Una Fotografia della Realtà
Testimonianze dai continenti (dal vivo e/o online - 6’ ciascuna)
Modera: Rev.do p. Luca Garbinetto (religioso della Pia Società San Gaetano, formatore e teologo - Italia)
- Italia: Rev.do d. Claudio Baima Rughet (delegato episcopale per il diaconato e incaricato della formazione dei diaconi delle Diocesi di Torino e Susa - Italia)
- Francia e Paesi francofoni: Rev.do d. Luc Forestier (presbitero della Diocesi di Marsiglia, ricercatore associato presso la Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica di Lille - Francia)
- Germania e Paesi del Centro e Nord Europa: Dott. Michael Quisinsky (teologo, docente di Teologia sistematica a Karlsruhe - Germania)
- Stati Uniti: Rev.do diac. Gerald DuPont (presidente del Centro Internazionale per il Diaconato - Galveston-Houston, Texas - USA)
- America Latina di lingua spagnola: Rev.do p. Josè Gabriel Mesa Angulo (teologo dell’Ordine dei Predicatori, Bogotà - Colombia)
- Brasile e Paesi di lingua portoghese: Rev.do diac. José Oliveira Cavalcante (presidente della Commissione Nazionale per il Diaconato della Conferenza Episcopale Brasiliana - Brasile)
- Asia e Oceania: Rev.do Fr. Gilbert de Lima (vicepresidente del Centro Internazionale per il Diaconato - Bombay, India)
- Africa: Rev.do p. Aimable Musoni (docente di Ecclesiologia ed Ecumenismo presso l’Università Pontificia Salesiana - Rwanda)
- Medio Oriente: S.E. Mons. Guy Noujaim (Eparca emerito di Cesarea di Filippi e Vicario patriarcale per Sarba dei Maroniti - Libano)
- Rete internazionale delle spose: Sig.ra Marie-Françoise Maincent (referente per la rete delle spose del Centro Internazionale per il Diaconato - Lille - Francia)
1 - IL DIACONATO IN ITALIA
Don Claudio Baima-Rughet, presbitero della diocesi di Torino, parroco e moderatore di Unità Pastorale, delegato arcivescovile per il diaconato delle diocesi di Torino e Susa, incaricato della Commissione per il diaconato della Conferenza episcopale piemontese.

Un cordiale saluto a tutti da parte dei diaconi delle diocesi di Torino e Susa e delle loro famiglie e da parte del nostro arcivescovo il cardinal Roberto Repole.
L’istantanea sul diaconato nella Chiesa italiana rivela una notevole varietà nelle sue 226 diocesi, legata alle diverse sensibilità dei vescovi e alla presenza o meno di stimoli profetici nelle comunità.
Il 22 gennaio 1969 vennero ordinati a Vicenza i primi sette diaconi permanenti italiani, religiosi della Pia Società San Gaetano, dal vescovo Carlo Zinato figura ecclesiale di spicco, inizialmente contrario. Il fondatore, don Ottorino Zanon, aveva immaginato fin dal 1941 diaconi che vivessero la loro presenza ministeriale specifica in prossimità a quella sacerdotale, ma differenziata. Ancora oggi la congregazione offre ai religiosi un tempo di discernimento verso l’uno o l’altro ministero. Notevole è stato l’apporto di alcuni sui membri, tra cui padre Luca Garbinetto, all’approfondimento del tema, offrendo preziose occasioni annuali di studio e confronto.
A Reggio Emilia don Alberto Altana, altro precursore, prete dei Servi della Chiesa, condivideva con il suo fondatore don Dino Torreggiani, l’idea che il diacono, individuato dalle comunità, fosse espressione diretta del corpo dei battezzati. Don Altana iniziò a redigere nel 1970 la rivista Il diaconato in Italia e fondò anche La Comunità del Diaconato in Italia. L’associazione continua a svolgere un’importante attività di promozione e formazione grazie all’impegno del Consiglio direttivo e del suo attuale presidente, il diacono Enzo Petrolino. I convegni biennali sono un’importante occasione di incontro nazionale.
