battesimo e unisce l’intero Popolo di Dio, il Concilio mette in luce il particolare legame fraterno tra i ministri ordinati, fondato nello stesso sacramento dell’Ordine: «Tutti i presbiteri, costituiti nell’Ordine del presbiterato mediante l’Ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale, ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo. […] Di conseguenza ciascuno è unito agli altri membri di questo presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità».[12] La fraternità presbiterale, quindi, prima ancora di essere un compito da realizzare, è un dono insito nella grazia dell’Ordinazione. Va riconosciuto che questo dono ci precede: non si costruisce soltanto con la buona volontà e in virtù di uno sforzo collettivo, ma è dono della Grazia, che ci rende partecipi del ministero del Vescovo e si attua nella comunione con lui e con i confratelli.
15. Proprio per questo, però, i presbiteri sono chiamati a corrispondere alla grazia della fraternità, manifestando e ratificando con la vita quanto è stipulato tra loro non solo dalla grazia battesimale ma anche dal sacramento dell’Ordine. Essere fedeli alla comunione significa in primo luogo superare la tentazione dell’individualismo che mal si coniuga con l’azione missionaria ed evangelizzatrice che riguarda sempre la Chiesa nel suo insieme. Non a caso il Concilio Vaticano II ha parlato dei presbiteri quasi sempre al plurale: nessun pastore esiste da solo! Il Signore stesso «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli – perché stessero con lui» (Mc 3,14): ciò significa che non può esistere un ministero slegato dalla comunione con Gesù Cristo e con il suo corpo, che è la Chiesa. Rendere sempre più visibile questa dimensione relazionale e comunionale del ministero ordinato, nella consapevolezza che l’unità della Chiesa deriva dall’«unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»,[13] è una delle sfide principali per il futuro, soprattutto in un mondo segnato da guerre, divisioni e discordie.
16. La fraternità presbiterale va considerata pertanto come elemento costitutivo dell’identità dei ministri,[14] non solo come un ideale o uno slogan, ma come un aspetto su cui impegnarsi con rinnovato vigore. In tal senso, molto si è fatto applicando le indicazioni di Presbyterorum Ordinis (cfr n. 8), ma molto rimane da fare cominciando, ad esempio, dalla perequazione economica tra quanti servono parrocchie povere e coloro che svolgono il ministero in comunità benestanti. Va inoltre preso atto che, in parecchie nazioni e diocesi, non è ancora assicurata la necessaria previdenza per le malattie e l’anzianità. La cura reciproca, in particolare l’attenzione verso i confratelli più soli e isolati, nonché quelli infermi e anziani, non può essere considerata meno importante di quella nei confronti del popolo che ci è affidato. È questa una delle istanze fondamentali che ho raccomandato ai sacerdoti in occasione del loro recente Giubileo. «Come, infatti, noi ministri potremmo essere costruttori di comunità vive, se non regnasse prima di tutto fra noi una effettiva e sincera fraternità?».[15]
17. In molti contesti – soprattutto quelli occidentali – si aprono per la vita dei presbiteri nuove sfide, legate all’odierna mobilità e alla frammentazione del tessuto sociale. Ciò fa sì che i sacerdoti non siano più inseriti in un contesto coeso e credente che ne sosteneva il ministero in tempi passati. Di conseguenza, essi sono più esposti alle derive della solitudine che spegne lo slancio apostolico e può causare un triste ripiegamento su sé stessi. Anche per questo, seguendo le indicazioni dei miei Predecessori, [16] auspico che in tutte le Chiese locali possa nascere un rinnovato impegno a investire e promuovere forme possibili di vita comune, così «che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero, ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine». [17]
18. D’altro canto, occorre ricordare che la comunione presbiterale non può mai determinarsi come un appiattimento dei singoli, dei carismi o dei talenti che il Signore ha effuso nella vita di ciascuno. È importante che nei presbitéri diocesani, grazie al discernimento del Vescovo, si riesca a trovare un punto di equilibrio fra la valorizzazione di questi doni e la custodia della comunione. La scuola della sinodalità – in questa prospettiva – può aiutare tutti a maturare interiormente l’accoglienza dei diversi carismi in una sintesi che consolidi la comunione del presbiterio, fedele al Vangelo e agli insegnamenti della Chiesa. In un tempo di grandi fragilità, tutti i ministri ordinati sono chiamati a vivere la comunione tornando all’essenziale e facendosi prossimi alle persone, per custodire la speranza che prende volto nel servizio umile e concreto. In questo orizzonte, soprattutto il ministero del diacono permanente, configurato a Cristo Servo, è segno vivo di un amore che non resta alla superficie, ma si china, ascolta e si dona. La bellezza di una Chiesa fatta di presbiteri e diaconi che collaborano, uniti dalla stessa passione per il Vangelo e attenti ai più poveri, diventa una testimonianza luminosa di comunione. Secondo la parola di Gesù (cfr Gv 13,34-35), è da questa unità, radicata nell’amore reciproco, che l’annuncio cristiano riceve credibilità e forza. Per questo il ministero diaconale, specie quando viene vissuto in comunione con la propria famiglia, è un dono da conoscere, valorizzare e sostenere. Il servizio, discreto ma essenziale, di uomini dediti alla carità ci ricorda che la missione non si compie con grandi gesti, ma uniti dalla passione per il Regno e con la fedeltà quotidiana al Vangelo.
