Intervista a S. Em.za Card. Lazzaro You Heung sik Prefetto del Dicastero per il Clero

22 dicembre 2025

Eminenza, il Santo Padre – a pochi giorni dal Natale – ha voluto sorprenderci con questa Lettera Apostolica sul ministero ordinato, quali sono le sue impressioni in merito?

 

Prima di tutto, voglio manifestare la mia più profonda gratitudine per la scelta del Santo Padre di celebrare questo sessantesimo anniversario dei Decreti Conciliari Optatam Totius e Presbyterorum Ordinis, i quali – seppur con prospettive differenti – trattano della vita dei sacerdoti della formazione e del ministero ordinato. Credo che la scelta del Santo Padre sia particolarmente importante soprattutto in un’epoca in cui il sacerdozio può essere visto come un retaggio di un mondo antico destinato a scomparire oppure – magari a causa dei tanti e dolorosi scandali – come una vocazione che ha perso la sua attrattiva, la sua bellezza e attualità. Ecco credo che questa Lettera Apostolica ricorda a tutto il popolo santo di Dio che il sacerdozio è un dono meraviglioso, una altissima responsabilità, ma soprattutto un ministero imprescindibile nella missione della Chiesa per come l’ha voluta il Signore Gesù.

 

Una fedeltà che genera il futuro”, quali crede che siano le indicazioni principali del Santo Padre per il futuro del sacerdozio in seno alla missione della Chiesa?

 

Credo che la risposta a questa domanda si possa trovare subito già nel titolo: non può esistere un futuro senza fedeltà. La fedeltà, in particolare nel mondo occidentale, tende ad essere quasi considerata come un dis-valore, qualcosa per persone immobili, statiche, di altri tempi. Niente di tutto questo! Il futuro della Chiesa si costruisce sempre in un presente che è innervato dalla storia, dalla tradizione, e che si nutre a partire da queste radici. Ovviamente la fedeltà non significa la chiusura a qualsiasi tipo di creatività dello Spirito Santo, ma significa – da parte di tutti i ministri ordinati – mantenere sempre uno spirito di adesione interiore alla chiamata del Signore e alla missione che egli per mezzo della Chiesa ci ha affidato. La fedeltà, infatti, è la misura stessa della carità. Un amore vero e autentico, non incentrato su se stessi, si nutre principalmente della Parola di Dio e vive di piccole e grandi fedeltà. Credo, dunque, che la Lettera del Santo Padre ci indichi la strada per il percorso che anche come Dicastero per il Clero dobbiamo compiere nel custodire, annunciare e far crescere la bellezza di un sacerdozio fedele a Cristo, alla Sua Parola e alla Chiesa.

 

Il testo utilizza la lente della fedeltà per analizzare i diversi ambiti della vita del sacerdote, quale fra questi Lei ritiene stia più a cuore al Santo Padre?

 

Il Santo Padre esplicitamente dice di aver particolarmente a cuore l’esercizio effettivo della comunione e quindi della sinodalità nella vita del sacerdote. Una comunione che realizza effettivamente ciò che è proprio della natura dei presbiteri. Nessun sacerdote può esistere e operare da solo, ma tutti sono inseriti nella comunione ecclesiale e tutti vivono la stessa missione insieme agli altri ministri ordinati e al popolo santo di Dio. Condivido l’esortazione del Santo Padre ad insistere sulla dimensione della comunione e sull’assunzione di una forma sinodale che è connaturale alla comunità ecclesiale e che possa rappresentare concretamente un felice antidoto all’auto-referenzialità e all’isolamento che sono tentazioni comuni nella vita sacerdotale. Un rapporto fraterno e amichevole con il vescovo, relazioni autentiche con i confratelli sacerdoti e diaconi e rapporti di corresponsabilità con i laici non sono semplicemente delle realtà accessorie della vita del presbitero, ma sono veri e propri contesti fecondi per vivere nella maniera migliore la propria vocazione e specificità, che non si dissolve nel “noi” ma trova in esso la sua piena realizzazione. Una Chiesa che vive maggiormente la sinodalità non è una Chiesa che distribuisce ruoli o diventa democratica, ma, che cerca di realizzare una vera corresponsabilità nella condivisione della missione ecclesiale secondo la specificità di ciascuno per la crescita del Regno di Dio.

 

La lettera del Santo Padre insiste sul tema della vocazione come dono e al tempo stesso invoca una “rinnovata Pentecoste vocazionale nella Chiesa”, come si può rispondere pastoralmente a quella che molti definiscono una vera e propria crisi vocazionale?

 

Bisogna anzitutto chiarire che non è la Chiesa a vivere una crisi vocazionale, ma alcune porzioni della Chiesa in particolare dove la secolarizzazione ha raggiunto ormai tutti i livelli della società. E, inoltre, ad essere in crisi sembrano essere tutte le vocazioni, non solo quelle al ministero ordinato. Un mondo che incoraggia verso legami temporanei, parziali, a non assumere impegni stabili e duraturi – diciamo fedeli – è un mondo che distoglie tutti già dal cercare la propria vocazione, figuriamoci a perseverare in essa. Credo allora che come Chiesa – in virtù anche di questo testo del Santo Padre – occorra non rassegnarsi a questo stato di cose. Bisogna insistere nell’annunciare la bellezza e la diversità complementare di tutte le vocazioni, dal matrimonio, alla vita religiosa, al ministero ordinato, perché tutte contribuiscono all’edificazione della Chiesa e alla felice realizzazione di sé stessi. Per questo Papa Leone XIV invita ad assumere stili pastorali generativi che non cerchino di sminuire o annacquare la proposta radicale del Vangelo, ma la annuncino senza paura, certi che il Signore continua a chiamare tutti e ciascuno ad una vita piena e densa di significato per il bene della Chiesa tutta.

 

Al numero 25 della Lettera Apostolica c’è un passaggio molto interessante sull’uso responsabile dei social network da parte dei sacerdoti, che su alcune piattaforme hanno decine di migliaia di followers, qual è la sua opinione in merito?

 

Sì, ho trovato piuttosto interessante questo passaggio specifico che il Santo Padre inserisce nell’ambito dell’esortazione alla fedeltà alla missione. È chiaro che il contesto della rete e in particolare dei social network possono e direi devono essere luoghi da abitare e dove annunciare il Vangelo anche per i sacerdoti. Al tempo stesso, però, proprio dal testo del Santo Padre emerge un invito affinché ogni sacerdote possa con la propria vita – sullo stile del Battista – indicare sempre Cristo e mai la propria persona, in virtù di quel nascondimento necessario per l’evangelizzazione. Questo, in un “luogo” dove l’immagine e il modo di comunicarla sono fondamentali può essere molto complicato da realizzare. Per cui credo che il discernimento in ordine all’evangelizzazione che invita a fare il Santo Padre debba essere oggetto di riflessioni future anche per il nostro Dicastero, affinché si possano dare a tutti gli strumenti necessari per abitare sapientemente luoghi e contesti che presentano nuove peculiarità per la missione della Chiesa. Anche per questa dimensione occorre una consapevolezza maggiore e un’adeguata preparazione, senza paure e chiusure, ma slancio e passione per l’annuncio sempre nuovo del Vangelo, nella fedeltà alla chiamata per generare futuro.