Contributo di Mons. Rega. Custodire il fuoco della chiamata: fedeltà, formazione e fraternità al servizio di una Chiesa generativa

22 dicembre 2025

Nella Lettera Apostolica “Una fedeltà che genera futuro”, scritta da Papa Leone XIV in occasione del LX anniversario dei due Decreti Conciliari Optatam totius e Presbyterorum Ordinis, emergono alcune linee guida imprescindibili per il futuro della Chiesa sul tema della formazione dei ministri ordinati e sulla missione loro affidata in un tempo storico in cui «si aprono per la vita dei presbiteri nuove sfide, legate all’odierna mobilità e alla frammentazione del tessuto sociale» (§ 17). Nell’esortare le comunità cristiane all’impegno a riscoprire la freschezza e l’attualità dei documenti conciliari, il Papa incoraggia lo studio e la riflessione di una prassi ecclesiale sinodale e missionaria, nella quale l’identità del ministro ordinato è profondamente legata al futuro della Chiesa.

Il Documento pontificio declina una prospettiva chiara a partire dai due termini che troviamo nel titolo: fedeltà e futuro. Entrambi risultano declinati a più riprese e in diversi modi nel depositum conciliare, mostrando un’intrinseca reciprocità soprattutto nel contesto più specifico della riflessione sul ministero presbiterale. In sostanza, i ministri ordinati - conservando e rinvigorendo costantemente un vitale rapporto con i laici – «allargano l’orizzonte della carità pastorale attingendo vitalità, forza ed energie nella memoria grata di quella voce che li colloca costantemente sul “lago di Galilea – là dove Gesù chiese a Pietro “Mi ami tu?” (Gv 21,15) – per rinnovare il suo “sì”» (§ 7). La voce del Maestro che risuona nel cuore di ogni presbitero è la radice di quella fedeltà feriale che costruisce il futuro, passo dopo passo, nell’incedere lento, faticoso, gioioso e zelante che determina la dimensione ontologica della sequela Christi. Ritornare a sentire la voce di chi ti ha chiamato per nome (Gv 20,16) preserva il ministero sacerdotale dai pericoli della routine, mette al riparo dalla sterile abitudinarietà, dal funzionalismo burocratizzato e dalla tentazione dell’efficientismo esasperato che svuotano la missione di misura, di senso e di prospettiva.

La relazione tra la fedeltà alla chiamata e la visione profetica del futuro, si rendono possibili nell’atteggiamento perseverante di chi apre il cuore alla possibilità concreta di abitare il presente con audacia e sapienza evangelica. Il Papa nel documento ribadisce a chiare lettere la necessità della formazione permanente come «memoria viva e costante attualizzazione della propria vocazione in un cammino condiviso» (§ 8). Dalla mia esperienza di formatore, di Rettore del Seminario e ora di Pastore posso testimoniare la reale ed effettiva consistenza della generatività evangelica che si determina all’interno dell’identità ministeriale. Nei tanti giovani che ho accompagnato a discernere i lineamenti della propria vocazione, è emerso con chiarezza la necessità di una maturazione umana e spirituale, integrata in un processo di custodia e valorizzazione dei carismi, all’interno di un cammino ecclesiale, fraterno e responsabile.

Nel tempo di una società frammentata e divisa, l’educazione dei seminaristi deve necessariamente procedere integrando spiritualità e umanità. Nei giovani in formazione occorre innestare processi educativi liberi dall’illusione di prospettive di vita adagiate sulla comodità o su chimeriche mete da raggiungere. Solo una formazione umana, fondata sulla solidità di una spiritualità attiva, potrà garantire un sano percorso di crescita integrale. Il Papa afferma con chiarezza che «il seminario, in qualunque modalità sia pensato, dovrebbe essere una scuola di affetti […], abbiamo bisogno di imparare ad amare e di farlo come Gesù» (§ 12). Il principio della mimesi cristologica riveste un’importanza costituiva nel processo che determina la formazione dei futuri ministri. È da notare che la congiunzione greca καθώς, oltre al valore comparativo denota anche quello causale. Imparare ad amare “come Gesù” si concretizza nel tempo di discernimento non solo dal punto di vista di imitavo (“come”), ma anche per una motivazione che finalizza l’intera esistenza nei termini di missione (“perché”). Gli anni del seminario, in preparazione alla vita ministeriale, sono imprescindibili perché nell’esistenza dei futuri ministri, si consolidino i cardini della fedeltà, della formazione permanente e della fraternità, intesi come luoghi da abitare per favorire l’esercizio del servizio alla Chiesa.

Nella missione di formatore e di Pastore sperimento che le difficoltà nei seminaristi e nei presbiteri si ingenerano sovente a causa dello smarrimento di quella che definisco l’oblio del memoriale della chiamata. La progressiva perdita della memoria vocazionale è più pericolosa della mancanza dello zelo degli inizi. Il Papa ricorda l’immagine evangelica della chiamata dei discepoli sul mare di Galilea come luogo in cui ogni giorno occorre ritornare per consolidare la fedeltà alla missione. Gli episodi dell’apparizione del Risorto si radicano in questa prospettiva. Pietro/Simone ritorna a fare il pescatore perché qualcosa di quel mestiere sa ancora farlo. Ritorna dove è stato chiamato. Per lui quel nostalgico ritorno al passato ingenera l’esperienza del memoriale della voce. Sullo stesso luogo ascolta la voce della prima chiamata, quella che cambia la vita, indirizzandola verso una meta di libertà. Nel documento Papa Leone XIV descrive questa esperienza nei termini di «un costante cammino di conversione e di rinnovata fedeltà, che non è mai un percorso solo individuale ma ci impegna a prenderci cura gli uni degli altri» (§ 13).