19. Una felice ed eloquente icona per la fedeltà alla comunione è senza dubbio quella che presenta Sant’Ignazio di Antiochia nella Lettera agli Efesini: «Conviene che voi corriate in accordo con il pensiero del vescovo, cosa che già fate. Il vostro presbiterio, infatti, degno di essere ricordato, degno di Dio, è in perfetto accordo con il vescovo, come le corde alla cetra. Per questo nella vostra unanimità e nella vostra concorde carità Gesù Cristo è cantato. […] È vantaggioso dunque che voi siate in unità irreprensibile, per partecipare sempre di Dio».[18]
Fedeltà e sinodalità
20. Vengo a un punto che mi sta particolarmente a cuore. Parlando dell’identità dei sacerdoti, il Decreto Presbyterorum Ordinis mette in luce anzitutto il legame con il sacerdozio e la missione di Gesù Cristo (cfr n. 2) e indica poi tre coordinate fondamentali: il rapporto con il vescovo, che trova nei presbiteri «necessari collaboratori e consiglieri», con i quali mantiene una relazione fraterna e amichevole (cfr n. 7); la comunione sacramentale e la fraternità con gli altri presbiteri, così che insieme contribuiscano «a una medesima opera» e svolgano «un unico ministero», lavorando tutti «per la stessa causa» anche se si occupano di mansioni differenti (n. 8); il rapporto con i fedeli laici, in mezzo ai quali i presbiteri, con il loro specifico compito, sono fratelli tra i fratelli, condividendo l’uguale dignità battesimale, unendo «i loro sforzi a quelli dei fedeli laici» e giovandosi «della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter assieme riconoscere i segni dei tempi». Anziché primeggiare o concentrare tutti i compiti in sé stessi, «essi devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici» (n. 9).
21. In questo campo c’è ancora tanto da fare. L’impulso del processo sinodale è un forte invito dello Spirito Santo a compiere passi decisi in questa direzione. Ribadisco perciò il mio desidero di «invitare i sacerdoti […] ad aprire in qualche modo il loro cuore e a prendere parte a questi processi»[19] che stiamo vivendo. In tal senso la seconda sessione della XVI Assemblea sinodale, nel Documento finale,[20] ha proposto una conversione delle relazioni e dei processi. Appare fondamentale che, in tutte le Chiese particolari, si intraprendano iniziative adeguate perché i presbiteri possano familiarizzare con le linee direttrici di questo Documento e fare esperienza della fecondità di uno stile sinodale di Chiesa.