Nel novembre del 1970, l’Assemblea Generale della CEI, approva con 214 voti favorevoli su 221 La restaurazione del diaconato permanente in Italia. Dopo 54 anni possiamo dire che con i suoi 4.941 diaconi, è il paese europeo con il maggior numero di ordinati, per una popolazione di 59 milioni di abitanti, l’81% cattolici. Sono ormai 1/5 dei preti diocesani. Più di 2.000 di loro sono concentrati in 21 diocesi. 145 diocesi hanno meno di 20 diaconi, 3 non ne hanno nessuno.
Tra le prime diocesi italiane ad aderire all'invito della CEI ci fu Torino, per merito del cardinale Pellegrino. Nell'autunno del 1975 vennero ordinati i primi cinque diaconi. Ora sono 143. Caratteristica del diaconato torinese è stata fin dall’inizio l’attenzione alla comunione vissuta all’interno della crescente comunità diaconale, curata ora dall’Organismo di Coordinamento dei diaconi e delle spose. In contemporanea a Napoli il cardinal Corrado Ursi diede inizio al cammino di formazione e il 29 giugno 1975, ordinò i primi nove diaconi. Ora sono 321, la diocesi italiana con il maggior numero.
Altre tre diocesi hanno più di 100 diaconi. Roma avviò il percorso nel 1982, ed ora ha 135 diaconi. Bologna ne ha 154, i primi ordinati nel gennaio 1984. Milano, dove dopo un freno ventennale posto dalla Conferenza episcopale lombarda, il cardinal Martini ordinò il 20 ottobre 1990 i primi 5 diaconi ambrosiani che ora sono 166.
Molto varie sono le situazioni locali. I compiti di discernimento e formazione sono spesso svolti da équipe di “coppie diaconali” sotto la guida del delegato episcopale. Gli studi teologici, svolti quando possibile, presso gli Istituti di scienze religiose, sono altre volte seguiti presso un’apposita scuola per il diaconato.
Il loro ruolo è plastico, capace di adattarsi alle varie necessità e dovrebbe permettere sperimentazioni pastorali in questo tempo non facile ma neanche privo di nuovi germogli evangelici. Molti diaconi hanno già specifici incarichi nella pastorale della salute, nelle Caritas e nei vari uffici diocesani. La maggior parte di loro è impegnata nelle numerosissime parrocchie del paese. Tessitore di relazioni, il diacono attento alle varie povertà e necessità, svolge servizi liturgici e tiene unita la comunità, presupposto indispensabile per l’esistenza della stessa Chiesa. Molti territori non sarebbero gli stessi senza la presenza dei diaconi. É necessario quindi che alla formazione teologica e liturgica siano affiancate “comunità di pratica” per esercitarsi nella gestione dei conflitti e nel lavoro di gruppo.
Sono in prevalenza uomini sposati. Questa dimensione aiuta a costruire comunità cristiane famigliari e solidali. La loro esperienza professionale e la formazione scolastica medio-alta, arricchiscono la programmazione pastorale aiutando a valutare la realtà delle persone a cui è rivolto l’annuncio del Vangelo. La presenza nei vari ambienti lavorativi può rappresentare una straordinaria occasione di testimonianza evangelica.
Mi pare che là dove i diaconi sono presenti da più tempo siano stati superati gli iniziali pregiudizi legati alla indeterminatezza del ruolo e all’ingresso di sposati nell’ordine sacro. In particolare si è diffusa la consapevolezza che all’origine del ministero diaconale ci sia un dono sacramentale che lo rende partecipe del servizio apostolico del vescovo, insieme al suo presbiterio. Fondamentale per il diacono è la relazione con gli altri ministri ordinati. La reciproca stima e la consapevolezza dell’unica sorgente sacramentale dovrebbero favorire una confidenziale amicizia e far fiorire l’attività pastorale in quella comunione che è la prima missione dei discepoli di Cristo.
Crescente è nelle comunità l’ammirazione per la fede e la generosità di questi uomini che accettano di dedicare gratuitamente una parte importante del loro tempo alla formazione, allo studio e all’esercizio del ministero. Sono un segno di vitalità e di speranza.
