Il ministero diaconale in una Chiesa sinodale e missionaria: per essere testimoni di speranza

Prof.ssa Serena Noceti, dottore in teologia, docente di Teologia sistematica presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana “S. Caterina” (Firenze)

22 febbraio 2025

1.    IN UNA CHIESA SINODALE-MISSIONARIA, L’INSOSTITUIBILE MINISTERO DEI DIACONI

 

Il tema del diaconato ha progressivamente acquisito spazio nel corso dei lavori del Sinodo 2021-24, dai primi rapidi accenni nella consultazione delle chiese locali alle diverse prospettive indicate nelle assemblee continentali al più approfondito confronto nel corso delle sue sessioni di ottobre 2023 e 2024. Nell’orizzonte della recezione della visione ecclesiologica del concilio Vaticano II sulla missione di tutto il popolo di Dio, nel quadro di una più matura promozione della corresponsabilità differenziata di tutti, nel servizio nelle chiese locali, il Documento finale, al numero 73, prospetta alcuni tratti di una sintetica e significativa presentazione del ministero dei diaconi, intessendo espressioni e riferimenti impliciti ai documenti del Concilio con la ricca e variegata prassi pastorale che si è dispiegata in questi sessanta anni dalla coraggiosa reistituzione di questo ministero esercitato in modo permanente, fatta dai padri conciliari. Una ministero radicato nella più antica Tradizione, ma riconfigurato nella e per la chiesa di oggi.

 

Servi dei misteri di Dio e della Chiesa (cfr. LG 41), i diaconi sono ordinati «non per il sacerdozio, ma per il ministero» (LG 29). Lo esercitano nel servizio della carità, nell’annuncio e nella liturgia, mostrando in ogni contesto sociale ed ecclesiale in cui sono presenti la relazione tra Vangelo annunciato e vita vissuta nell’amore, e promuovendo nella Chiesa intera una coscienza e uno stile di servizio verso tutti, specialmente i più poveri. Le funzioni dei diaconi sono molteplici, come mostrano la Tradizione, la preghiera liturgica e la prassi pastorale. Esse andranno specificate in risposta ai bisogni di ogni Chiesa locale, in particolare per risvegliare e sostenere l’attenzione di tutti nei confronti dei più poveri, nel quadro di una Chiesa sinodale missionaria e misericordiosa.

 

Già l’Instrumentum laboris per la seconda sessione dell’Assemblea sinodale, auspicando un ulteriore approfondimento dal punto di vista teologico sul diaconato, aveva sottolineato il «legame di mutua interdipendenza» che sussiste tra vescovo, presbiteri e diaconi «per l’attuarsi del servizio apostolico». In questa prima direttrice insiste anche il Documento finale, ai numeri 68-69, presentando diaconi e presbiteri «[con il Vescovo] corresponsabili del servizio ministeriale nella Chiesa locale», tutti «al servizio dell’annuncio del Vangelo e dell’edificazione della comunità ecclesiale». La domanda sullo specifico della figura diaconale va collocata, come mostra la rinnovata teologia del ministero ordinato del concilio Vaticano II e in particolare nel terzo capitolo di Lumen gentium (LG 20.24.28), nell’insieme delle figure ministeriali, a partire dal vescovo, che ha ricevuto con la consacrazione episcopale la pienezza del sacramento dell’ordine (LG 29) e con i presbiteri suoi collaboratori. I diaconi sono ordinati «non ad sacerdotium sed ad ministerium» (LG 29), servi della chiesa -come ministri ordinati- in una forma specifica e singolare: dobbiamo riscoprire l’insostituibile apporto dei diaconi per una chiesa che voglia accogliere la prospettiva di conversione e rinnovamento sinodale e missionario, a cui papa Francesco ha chiamato tutti, fin dal documento programmatico del suo pontificato, Evangelii gaudium.