La chiamata e la conversione della prima ora di Pietro e quella della seconda ora, avvengono sempre nella custodia della comunione, della sinodalità e della missione. Il primo elemento è determinato dalla disponibilità che il Maestro esige per il chiamato a stare con gli altri insieme a Lui; il secondo si realizza nel progressivo esercizio della sequela; il terzo elemento declina i termini e l’identità della chiamata finalizzata all’annuncio del Regno di Dio. La celebrazione del memoriale della chiamata per Pietro/Simone lo conduce ad accogliere inizialmente con prontezza la missione di seguire Cristo e successivamente di confermare con coraggio - fino alla morte - i fratelli nella fede, nell’ancoraggio alla dimensione contemplativa di quella voce che ora avverte anche nella sua intimità. Lo ribadisce nella Lettera il Papa, parlando della dimensione pasquale del ministero: «Donarsi senza riserve, in ogni caso, non può e non deve comportare la rinuncia alla preghiera, allo studio, alla fraternità sacerdotale, ma al contrario diventa l’orizzonte in cui tutto è compreso nella misura in cui è orientato al Signore Gesù, morto e risorto per la salvezza del mondo» (§ 25). Offrire sé stessi, in ogni caso, celebrare tale memoriale non significa semplicemente riconoscere la voce del Maestro; diventa funzionale per definire i tratti e i lineamenti della missione evangelizzatrice, corroborata dalla presenza vivificante e creativa dello Spirito. Come in Pietro, così per i ministri, la forza di tale presenza realizza la continua missione di rendere vivo e attuale il Vangelo.

Uno dei passaggi cruciali della Lettera pontificia è quello dedicato alle fatiche reali del clero, fatte di fughe tardive, fragilità innescate da una superficiale educazione agli affetti, momenti di smarrimento spirituale non integrate dalla custodia e dall’accompagnamento dei padri spirituali. Si sperimenta con sempre maggiore frequenza la necessità nei presbiteri di fare i conti con un’educazione sulla riconciliazione con la propria umanità. In questo senso non aiuta la concezione di una società che misura ogni realtà con il metro dell’efficienza e con la misura della funzionalità. Le debolezze, le fragilità, i dubbi, le incertezze, le sfide da accogliere, i fallimenti, chiedono con maggiore insistenza una pastorale di cura, custodia e accompagnamento.

Accanto al pilastro della fedeltà alla missione, si pone quello della formazione permanente. Un presbitero che volontariamente decida di non dedicarsi assiduamente alla formazione si autoreclude nell’isolamento egoistico e nel rischio dell’ipertrofia umana e spirituale. Il Papa con coraggio apostolico sottolinea che l’antidoto alla “sterilità ministeriale” è offerto dalla fraternità sacerdotale. Essa affonda le sue radici nel tempo della formazione seminariale e cresce nel tempo del ministero attraverso una prassi che richiede fedeltà, cura e disponibilità. La comunione presbiterale è parte costituiva dell’identità sacerdotale, radicata nella sacramentalità della comunione del presbiterio con il suo Vescovo. Come Pastore avverto forte la responsabilità di rendermi custode della fraternità presbiterale nell’esercizio di alcune scelte concrete: l’attenzione ai preti più isolati e anziani e il maggiore impegno per la costruzione della comunità presbiterale che senta necessario l’impulso a condividere la gioia del vivere comune come immagine che identifica una Chiesa unita in Cristo. Si rilevano con maggiore frequenza nei ministri episodi di “ripiego” causati proprio dal disimpegno alla valorizzazione della fraternità.

Papa Leone XIV sottolinea che la comunione «è una delle sfide principali per il futuro, soprattutto in un mondo segnato da guerre, divisioni e discordie» (§ 15). Due urgenze messe in luce dal Pontefice sono quelle dell’efficientismo, tipico di quei ministri che si disperdono nel caos alienante dell’attivismo, e del quietismo, proprio di chi avverte il vuoto di senso per timore di affrontare le sfide culturali del tempo in cui è elevata l’esigenza di rintracciare i segni della presenza di Dio. Da queste ideologie ministeriali ci educa a prendere le distanze lo stile sinodale, inteso come scuola di umanità e freno all’autoreferenzialità dell’ego. Se da un lato si fanno i conti con le crisi vocazionali e il calo dei numeri nei seminari, dall’altro si evidenzia la possibilità di guardare al futuro con una visione profetica ricca di speranza giubilare. La Lettera di Papa Leone XIV e la celebrazione del LX dei Documenti Conciliari, aprono la strada per determinare un cammino ecclesiale sostenuto dalla fraternità e dalla consapevolezza di costruire comunità che siano radicate nella ricerca di proposte libere e liberanti, intrise di Vangelo e di umanità ben integrata, certi che il Signore continua a camminare con i discepoli di Emmaus, anche quando il cuore è lento a credere (Lc 24,25) e il fuoco della chiamata sembra ormai spento.

 

 

+ Stefano Rega

Vescovo di San Marco Argentano - Scalea

Presidente della Commissione per il Clero, la Vita Consacrata, le Vocazioni

e della Commissione Presbiterale della Conferenza Episcopale Calabra