Domenica di Pentecoste - Anno C
At 2, 1-11; Sal 103; Rm 8, 8-17; Gv 14, 15-16. 23-26.

«La molteplicità,
se non ha la coesione dell’unità,
è origine di divisioni e litigi;
invece una molteplicità indivisa
fa un’anima sola»,
Sant’Agostino, Discorso 272/B, 2
Rimanere
Quando siamo chiamati ad allontanarci da qualcuno a causa di un viaggio o di eventi che ci costringono a rimanere distanti per lungo tempo, cerchiamo dei modi per tenerci uniti. Pensiamo allora a lasciare qualcosa di noi, qualcosa che possa tenere vivo il ricordo. Oggi forse sentiamo con minore intensità questo problema, visto che i mezzi di comunicazione ci permetto di rimanere in contatto anche a grandi distanze. Possiamo infatti anche viaggiare con più frequenza e ritornare a incontrare le persone che amiamo. Ma in passato non era certamente così: si partiva senza la certezza di vedersi di nuovo.
Potremmo rileggere le letture della Pentecoste come espressione del desiderio di Dio di rimanere nella comunità e nel cuore di ciascun credente. In entrambi i casi, ci sono delle condizioni che possono essere create per permettere a Dio di essere presente e di rimanere con noi.
Nello stesso luogo
Il testo degli Atti degli Apostoli ci dice infatti che si trovavano tutti nello stesso luogo. È la comunione che crea lo spazio per Dio. Essere nello stesso luogo, significa convergere verso lo stesso obiettivo, avere lo stesso sogno, lavorare per lo stesso scopo. Purtroppo, in molti contesti prevale la divisione, l’interesse personale, il tentativo di far contare le proprie ragioni. Non a caso l’evento della Pentecoste è riletto in contrapposizione con l’episodio della torre di Babele. Lì infatti gli uomini erano presi dalla superbia di voler arrivare da soli verso il cielo e, per impedire questa costruzione umana, Dio confonde le lingue. Quando infatti non ci si capisce e si parlano lingue diverse, non si riesce a costruire nulla. Per lavorare insieme, dobbiamo provare a capirci, nonostante le nostre differenze. La Chiesa non nasce da Babele, non è la Chiesa delle grandi costruzioni umane che alla fine risultano vane e inefficaci. La Chiesa nasce da Gerusalemme, nasce da una piccolezza in cui agisce lo Spirito!
Novità e alleanza
La comunità cristiana ha riletto la festa di Pentecoste a partire dai significati che essa aveva nel mondo ebraico. La festa di Pentecoste, o festa delle settimane, era inizialmente la festa delle primizie. Successivamente venne associata alle alleanze che Dio aveva stabilito con il popolo.
Nella rilettura cristiana, la Pentecoste indica che sta nascendo qualcosa di nuovo, grazie allo Spirito. Il giorno di Pentecoste stava per compiersi, quindi noi siamo ancora dentro questa novità che continua. Lo Spirito genera la Chiesa. E allo stesso tempo c’è una nuova ed eterna alleanza che è stata sancita nel sangue di Cristo, che nel momento della morte ha donato il suo Spirito.
Questo tema dell’Alleanza lo comprendiamo anche dalle immagini usate per raccontare questo evento, Luca infatti rilegge la Pentecoste sul modello delle teofanie del Sinai: il vento e il fuoco sono il modo in cui Dio si era manifestato a Israele. C’è una storia che continua in modo nuovo, ma è riconoscibile attraverso un linguaggio antico.
Abitare
Se il libro degli Atti mette in evidenza questa presenza di Dio che rimane nella comunità per mezzo dello Spirito, il Vangelo di Giovanni ci mostra come lo Spirito venga ad abitare nel cuore del credente. Gesù parla infatti di un altro Paraclito, come a dire che il primo è egli stesso. Se il Paraclito è colui che è chiamato accanto per difendere e sostenere, in particolare in un processo, vuol dire che Gesù ha già cominciato a esercitare questa funzione durante la sua vita terrena accanto ai discepoli. Quella funzione quindi non finisce, ma si trasforma. I discepoli sono ancora sostenuti e difesi da Gesù per mezzo dello Spirito santo. Il desiderio di Gesù è infatti di rimanere nel cuore del discepolo.
Anche in questo caso però è il discepolo che è chiamato a creare le condizioni per ospitare questa presenza: l’ospite può anche venire a trovarci, ma è necessario che noi gli apriamo la porta e che ci sia spazio per riceverlo.
Amare e fare
Nel cuore del discepolo questo spazio è creato dall’ascolto della Parola. Quando amiamo qualcuno, ascoltiamo la sua Parola, e se ci fidiamo cerchiamo di fare anche quello che ci chiede. Se dunque apriamo la porta, il Padre e il Figlio, uniti nell’amore che è lo Spirito, fanno sosta dentro di noi, prendono dimora, vengono ad abitare in noi. Al contrario, se uno non ascolta la Parola e non la fa, vuol dire che non ama, e dunque il suo cuore resta vuoto, proprio come una casa nella quale l’ospite non può entrare.
Lo Spirito ci aiuta a vivere la relazione con Gesù perché ci ricorda e ci aiuta a capire persino meglio le parole che Gesù ci ha insegnato. Non sempre, infatti, capiamo tutto e bene. E una relazione va approfondita e cresce con il tempo. Anche nella relazione con Dio possiamo crescere e possiamo farlo proprio grazie allo Spirito.
Leggersi dentro
- Sei uno che costruisce comunione o uno che divide per i propri interessi?
- In che modo lasci che il Signore venga ad abitare in te?