La ormai lunga stagione post-conciliare ha visto il fiorire di modalità differenziate di essere diaconi e servire come diaconi nelle diverse chiese locali; differenti sono state le categorie teologiche assunte o i modelli interpretativi sviluppati -nelle pagine dei libri di teologia, nei documenti magisteriali pontifici o delle conferenze episcopali, o quelli che hanno animato e alimentato profondamente la spiritualità e l’agire pastorale dei diaconi del mondo. Il Documento finale legge questa pluralità come ricchezza. Diversi accenti sono stati posti per delineare lo specifico di questa figura ministeriale: da chi accentua il fondamento cristologico o la rappresentazione del Cristo servo, a chi sottolinea la fondazione pneumatologica, l’agire in nomine ecclesiae; tra chi mette in primo piano la collocazione del diacono (ministero della soglia) a chi coglie lo specifico nel carattere di intermediazione (go-between), a chi insiste sulle dinamiche di relazione e di servizio, solidarietà, carità, in particolare per i più poveri. Il Documento finale per certi aspetti le intesse l’una con l’altra:

 

«esercitano [il ministero diaconale] nel servizio della carità, nell’annuncio e nella liturgia, mostrando in ogni contesto sociale ed ecclesiale in cui sono presenti la relazione tra Vangelo annunciato e vita vissuta nell’amore, e promuovendo nella Chiesa intera una coscienza e uno stile di servizio verso tutti, specialmente i più poveri».

 

Nel quadro di quanto autorevolmente indicato in questo Documento, che raccoglie il cammino delle chiese locali di tutto il mondo e il discernimento dei partecipanti alla Assemblea sinodale, e che il papa ha accolto come parte del suo magistero ordinario, vorrei ritornare a riflettere sulla figura dei diaconi e sul loro contributo allo sviluppo di una chiesa costitutivamente sinodale-missionaria.

Come per vescovi e presbiteri, e insieme con loro, l’agire dei diaconi è costitutivo del Noi ecclesiale, nel suo essere edificato nella storia intorno al principio generatore della comunicazione dell’evangelo, è “ministero di comunità”, a servizio della apostolicità dell’annuncio di fede e dell’unità del corpo di Cristo. «Il diacono può provvedere a uno specifico servizio dal suo posto unico nel network delle relazioni che è la chiesa»[1].

Quale specifica attestazione della fede apostolica è garantita dal diacono? Qual è la relazione peculiare dei diaconi con la comunità cristiana? Quale servizio specifico nella relazione chiesa-storia a servizio del Regno di Dio è garantito dalla presenza e azione ministeriale dei diaconi?

E vorrei porre questa riflessione oggi in specifico rapporto con la speranza. La speranza dell’umanità e della chiesa, che i diaconi compartecipano, testimoniano, servono in un modo unico. 

 

Rileggendo le parole del Documento finale del Sinodo, richiamando alla memoria l’affermazione conciliare su un “ministero non sacerdotale” (di LG 29) e guardando agli specifici compiti e gesti dei diaconi nella liturgia eucaristica, che è il momento rivelativo e realizzativo della identità di ogni soggetto ecclesiale, co-costituente con gli altri il corpo di Cristo che è la chiesa, mi sembra di poter sottolineare il fatto che i diaconi, come ministri ordinati, custodiscono l’apostolicità della fede garantendo la correlazione costitutiva tra il vangelo, la fede dei cristiani, e la vita vissuta nell’amore. Il diacono garantisce il volto di una chiesa che è generata e rigenerata da un vangelo annunciato, incarnato in relazioni di amore, testimoniato in azioni e rapporti di autentica umanità e umanizzazione per tutti. I diaconi attestano a tutti che una fede professata che non si faccia carità vissuta, in particolare per coloro che sperimentano il bisogno e vivono situazioni di povertà e fragilità, è inutile e contraddittoria, perché nega la sua stessa radice cristologica e trinitaria. Con l’ordinazione, sono resi capaci di servire a nuovo titolo la chiesa serva, come il Cristo servo di Dio e dell’umanità: fanno in modo che tutta la comunità cristiana viva secondo uno stile diaconale, si preoccupi di incarnare il vangelo e di essere una chiesa povera e dei poveri, non solo per i poveri. Come afferma LG 41, il diacono è proprio così “ministro dei misteri di Cristo e della chiesa”, custode di una chiesa a servizio del Regno di Dio, che si realizza progressivamente e si manifesta nella trama delle vicende dell’umanità.

