Contributo dott.ssa Chiara D'Urbano “Non c’è niente di voi che debba essere scartato”

22 dicembre 2025

In un tempo meravigliosamente complesso e stravolgente, tra i progressi della scienza e della tecnologia, tra rivoluzione antropologica e ricerca di nuove grammatiche per comprendere ed esprimere la fede, abbiamo bisogno, come comunità credente, di ritrovare uno sguardo di speranza.

È un paradosso: mentre abbiamo acquisito nuove consapevolezze rispetto al passato e competenze sempre più qualificate in molti campi, sembra che una cupezza ci avvolga, nonostante le “modernità”.

Il tenore delle informazioni che ogni giorno ci raggiungono, infatti, lascia spesso un senso di sgomento, come se fossimo sempre più attenti e capaci di cogliere gli aspetti critici che segnano le coppie, le famiglie, le vocazioni nel terzo millennio, ma ci mancassero, poi, le storie riuscite di chi ha trovato il proprio posto nella vita.

È fuori discussione che sia doveroso prestare massima attenzione ai processi drammatici che per troppo tempo sono stati sottaciuti tanto nella società, quanto nella Chiesa.

Chi mette in luce, però, le esperienze compiute, quelle che parlano di vocazioni realizzate e felici, nonostante le fragilità, nelle coppie, nei sacerdoti, nelle fraternità religiose? Quanto è scarso lo spazio per raccontare che ci sono uomini e donne contenti di ciò che hanno scelto, pur nelle ordinarie fatiche.

Le narrazioni buone, si sa, non fanno audience, anzi suonano romantiche, da illusi, e quindi sono guardate con sospetto.

Eppure le neuroscienze attribuiscono un valore molto significativo all’uso del linguaggio e alla scelta delle parole, in quanto capaci di plasmare il nostro cervello e di regolare le emozioni che si sperimentano, sia a livello personale che nei contesti di vita.

Come dire che possiamo contribuire a creare e sostenere un clima accogliente, fiducioso, propositivo, o, viceversa, spaventato, sulla difensiva, e privo di un orizzonte, anche in base ai termini con cui decidiamo di trattare alcune realtà.

C’è quindi una responsabilità nel nostro parlare, e non solo per forma.

 

I sacerdoti oggi ne sanno qualcosa: proprio loro vivono in prima persona una narrazione pesante che li riguarda: cali numerici, abbandoni, abusi, e questa lettura ha un impatto potente sugli stessi presbiteri finendo per corrodere il senso di fiducia nella propria vocazione. Non ultimo, essi ormai si trovano ad esercitare il ministero senza più “un contesto coeso e credente che ne sosteneva il ministero in tempi passati”.

 

La Lettera Apostolica “Una fedeltà che genera futuro”, del Santo Padre Leone XIV, a 60 anni dalla pubblicazione dei Decreti Conciliari Optatam Totius e Presbyterorum Ordinis, si rivolge a loro, ai presbiteri che portano sulle spalle oneri enormi in questo tempo così articolato, ma anche a tutti noi, laiche e laici che abbiamo una “sete profonda” della vocazione presbiterale, e di “testimoni credenti e credibili dell’Amore di Dio”, a cui non di rado chiediamo una disponibilità super-umana, e quindi ingiusta.

Un’operazione complessa, e pertanto raffinata, anche dal punto di vista psicologico, quella della Lettera, perché mantiene un doppio sguardo: sulle dimensioni della vita del sacerdote che hanno necessità di essere ripensate, e insieme sulla bellezza di una vocazione che ha bisogno di uomini umanamente e affettivamente integrati.

Colgo nel richiamo alla felicità, alle dimensioni affettive da recuperare senza scartare nulla, un riconoscimento molto significativo dell’umanità dei presbiteri, umanità che potenzia la vocazione come risposta d’Amore, e la rilancia nella sua unicità.

Che bel respiro.

È così liberante per un ministro ordinato, come ho modo di osservare nell’esperienza clinica, sentirsi guardato sì in quanto Pastore, ma anche e prima di tutto in quanto persona con dei bisogni e dei desideri, perché nell’offrire prossimità a tantissimi, nell’offrire conforto, vicinanza, ascolto nelle situazioni più svariate, ha anche lui bisogno di trovare prossimità, conforto, vicinanza e ascolto. Forse tendiamo a dimenticarlo, offuscati dal tanto lavoro che i sacerdoti portano avanti.

Eppure il presbitero-uomo conosce l’esperienza della fatica e soprattutto della solitudine, che affligge l’esistenza di molti sacerdoti, in parte anche per la scarsa attenzione riservata alle dimensioni più squisitamente orizzontali e naturali di amicizia, nella formazione iniziale e permanente.

Non uno “scandalo”, dunque, che il ministro ordinato abbia delle necessità, e che possa sentirsi in difficoltà come qualunque essere umano.

Anzi, proprio perché è uomo tra gli uomini, è necessario curare e ripensare la formazione psicoaffettiva dei sacerdoti, avendo come obiettivo “la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale”, “al fine di diventare persone e preti felici”; infatti “solo presbiteri e consacrati umanamente maturi e spiritualmente solidi, cioè persone in cui la dimensione umana e quella spirituale sono ben integrate e che perciò sono capaci di relazioni autentiche con tutti, possono assumere l’impegno del celibato e annunciare in modo credibile il Vangelo del Risorto”.

Bellissima questa attenzione sistemica della Lettera che riconosce la responsabilità dell’ambiente di prima formazione e quello di vita dopo l’ordinazione, ad essere di supporto alla perseveranza della scelta presbiterale, e all’equilibrio di vita dei sacerdoti.

 

Una carezza che i sacerdoti meritano, senza nulla togliere alla lucidità di un’analisi che riconosce i campi di lavoro ancora aperti, come il miglioramento nella collegialità, l’apertura alla vita fraterna tra presbiteri, e un cambio di prospettiva per passare da una leadership centrata sull’efficienza personale ad una condivisione di responsabilità anche con il Popolo di Dio.

 

Il cuore della Lettera di Papa Leone XIV però non è questo, riflessioni puntuali hanno e avranno spazi adeguati per essere messe a tema e approfondite.

Il suo cuore è, piuttosto, la gratitudine (parola che torna per tre volte nel testo) verso la missione di tanti sacerdoti, giovani e meno giovani, che ogni giorno celebrano, consolano, animano, si fanno carico di innumerevoli vicende e storie di vita. Le nostre.

 

 

Dott.ssa Chiara D’Urbano

Psicologa e Psicoterapeuta EMDR

Consultrice del Dicastero per il Clero