2 - UN «DIACONAT À LA FRANÇAISE»?
LA QUESTION DES AUTORITÉS DANS L’ÉGLISE
[Luc Forestier est prêtre du diocèse de Marseille, en mission à Lille. Comme ecclésiologue, il est chercheur associé à la Faculté de théologie de l’Université catholique de Lille. Outre les rapports entre l’Église et le peuple d’Israël, la synodalité et la réception du concile Vatican II, il dirige avec deux collègues le groupe de recherche Diakonos sur le diaconat.]
Luc Forestier è sacerdote della diocesi di Marsiglia, in missione a Lille. Come ecclesiologo, è ricercatore associato presso la Facoltà di Teologia dell'Università Cattolica di Lille. Oltre al rapporto tra la Chiesa e il popolo d'Israele, alla sinodalità e alla recezione del Concilio Vaticano II, con due colleghi dirige il gruppo di ricerca Diakonos sul diaconato.

C’est en Suisse francophone qu’apparaît l’expression « diaconat à la française » car la singularité de l’histoire du diaconat en France se fait sentir en Belgique et en Suisse francophones. En revanche, le développement du diaconat est resté marginal dans les pays d’Afrique où le français constitue une langue importante, et l’expérience du Québec mériterait une autre étude.
L’objectif de mon intervention n’est pas de décrire la situation actuelle du diaconat dans les zones francophones. Je propose de faire apparaître quelques-unes des questions qui émergent au sein de Diakonos, groupe de recherche œcuménique, interdisciplinaire et international de la Faculté de théologie de l’Université catholique de Lille, avec une quarantaine de collègues dont plusieurs sont ici présents. Pour simplifier, je distingue les questions théologiques et les questions pastorales.
1. Sur le plan théologique
Toute étude sur le diaconat doit prendre en compte la complexité des relations internes aux Églises locales. Les choix du pape François à propos des ministères institués favorisent encore cette complexité. Les relations délicates entre tous les acteurs et toutes les actrices de la vie des Églises locales, peuvent alors devenir conflictuelles, et freiner la mission d’évangélisation.
Or, sur le plan théologique, je vois deux risques symétriques, qui montrent notre difficulté à sortir de la matrice tridentine. Le premier est la disqualification du diaconat – non reçu dans beaucoup d’Églises locales, au point que le Document final du Synode sur la synodalité appelle celles-ci à être « plus généreuses » (n°73). Le deuxième risque est la simplification de l’identité ministérielle des diacres en confondant diaconie et diaconat.
Trente avait fixé un cursus clérical, au sommet duquel se trouvait le sacerdoce, et vers lequel tendaient tous les ministères. Vatican II a recadré cette représentation, en organisant les ministères à partir de la catégorie de l’apostolicité, en reconnaissant l’importance de l’Église locale et de son évêque. Mais cet enseignement est loin d’être reçu partout, comme le montre la résurgence d’une théologie du sacerdoce qui marginalise le diaconat.
L’autre risque tient à une insistance unilatérale sur le « service » voire sur le souci des « pauvres ». Or, c’est le baptême qui invite tous les chrétiens à vivre le service. Et ce dernier s’exerce dans toutes les dimensions, et pas uniquement vers les personnes vulnérables, même si celles-ci sont prioritaires. Le geste du lavement des pieds ne peut pas être confisqué par les ministres ordonnés – évêques, prêtres ou diacres – au risque d’oublier l’histoire des congrégations religieuses, masculines et féminines, des confréries charitables, de la Caritas, etc.
Le nécessaire travail théologique revient à situer le diaconat à l’intérieur d’une pluriministérialité propre à l’Église, avec plusieurs exigences : 1. Honorer la transformation des relations entre femmes et hommes. 2. Recevoir le recadrage apostolique de Vatican II ainsi que la correction apportée par Benoît XVI au Code de droit canonique. 3. Intégrer les dons que les autres confessions chrétiennes peuvent nous apporter à propos du diaconat. 4. Clarifier les questions d’herméneutique biblique et historique. 5. Prendre en compte la place matricielle de la liturgie. 6. Se mettre à l’écoute des questions que nos sociétés fragilisées affrontent, ce qui pousse à recevoir les questions pastorales.