Il ministero dei diaconi non si esprime nella presidenza della comunità raccolta, ma nella promozione attiva di una chiesa della diaconia, “una chiesa samaritana”, che in questa storia si prende cura di ognuno e che reclama e percorre le vie della giustizia. Davanti a logiche di potere autoritario, di clericalismo, di gerarchizzazioni indebite, di un primato dato a riti staccati dalla vita, che segnano talora le relazioni e l’agire ecclesiali, la chiesa è richiamata dai diaconi a vivere il primato del servirsi gli uni agli altri e alla paradossale prospettiva del farsi grandi mettendosi all’ultimo posto: “essere una chiesa della lavanda dei piedi”, a imitazione di Gesù Signore e Maestro, che sovverte le logiche mondane e fattivamente dischiude uno stile nuovo di rapporti.

 

2.    DIACONI IN UNA CHIESA DELLA SPERANZA

 

In questo tempo del Giubileo, anno di grazia e di liberazione che il Signore ci dona, vorrei approfondire questo custodire l’apostolicità dell’annuncio di fede fatto dai diaconi, in e per una chiesa serva, proprio nella prospettiva della speranza.

In questo tempo in cui sperimentiamo che la speranza è “virtù difficile”, perché siamo abituati a cercare gratificazioni istantanee, anche sul piano della fede, e ci concentriamo sulle nostre piccole speranze e su sogni limitati, nei confini gestibili delle nostre esistenze individuali; in un tempo in cui abbiamo smarrito le parole di una speranza collettiva di bene e giustizia per tutti, davanti ai conflitti e a ingiustizie economico che rendono impossibile la vita e la dignità di tanti, di troppi uomini e donne, e fatichiamo quindi ad annunciare il Regno di Dio; in una società dell’incertezza, dell’insicurezza, della precarietà, come i diaconi possono essere “servi della speranza”?

Per riflettere su come i diaconi possano testimoniare la speranza, vorrei proporvi tre passi: prima di tutto, facendo eco alle evocative parole del libro di Zaccaria (9,9-12) vorrei vedere i diaconi come “prigionieri della speranza”, per poi coglierne l’identità di “servi della speranza” e “custodi della speranza perché custodi della promessa della vita”.

 

2.1  PRIGIONIERI DELLA SPERANZA, CON I POVERI

“Essere prigionieri” vuol dire essere “vincolati”, “legati”, “incatenati”, non poter disporre di noi stessi perché una passione ci abita. La fede apostolica che i diaconi, come ministri ordinati, custodiscono e a cui richiamano con le loro parole e il loro agire pastorale, è segnata dalla speranza: radicata sulla fede nel Crocifisso risorto, la chiesa vive della speranza del Regno di Dio che Gesù ha annunciato e iniziato, e che si realizza nell’amore concreto di chi si fa carico del bisogno dell’altro (come ricordano in Mt 25 le parole sul giudizio finale); la chiesa mantiene viva nel corso della storia una parola di promessa, in attesa di un compimento di bene per tutti. La chiesa vive del paradossale annuncio delle beatitudini: dei poveri è il Regno di Dio, di chi ha fame e sete della giustizia e per questo viene perseguitato, di chi piange o sperimenta il limite e il bisogno.

L’annuncio che i diaconi danno è proprio questo e risuona negli spazi della vita quotidiana, delle relazioni di vicinato e di parentela, nei luoghi del lavoro e delle attività professionali, quale parola ricca di senso, capace di illuminare l’umano, i rapporti, le logiche dell’abitare, del produrre, del consumare, come un annuncio vivo, vitale, umanizzante, perché porta al cuore la parola della promessa del vangelo del Regno che trasforma le relazioni. Sarà un annuncio che risuona anche nei luoghi della sofferenza e del limite umano, dove si sperimenta la vicinanza drammatica della morte e la miseria senza prospettive di futuro: l’ospedale, il carcere, il cimitero, le case di cura e gli hospices, i centri di accoglienza per poveri, migranti, tossicodipendenti, i centri di ascolto della caritas, i campi profughi. In un modo unico e insostituibile la parola dei diaconi è parola di speranza.

Il servizio del diacono può aiutare a superare le tentazioni sacralizzanti di tante  esperienze religiose, per richiamare il dono della grazia sanante e liberante di Dio e per sollecitare la comunità a farsi serva delle speranze di tanti, quelli di cui nessuno si preoccupa.

