V Domenica di Pasqua - Anno C
At 14, 21-27; Sal 144; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-35.

«Eravate invecchiati infatti,
per me non costituivate ancora una casa,
eravate giacenti sotto le vostre macerie.
Perciò, per essere tratti fuori
dal cumulo annoso della vostra rovina,
amatevi gli uni gli altri».
Sant’Agostino, Discorso 336,1
Le parole ultime
Alla fine, si dicono le cose più importanti. Quando il tempo sta finendo, consegniamo alle persone che amiamo, il nucleo più profondo del nostro cuore.
La relazione terrena tra Gesù e i suoi discepoli volge ormai al termine: Giuda ha preso la decisione di gettarsi nella notte, quella notte che è prima di tutto nel suo cuore. Giuda sprofonda nei suoi abissi interiori. Ma è proprio quella notte che permette alla luce di Cristo di splendere.
La novità dell’amore
Nel momento finale di questa relazione con i discepoli, Gesù affida loro un comandamento nuovo. È una novità che riguarda l’amore. La cosa più importante che Gesù affida alla Chiesa è semplicemente questo invito ad amarsi. E infatti sappiamo bene che proprio lì si nasconde la sfida più insidiosa. Non nelle cose da organizzare o negli eventi da costruire, non nella divisione del potere o nella costruzione dei tribunali, ma nel mettere alla prova la capacità di amare.
Questo comandamento è nuovo certamente perché sposta il baricentro della legge: il fulcro della fede non è più lo sforzo individuale di stare degnamente davanti a Dio, ma nella scelta di amare nonostante tutto. Si tratta di amare anche quando l’altro non la pensa allo stesso modo, anche quando l’altro ci ferisce o mostra indifferenza, anche quando l’altro ci fa del male. Ecco perché questo comandamento è nuovo, perché si tratta di amare anche quando non ci conviene.
Questo comandamento è nuovo anche perché è la dinamica dell’amore che viene da Dio: «Ecco, faccio nuove tutte le cose!» (Ap 21,5). È il Risorto che ci fa vedere in maniera nuova tutte quelle dinamiche che davamo per scontato. Ogni relazione, ogni contesto, assume un colore diverso se Dio è presente.
Il suo amore come criterio
Questa novità consiste soprattutto nell’aggiunta di un come che Gesù inserisce nel comandamento che lascia ai discepoli: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Senza questo come, precipiteremmo nell’abisso del confronto e della competizione.
Tendiamo spesso a misurare l’amore e il criterio è di solito l’amore dell’altro: ci sentiamo in debito perché qualcuno ci ha amato, non amiamo perché qualcuno non ci ha amato, calcoliamo l’amore per essere tutt’al più in pari con i conti, cerchiamo di non esagerare perché non sappiamo mai se l’altro sarà in grado di restituire. Questa è la dinamica che distrugge l’amore.
Gesù invece pone il criterio dell’amore fuori dalla relazione: il criterio è il modo in cui lui ci ha amato e ci ama, non come ci ama l’altro! E Gesù ci ha amato fino in fondo, senza risparmiarsi e senza fare calcoli. In questo modo ci ha svelato la novità del comandamento dell’amore. Una logica nuova che fa saltare i criteri umani del calcolo e della reciprocità.
Originali nell’amore
Ci distingueremo come cristiani proprio per questa novità, se saremo capaci cioè di amare in un modo che sorprende. Altrimenti continueremo a stare dentro le logiche vecchie della mondanità. Scompariremo se non saremo originali nell’amore. Se nella Chiesa continuiamo a parlare di ruoli, di potere, di come spartirsi la gestione degli affari, non saremo riconosciuti come discepoli di Cristo: dal modo in cui ci amiamo, saremo riconosciuti.
L’amore implica la disponibilità a passare attraverso le tribolazioni, come ben ha imparato la Chiesa delle origini. È nella prova che viene fuori il modo nuovo di amare «dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni» (At 14,22).
Leggersi dentro
- Qual è il tuo modo di amare dentro le relazioni?
- Dal tuo modo di amare puoi essere riconosciuto come un discepolo di Cristo?