2. Sur le plan pastoral
L’expérience du « diaconat à la française » tient à la volonté d’insister sur son caractère missionnaire, en refusant de le confiner à la paroisse, en soulignant la pertinence de l’ordination d’hommes mariés ainsi que d’hommes célibataires, en articulant les trois éléments de Lumen gentium 29 que sont, dans l’ordre, la liturgie, la Parole et la charité. Nous n’en sommes qu’au début des apprentissages de l’Église latine dans la prise en compte de ministres ordonnés mariés, avec l’écoute encore insuffisante de l’expérience de ces milliers de femmes qui ont été associées au discernement, à la formation, à l’accompagnement et à la vie de leur mari diacre, avec la prise en compte des expériences contrastées des enfants de diacre, avec la transformation qu’induit le passage à la retraite professionnelle, avec les exigences d’une formation commune avec tous les acteurs de la vie ecclésiale que sont les futurs laïcs en responsabilité, femmes et hommes, ainsi que les séminaristes.
Mais le point décisif tient sans doute à l’interpellation, avec la question d’un discernement synodal des besoins de chaque Église locale et des personnes pour répondre à ces besoins. Parmi ces personnes, il peut y avoir des hommes qui seront un jour diacres, mais il faut aussi interpeller d’éventuels séminaristes, ainsi que des femmes et des hommes disponibles pour la mission. Compte tenu des bouleversements écologiques, politiques, anthropologiques et culturels que connaissent nos sociétés, il est nécessaire de développer une culture synodale de l’interpellation, en faisant confiance aux plus jeunes.
En cela, le diaconat – que ce soit sur le plan théologique ou sur le plan pastoral – constitue un vrai révélateur des enjeux concernant l’articulation des autorités dans l’Église. Une Église qui se veut à la fois missionnaire, apostolique, catholique et synodale, sera attentive à la promotion du diaconat, à l’intérieur d’un ensemble diversifié de ministères. Avec d’autres, le diaconat signifie une réorganisation des autorités dans les Églises. Dans notre monde où la force prend le pas sur la raison, le diaconat est un signe de vérité pour une Église témoin d’un amour qui s’inscrit vraiment dans l’histoire humaine.
3 - ALLEMAGNE ET PAYS D’EUROPE CENTRALE ET DU NORD
[Michael Quisinsky, Docteur en théologie, professeur de théologie systématique à l’Institut de théologie catholique de l’université pédagogique de Karlsruhe (Allemagne).]
Michael Quisinsky, Dottore in Teologia, professore di Teologia sistematica presso l'Istituto di Teologia Cattolica dell'Università Pedagogica di Karlsruhe (Germania).

Compte tenu de la diversité de la situation actuelle du diaconat en Allemagne et dans les pays d'Europe centrale et du Nord, il est utile de commencer par une photographie historique. D'une part, au début du Concile Vatican II, Jean XXIII a qualifié l'histoire de «magistra vitae», d'autre part, les expériences (franco)-allemandes ont joué un rôle historique pour le rétablissement du diaconat permanent par le Concile.
Après que le ministère innovant et implicitement diaconal des «Seelsorgehelferinnen» (assistantes pastorales) a été développé dans le contexte du «Deutscher Caritasverband» (association allemande de la Caritas) dès les années 1930 un mouvement explicitement diaconal a vu le jour dans ce même contexte à partir des années 1950, accompagné par des théologiens tels que Karl Rahner et Yves Congar, et qui a finalement abouti aux décisions du Concile. Depuis le début et jusqu'à aujourd'hui, les recherches sur l'action diaconale des hommes et des femmes et sur le profil ministériel de cette dimension diaconale de la vie de l’Église constituent un laboratoire théologique et culturel. Les étapes centrales de cet apprentissage dans l'espace germanophone ont été notamment les synodes en Allemagne (synode commun des diocèses allemands à Würzburg 1971-1975), en Suisse («Synode 72») et en Autriche.