Nella vita pastorale, il diacono, come orecchio del vescovo, riconsegna alla chiesa sinodale nuove voci e nuovi linguaggi: il grido dei poveri, le parole “non clericali” che annunciano liberazione per tutto l’essere umano e per tutta l’umanità, le attese e i sogni di speranza di chi sperimenta il limite. Come occhio del vescovo, il diacono riconsegna alla chiesa missionaria nuovi sguardi sulla realtà e nuove collocazioni: dalla parte del piccolo, del povero, uno sguardo dal basso e dal limite. Il diacono porta la comunità cristiana a vivere nuovi incontri e richiama tutti e tutte a uno stile evangelico di presenza: una chiesa che sa toccare e farsi toccare dalle persone, come Gesù, il Buon samaritano, che vede, prova compassione, si prende cura in prima persona e coinvolgendo altri, garantisce prospettive di vita e di futuro. Come è scritto sulla tomba della diacona Aerie (+ Amisos 562) il diacono è «Fedele serva di Cristo, diacono dei santi, amica di tutti».

I diaconi favoriscono una reale maturazione dell’unità tra fede e vita, senza separazioni indebite tra sacro e profano. I diaconi dislocano la chiesa, perché la sollecitano a essere presente sul territorio non solo attraverso la capillare struttura parrocchiale, ma in ogni luogo dove l’essere umano vive la sofferenza, il rifiuto, la fragilità, la fatica del vivere: negli ospedali, nel carcere, nel cimitero. Il ministero del diacono correla “cura” e “giustizia”: attenzione concreta al bisogno della persona e trasformazione delle condizioni sociali perché ci sia giustizia per tutti. I diaconi, come Filippo, vanno sulla strada assolata per incontrare chi è escluso come l’eunuco: portano così la chiesa in nuovi luoghi, a vivere nuovi incontri e insegnano alla chiesa intera (dai vescovi ai laici) a farsi toccare dalle persone, dai loro bisogni, dalla loro vita, in modo da vincere la tentazione di un cristianesimo disincarnato, rassicurante, rapsodico, “di morale”.

Come diceva Walter Benjamin “coloro per i quali ci è data speranza sono i senza speranza”: in questi luoghi si può e si deve imparare a pronunciare la parola della speranza, a vivere secondo la speranza, ad alimentare la speranza.

 

E nella liturgia eucaristica questo diventa evidente. «La presenza del diacono nella liturgia non è questione di solennità maggiore, ma di significato […]. Il diacono contribuisce a una manifestazione più piena del volto della chiesa riunita nella assemblea liturgica»[2]. Il diacono raccoglie nella preghiera dei fedeli i desideri e le preghiere di chi chiede “Fino a quando? Fino a quando ci sarà povertà, sofferenza, guerra, violenza, ingiustizia nei nostri giorni?”; le preghiere di chi è disperato e chiede che Dio porti a compimento ciò che ha promesso; la preghiera di chi è smarrito e non sa più leggere il tempo della vita e della storia. Il diacono raccoglie con le oblate l’opera degli esseri umani che attivamente dischiudono, nel lavoro e nel servizio, la venuta del Regno promesso, di chi semina senza conoscere i tempi del risultato sperato.

Prigionieri della speranza, con i poveri.

 

2.2  SERVI DELLA SPERANZA OPEROSA DEL REGNO DI DIO

Al cuore della speranza cristiana sta l’annuncio che il Regno di Dio si sta compiendo in questa storia e insieme che la promessa di Dio già dischiude orizzonti ulteriori verso il compimento. Nella vita di una chiesa sinodale i diaconi sono portatori di uno sguardo e di una parola: chiamano tutti a considerare, a conoscere e abbracciare, il contesto sociale, culturale, politico ed economico in cui la chiesa locale vive: lì si sta compiendo il Regno e lì la chiesa è chiamata a servire nella speranza. I diaconi portano nel confronto ecclesiale temi spesso dimenticati che hanno a che fare con l’amore vissuto e il servizio (ad esempio il lavoro, le implicazioni sociali dell’annuncio cristiano) e sollecitano alla collaborazione con quanti, animati da altre esperienze religiose o guidati da altre motivazioni umane, lottano per la giustizia, la pace, la fraternità universale, la salvaguardia del creato.