22. Tutto ciò richiede impegno formativo ad ogni livello, in particolare, nell’ambito della formazione iniziale e permanente dei sacerdoti. In una Chiesa sempre più sinodale e missionaria, il ministero sacerdotale non perde nulla della sua importanza e attualità, anzi, si potrà focalizzare maggiormente sui propri compiti peculiari e specifici. La sfida della sinodalità – che non elimina le differenze, ma le valorizza – rimane una delle opportunità principali per i sacerdoti del futuro. Come ricorda il citato Documento finale, «i presbiteri sono chiamati a vivere il proprio servizio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti, aprendosi a uno stile sinodale» (n. 72). Per attuare sempre meglio un’ecclesiologia di comunione, occorre che il ministero del presbitero superi il modello di una leadership esclusiva, che determina l’accentramento della vita pastorale e il carico di tutte le responsabilità affidate a lui solo, tendendo verso una conduzione sempre più collegiale, nella cooperazione tra i presbiteri, i diaconi e tutto il Popolo di Dio, in quel vicendevole arricchimento che è frutto della varietà dei carismi suscitati dallo Spirito Santo. Come ci ricorda Evangelii gaudium, il sacerdozio ministeriale e la configurazione col Cristo Sposo non devono portarci a identificare la potestà sacramentale con il potere, poiché «la configurazione del sacerdote con Cristo Capo – vale a dire, come fonte principale della grazia – non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto».[21]
Fedeltà e missione
23. L’identità dei presbiteri si costituisce intorno al loro essere per ed è inscindibile dalla loro missione. Infatti, chi «pretende di trovare l’identità sacerdotale indagando introspettivamente nella propria interiorità forse non trova altro che segnali che dicono “uscita”: esci da te stesso, esci in cerca di Dio nell’adorazione, esci e dai al tuo popolo ciò che ti è stato affidato, e il tuo popolo avrà cura di farti sentire e gustare chi sei, come ti chiami, qual è la tua identità e ti farà gioire con il cento per uno che il Signore ha promesso ai suoi servi. Se non esci da te stesso, l’olio diventa rancido e l’unzione non può essere feconda». [22] Come insegnava San Giovanni Paolo II, «i presbiteri sono, nella Chiesa e per la Chiesa, una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col Battesimo, la Penitenza e l’Eucaristia, ne esercitano l’amorevole sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono nell’unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito».[23] Così la vocazione sacerdotale si dispiega tra gioie e fatiche di un servizio umile ai fratelli, che il mondo spesso disconosce ma di cui ha una sete profonda: incontrare testimoni credenti e credibili dell’Amore di Dio, fedele e misericordioso, costituisce una via primaria di evangelizzazione.
24. Nel nostro mondo contemporaneo, caratterizzato da ritmi incalzanti e dall’ansia di essere iper-connessi, che ci rende spesso frenetici e ci induce all’attivismo, sono almeno due le tentazioni che si insinuano contro la fedeltà a questa missione. La prima consiste in una mentalità efficientistica per cui il valore di ciascuno si misura dalle prestazioni, cioè dalla quantità di attività e progetti realizzati. Secondo questo modo di pensare, ciò che fai viene prima di ciò che sei, invertendo la vera gerarchia dell’identità spirituale. La seconda tentazione, all’opposto, si qualifica come una sorta di quietismo: spaventati dal contesto, ci si ritira in sé stessi rifiutando la sfida dell’evangelizzazione e assumendo un approccio pigro e disfattista. Al contrario, un ministero gioioso e appassionato – nonostante tutte le debolezze umane – può e deve assumere con ardore il compito di evangelizzare ogni dimensione della nostra società, in particolare la cultura, l’economia e la politica, perché tutto sia ricapitolato in Cristo (cfr Ef 1,10). Per vincere queste due tentazioni e per vivere un ministero gioioso e fecondo, ogni presbitero rimanga fedele alla missione che ha ricevuto, cioè al dono di grazia trasmesso dal Vescovo durante l’Ordinazione sacerdotale. Fedeltà alla missione significa assumere il paradigma che ci ha consegnato San Giovanni Paolo II quando ha ricordato a tutti che la carità pastorale è il principio che unifica la vita del presbitero.[24] È proprio mantenendo vivo il fuoco della carità pastorale, cioè l’amore del Buon Pastore, che ogni sacerdote può trovare equilibrio nella vita di tutti i giorni e saper discernere ciò che giova e ciò che è il proprium del ministero, secondo le indicazioni della Chiesa.