L'Allemagne et les pays d'Europe centrale et du Nord sont marqués par différentes cultures confessionnelles issues de la Réforme et de l’époque de la confessionnalisation. La situation concrète du service diaconal est donc influencée par le fait qu'il soit exercé dans des régions marquées historiquement par le catholicisme, comme le sud de l'Allemagne, ou dans des régions ou le catholicisme est minoritaire, en particulier en Europe du Nord. Les différents contextes offrent de manières très diverses des possibilités d'apprentissage œcuménique.
Le ministère diaconal se caractérise actuellement par une grande diversité et une grande flexibilité. Il permet ainsi à l'Église de faire de nombreuses découvertes, en particulier en périphérie. Par son ouverture aux situations concrètes de la vie humaine et de la vie en communauté, il contribue à la crédibilité du message de l'Évangile. Cette crédibilité est également l'une des principales raisons pour lesquelles l'ordination des femmes au ministère diaconal est souhaitée par beaucoup de catholiques dans les pays germanophones, y compris par des évêques.
Une particularité de nombreux diocèses est que certains diacres travaillent dans le service de l'Église à temps partiel, d'autres à temps plein. Les deux voies offrent des possibilités partiellement différentes de rencontrer et d'accompagner les gens dans des situations très variées. En plus, les différentes auto-perception des diacres , qui souvent mettent en avant un accent particulier de leur ministère tels que la liturgie, l’annonce de la foi, le service etc., représentent une richesse, mais aussi une question de «reconnaissabilité».
La diversité du ministère diaconal est secondée dans de nombreux diocèses d'Europe centrale et d'Europe du Nord par une diversité de ministères et de professions pastorales qui existent depuis longtemps (notamment les femmes et hommes qui sont «agents pastoraux» ou «assistants pastoraux») auxquelles se rajoutent désormais la possibilité d’introduire des ministères institués (par exemple, les catéchistes). Le défi majeur est d'éviter la coexistence confuse de compétences et tâches et de favoriser une complémentarité non seulement affective, mais aussi effective du témoignage.
Actuellement, l'Église des pays germanophones connaît une profonde transformation qui se manifeste dans la fusion à grande échelle des paroisses. L'un des enjeux théologiques et pastoraux non résolus de cette évolution est la forme que doit prendre la coexistence des ministères presbytéral et diaconal. Le manque croissant d’ordinations presbytérales rend parfois difficile la mise en valeur du profil spécifiquement diaconal du ministère ordonné des diacres. Ceux-ci peuvent d'autant plus mettre en avant la dimension diaconale de l'Église que leur ministère ne soit pas perçu comme un substitut aux presbytres qui font actuellement défaut en de nombreux endroits.
Le développement du diaconat en Allemagne et dans les pays d'Europe centrale et d'Europe centrale a été accompagné dès le début par une réflexion théologique très substantielle. Les expériences faites par les diacres et ceux qui les rencontrent peuvent concrétiser le caractère de la théologie comme «laboratoire culturel» (Veritatis gaudium 3). Une des questions centrales qui se posent aujourd'hui dans ce domaine est de savoir comment la tâche générale de la diaconie d'une Église toute entière diaconale et ministérielle et le ministère spécifique des diacres se rapportent l'un à l'autre. Les expériences faites depuis les origines du mouvement diaconal et en particulier depuis le concile et les synodes des années 1970 le montrent: les diacres peuvent initier, inspirer et incarner une Église «en sortie», unissant la fidélité à l’Évangile et la fidélité à nos contemporains, témoignant au quotidien de l’espérance.
4 - THE DIACONATE TODAY IN NORTH AMERICA
Deacon Gerald DuPont, from Houston (Texas), president of the International Centre for the Diaconate.