Con i diaconi la chiesa sceglie le periferie, i confini, le soglie: si disloca rispetto agli spazi tradizionali della vita della comunità di fede e di culto. Tutti questi luoghi sono luoghi di una spiritualità nuova, incarnata, di chi è umanamente alla ricerca di un senso condiviso. Con i diaconi la chiesa ritorna a riconoscere le case come luoghi di vita ecclesiale, e i luoghi di lavoro, i crocevia e i non-luoghi, che rappresentano e definiscono la nostra epoca e introducono parametri spaziali differenti, come spazi privilegiati della sua missione messianica. Lì l’annuncio della fede apostolica risuona in forma nuova; una chiesa serva è una chiesa che sa vivere dove le persone vivono, amano, lavorano, lottano, che sa modificare i suoi piani e le sue attività ascoltando le urgenze esistenziali e valorizzando le esperienze diversificate di tanti. Con i diaconi, nella varietà del loro servizio ministeriale, la chiesa può superare un cristianesimo delocalizzato, “neutro rispetto ai luoghi e alle culture”, un cristianesimo rassicurante e ricercato solo da chi vuole garanzia di status quo, senza vivere la virtù pericolosa della speranza.

Anche in questo la leadership ministeriale dei diaconi non è di presidenza, ma è una leadership “da servi” e con stile di servizio, non impositivo (servant leadership): i diaconi sospingono le attività pastorali nel contesto concreto e orientano alla lettura dei bisogni di un territorio e dei segni dei tempi, cioè dei segni di speranza, che attestano la venuta del regno di Dio. Mettono in primo piano le parole di futuro, per tutti, soprattutto per i poveri e con i poveri, quelli che guardano con timore al domani per la mancanza di mezzi, forze, sostegni.

La speranza non è fuga dal mondo, ma impegno in un esodo, assunzione di responsabilità di chi crede al Regno di Dio, di chi – sulla base della risurrezione e dell’annuncio del già del Regno in Gesù – sa che il Regno è già all’opera nella storia dell’umanità. I diaconi custodiscono l’apostolicità della fede perché richiamano il legame costitutivo tra l’annuncio del Regno di Dio (al cuore di ogni vera speranza) e la concretezza di relazioni di amore, cura, giustizia. Anche in questo il diacono è promotore di una chiesa della diaconia, in cui si vive la logica della reciprocità, della condivisione, della inclusione, della gratuità, della giustizia autentica nelle relazioni, della interdipendenza di tutti e tra tutti, perché questo è il Regno di Dio di cui Gesù ci ha parlato. “Il cristianesimo non è prima di tutto una dottrina che si dovrebbe conservare il più possibile pura, ma una prassi che deve essere vissuta in modo radicale” (J.B. Metz).

Per il loro specifico ministero ordinato, i diaconi possono aiutare la chiesa intera a correlare in modo autentico speranze personali e speranza collettiva: non si esauriscono nel fare e nel servizio diretto alle persone, ma promuovono lo sviluppo di una comunità cristiana che custodisce la parola di una promessa che è bene per tutti, non somma del bene dei singoli “privatizzato”, e che perciò si impegna per tutti. Un servizio alla speranza oggi particolarmente prezioso.

E nella liturgia eucaristica anche questo risuona: i diaconi invitano allo scambio di pace, anticipazione del Regno vissuto nell’amore, nella riconciliazione, nel dono di sè; i diaconi pronunciano poi la parola del congedo che rimanda a saper vivere il tempo della storia, il frattempo, nella prospettiva del definitivo della speranza cristiana, il penultimo nella prospettiva dell’ultimo, con una speranza impegnativa perché chiamata a trasformare il mondo. Sono i diaconi che ricordano a tutti che “il mondo non è ancora mondo compiuto. Conosce ancora tanto riso e tanto pianto. Non è stata asciugata ogni lacrima da ogni volto. È in una situazione di divenire, di incompiutezza”. La speranza è la condizione perché il nuovo sia possibile: chi spera pronuncia una parola illogica e inedita; conosce il presente nel suo limite ma proprio lì pronuncia una parola di annuncio e di memoria della promessa di Dio, una parola che non si limita a interpretare il presente ma inserisce nel presente una dinamica di futuro nella trama dei rapporti. “La promessa (e la speranza) non vuole reggere lo strascico della realtà, ma portare la fiaccola davanti a lei”.