25. L’armonia tra contemplazione e azione è da ricercare non tramite l’adozione affannosa di schemi operativi o mediante un semplice bilanciamento delle attività, ma assumendo come centrale nel ministero la dimensione pasquale. Donarsi senza riserve, in ogni caso, non può e non deve comportare la rinuncia alla preghiera, allo studio, alla fraternità sacerdotale, ma al contrario diventa l’orizzonte in cui tutto è compreso nella misura in cui è orientato al Signore Gesù, morto e risorto per la salvezza del mondo. In tal modo si attuano anche le promesse fatte nell’Ordinazione che, insieme al distacco dai beni materiali, realizzano nel cuore del presbitero una perseverante ricerca e adesione alla volontà di Dio, facendo così trasparire Cristo in ogni sua azione. Ad esempio, questo avviene quando si fugge ogni personalismo e ogni celebrazione di sé stessi, nonostante l’esposizione pubblica cui talvolta il ruolo può obbligare. Educato dal mistero che celebra nella santa liturgia, ogni sacerdote deve «sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo».[25] Per questo l’esposizione mediatica, l’uso dei social network e di tutti gli strumenti oggi disponibili va sempre valutato sapientemente, assumendo come paradigma del discernimento quello del servizio all’evangelizzazione. «“Tutto mi è lecito!”. Sì, ma non tutto giova» (1Cor 6,12).
26. In ogni situazione, i presbiteri sono chiamati a dare una risposta efficace, tramite la testimonianza di una vita sobria e casta, alla grande fame di relazioni autentiche e sincere che si riscontra nella società contemporanea, testimoniando una Chiesa che sia «lievito efficace dei legami, delle relazioni e della fraternità della famiglia umana», «capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni».[26] Occorre a questo scopo che sacerdoti e laici – tutti insieme – operino una vera e propria conversione missionaria che orienti le comunità cristiane, sotto la guida dei loro pastori, «a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa». Come ha osservato il Sinodo, «apparirà così più chiaramente che la Parrocchia non è centrata su sé stessa, ma orientata alla missione e chiamata a sostenere l’impegno di tante persone che in modi diversi vivono e testimoniano la loro fede nella professione e nell’attività sociale, culturale, politica».[27]
Fedeltà e futuro
27. Auspico che la celebrazione dell’anniversario dei due Decreti conciliari e il cammino che siamo chiamati a condividere per concretizzarli e attualizzarli possano tradursi in una rinnovata Pentecoste vocazionale nella Chiesa, suscitando sante, numerose e perseveranti vocazioni al sacerdozio ministeriale, affinché non manchino mai operai per la messe del Signore. E possa risvegliarsi in tutti noi la volontà di impegnarci a fondo nella promozione vocazionale e nella preghiera costante al Padrone della messe (cfr Mt 9,37-38).
28. Insieme alla preghiera, però, la carenza di vocazioni al presbiterato – soprattutto in alcune regioni del mondo – chiede a tutti una verifica sulla generatività delle prassi pastorali della Chiesa. È vero che spesso i motivi di questa crisi possono essere vari e molteplici e, in particolar modo, dipendere dal contesto socio-culturale, ma, allo stesso tempo, occorre che abbiamo il coraggio di fare ai giovani proposte forti e liberanti e che nelle Chiese particolari crescano «ambienti e forme di pastorale giovanile impregnati di Vangelo, dove possano manifestarsi e maturare le vocazioni al dono totale di sé».[28] Nella certezza che il Signore non smette mai di chiamare (cfr Gv 11,28), è necessario tenere sempre presente la prospettiva vocazionale in ogni ambito pastorale, in particolare in quelli giovanile e familiare. Ricordiamolo: non c’è futuro senza la cura di tutte le vocazioni!
29. In conclusione, rendo grazie al Signore che è sempre vicino al suo Popolo e cammina insieme a noi, colmando i nostri cuori di speranza e di pace, da portare a tutti. «Questo, fratelli e sorelle, vorrei che fosse il nostro primo grande desiderio: una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».[29] E ringrazio tutti voi, pastori e fedeli laici, che aprite la mente e il cuore al messaggio profetico dei Decreti conciliari Presbyterorum Ordinis e Optatam totius e vi disponete, insieme, a trarne nutrimento e stimolo per il cammino della Chiesa. Affido tutti i seminaristi, i diaconi e i presbiteri all’intercessione della Vergine Immacolata, Madre del Buon Consiglio, e a San Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci e modello di tutti i sacerdoti. Come era solito dire il Curato d’Ars: «Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù».[30] Un amore così forte da dissipare le nubi dell’abitudine, dello sconforto e della solitudine, un amore totale che ci è donato in pienezza nell’Eucarestia. Amore eucaristico, amore sacerdotale.
Dato a Roma, presso San Pietro, 8 dicembre, Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria, dell’Anno giubilare 2025, primo del mio Pontificato.
LEONE PP. XIV
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[1] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Optatam totius sulla formazione sacerdotale, Proemio.
[2] Cfr S. J.H. Newman, An Essay on the Development of Christian Doctrine, Notre Dame 2024. In questo senso ricordo l’appello di Optatam totius, 16 al rinnovamento e alla promozione degli studi ecclesiastici, ancora in corso.
[3] Cfr Sinodo dei Vescovi, Per una Chiesa sinodale: comunione – partecipazione – missione, Documento preparatorio (2021), 1; Francesco, Discorso per la Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015).
[4] Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1.
[5] Benedetto XVI, Omelia nella Messa a conclusione dell’Anno sacerdotale (11 giugno 2010).
[6] «Chiedendo a Pietro se lo amava, non lo interrogava col bisogno di sapere l’amore del discepolo, ma con la volontà di mostrare la grandezza del suo amore» (S. Giovanni Crisostomo, De sacerdotio II, 1: SCh 272, Parigi 1980, 104, 48-51).
[7] Congregazione per il Clero, Il dono della vocazione presbiterale. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (8 dicembre 2016), n. 57.
[8] Discorso ai partecipanti all’Incontro internazionale “Sacerdoti felici - «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15)” promosso dal Dicastero per il Clero in occasione del Giubileo dei Sacerdoti e dei Seminaristi (26 giugno 2025).
[9] Meditazione in occasione del Giubileo dei Seminaristi (24 giugno 2025).
[10] Benedetto XVI, Catechesi (24 giugno 2009).
[11] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri, 9.
[12] Ibid., 8.
[13] S. Cipriano, De dominica oratione, 23: CCSL 3A, Turnhout 1976, 105.
[14] Cfr Congregazione per il Clero, Il dono della vocazione presbiterale. Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis (8 dicembre 2016), nn. 87-88.
[15] Discorso ai partecipanti all’Incontro internazionale “Sacerdoti felici - «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15)” promosso dal Dicastero per il Clero in occasione del Giubileo dei Sacerdoti e dei Seminaristi (26 giugno 2025).
[16] Cfr S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sin. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 61; Benedetto XVI, Lett. ap. in forma di motu proprio Ministrorum institutio (16 gennaio 2013).
[17] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum Ordinis (7 dicembre 1965), 8.
[18] S. Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, 4, 1-2: SCh 10, Parigi 1969, 72.
[19] Ai partecipanti al Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione (24 ottobre 2025).
[20] Sinodo dei Vescovi, Documento finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” (26 ottobre 2024).
[21] Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 104.
[22] Id., Omelia nella Santa Messa del Crisma (17 aprile 2014).
[23] S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sin. Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 15.
[24] Cfr ibid., 23.
[25] Omelia nella Santa Messa pro Ecclesia (9 maggio 2025).
[26] Sinodo dei Vescovi, Documento finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” (26 ottobre 2024), 20; 50.
[27] Ibid., 59; 117.
[28] Discorso ai partecipanti all’Incontro internazionale Sacerdoti felici «Vi ho chiamato amici» (Gv 15,15) promosso dal Dicastero per il Clero in occasione del Giubileo dei Sacerdoti e dei Seminaristi (26 giugno 2025).
[29] Omelia per l’inizio del Ministero petrino del Vescovo di Roma (18 maggio 2025).
[30] «Le Sacerdoce, c’est l’amour du cœur de Jésus», in Bernard Nodet, Le curé d’Ars. Sa pensée, son cœur, Parigi 1995, 98.