 

2.3  CUSTODI DELLA SPERANZA, CUSTODI DELLA PROMESSA DELLA VITA

Per servire una chiesa serva del Regno di Dio, aperta alla speranza, è necessario quindi custodire la memoria di una promessa: al cuore del Vangelo sta una promessa di futuro, che non è semplice sviluppo delle potenzialità insite nella storia, sviluppo del passato, ma è “adventus”, un venire del nuovo, dell’inedito di Dio, che ricrea, rigenera, porta a compimento, perché è un Dio della speranza. Il futuro di cui parliamo non è un futuro qualsiasi, ma è quello che ha segnato la vicenda di Gesù, profeta del Regno di Dio, crocifisso risuscitato, che tornerà: l’apostolicità della fede è connotata da questa speranza escatologica.

Anche qui la tradizione liturgica ci illumina. Nella notte della grande veglia di Pasqua al diacono è affidata la proclamazione solenne dell’Exsultet: un canto posto nel cuore della notte che annuncia l’opera di liberazione di Dio e la forza della vita, descrive nuovi rapporti di amore e riconciliazione e richiama la promessa definitiva (la stella del mattino troverà una chiesa vigilante nell’amore); la risurrezione è  prolessi, anticipo, del compimento finale. Davanti a chi è senza speranza, povero, sofferente, vicino alla morte, fragile, di chi vive la separazione e la divisione del conflitto, il diacono custodisce e canta una parola di risurrezione, di speranza, di promessa di vita piena.

Walter Benjamin, nel suo Angelus novus, presenta un’immagine potente, quella dell’angelo che procede verso il futuro all’indietro, senza poter distogliere gli occhi dalle macerie della storia. Questo fanno i diaconi: occhio e orecchio del vescovo, richiamano la chiesa a guardare alle infinite sofferenze dell’umanità e ad osare le logiche di un servizio di speranza. C’è un realismo efficace della speranza, che non guarda mai la cosa come appare nella fase di realizzazione attuale (nel limite), ma guarda sempre per ogni persona o situazione alle possibilità e potenzialità presenti: la speranza è sempre in rapporto con ciò che “ancora”-non-esiste, ma che è stato promesso e anticipato nella risurrezione del Crocifisso, come cantiamo nell’Exsultet pasquale.

 

Il Documento finale del Sinodo esorta a una più generosa promozione del diaconato, in particolare in quelle chiese che – a 60 anni dal Vaticano II- non vedono ad oggi la presenza di diaconi permanenti, «riconoscendo in questo ministero un prezioso fattore di maturazione di una Chiesa serva alla sequela del Signore Gesù che si è fatto servo di tutti». In una chiesa sinodale e missionaria, che si interroga sulla partecipazione di tutti e tutte all’unica missione messianica di tutto il popolo di Dio, l’apporto di parola e di azione dei diaconi risulta necessario.

I diaconi i primi custodi e promotori per il loro ministero di quanto scritto a conclusione del Documento Finale, al n. 153.

 

La tavola che il Signore prepara ai Suoi dopo la Pasqua è il segno che il banchetto escatologico è già iniziato. Anche se solo in cielo avrà la sua pienezza, la mensa della grazia e della misericordia è già imbandita per tutti e la Chiesa ha la missione di portare questo splendido annuncio in un mondo che cambia. Mentre si nutre nell’Eucaristia del Corpo e del Sangue del Signore, sa di non poter dimenticare i poveri, gli ultimi, gli esclusi, coloro che non conoscono l’amore e sono privi di speranza, né coloro che non credono in Dio o non si riconoscono in nessuna religione istituita. Li porta al Signore nella preghiera per poi uscire a incontrarli, con la creatività e l’audacia che lo Spirito ispira. Così la sinodalità della Chiesa diventa profezia sociale, ispira nuovi cammini anche per la politica e per l’economia, collabora con tutti coloro che credono nella fraternità e nella pace in uno scambio di doni con il mondo.

Essere diaconi, servi di una “chiesa serva e prigioniera della speranza” nell’oggi della storia

 

 

[1] W S. McKnight,  The Uniqueness of the Deacon, in J. Keating (ed.), The Character of the Deacon, Paulist Press, Mahwah NJ 2017, 61-84: qui p. 75.  

[2] O. Windels, Le ministère diaconal en liturgie, in Nouvelle revue théologique 119 (1997) 397-404: qui p. 400.