Background: On August 30, 1968 Pope Paul VI granted the petition of the United States Bishops for the restoration of the diaconate to its episcopal conference and Canada followed with its request shortly thereafter. A national study in 1981 (10-12 years of experience) acknowledged that the original purpose of the diaconate and its integration into the life of the Church had not been fully realized as of yet. In a very real sense, the diaconate in North America was still in its infancy. The biggest issues raised in the first study was the lack of understanding of the permanent diaconate on the part of the laity with a lack of acceptance, especially on the part of the priests. Other concerns raised by the 1981 Study was the questionable effectiveness of the diaconate in pastoral ministry in the dioceses and parishes, a danger of elitisms and clericalism and the need for better screening prior to admission and better training during formation. However, based on a second national study in 1995, approximately 25 years after the restoration of the diaconate, the study confirmed the success of the restoration of the diaconate in the United States in terms of the number of vocations and its singular and indispensable service to the local parishes. It found that the restored Diaconate was largely parish based, and had been quite successful in the parish setting. However, the ministry of the diaconate had not broadened out to the diocese or the marketplace, nor had the diaconate been a model of ministries of charity and justice within the diocese or the larger secular world.
Contributions and Challenges of the Diaconate: There is no doubt that the restored diaconate has been hugely successful as seen by its steady growth in North America over the last 50+ years. And the vast majority of deacons have reported being highly satisfied with their ministry and very encouraging to advise others to also pursue the diaconal vocation. For the most part, the deacons themselves find great satisfaction in their parish work, their pastors who are their supervisors find them increasingly indispensable, and the lay parish leaders view the deacons as increasingly necessary aides and helpers to their busy priests.
To the question of what do deacons do, the previous national studies indicate the deacons do the things that priests did unaided before the restoration of the diaconate. The 1995 Study states emphatically that the diaconate has become the unintentional solution to the decline in priestly vocations. In fact, the number of priests in North America is decreasing at approximately the same rate as the number of deacons is increasing. At the current rates the number of deacons will equal the number of priests in approximately 25 years. But it is quite clear that the reinstitution of the diaconate is not meant to be a remedy for the shortage of priests, because it distorts the meaning of both priesthood and diaconate.
The 1995 Study indicated that the focus of ministry for most of the deacons is largely liturgical and sacramental and they perform these expected tasks quite well. This particular focus is understandable since most deacons spend between 10-20 hours a week in ministry, and the pastor needs help in baptismal preparation and baptism, marriage preparation and weddings, funeral vigils and grave sites, home bound and funeral home visitations, as well as teaching in OCIA and helping out on a regular basis in preaching, just to name a few. With the limited number of hours, the deacon has to give among his other responsibilities to his family and his career, the parish needs are perceived as primary over that of the ministries of social justice and charity, thus mooring the deacon even more to the parish and being identified as indispensable to parish life by deacons, pastors, and laity. Therefore, a primary challenge of the diaconate for the future in North America is to “broaden the diaconate ministries beyond its largely successful and increasingly indispensable adaptations to parish life and emphasize more strongly that deacons through ordination, are called to be model, animator and facilitator of ministries of charity and justice within the local diocesan church” (1995 Study, page 13).
In light of this observation, the latest National Directory has strongly articulated the three-fold diaconate ministry of Servants of the Word, Servants of the Liturgy and Servants of Charity, and the strong connectedness of all three (ND #38-39). In fact, it states quite clearly that the diaconal ministries of Word, Liturgy, and Charity “are not to be separated; the deacon is ordained for them all, and no one should be ordained who is not prepared to undertake each in some way” (ND #41). With this in mind a growing number of dioceses in North America are making dual assignments at ordination. The deacon is assigned to a parish with the duties and responsibilities of the deacon spelled out in a Parish Ministry Agreement. At the same time, the deacon is also assigned to a special diocesan ministry of charity with the duties and responsibilities of the deacon spelled out in a Special Diocesan Ministry Agreement. This is an attempt to broaden the ministry of the deacon outside of the parish which the deacon in general has been tied, even chained for nearly 50 years. It remains to be seen if this will have a lasting effect on the diaconate in North America.
If we were to give a typical profile of a deacon based on the recent demographics on the diaconate from a third study in 2018, the deacon would be 66 years old, Caucasian, married, college educated, deeply spiritual, and highly motivated toward service. With this image of the typical deacon, the question needs to be asked what the local church should be looking for in their recruitment and selection of future candidates to the diaconate to insure the church’s sacramental service remains a reality. It seems obvious with the average age of the diaconate at 68 that younger men need to be encouraged to apply to the diaconate. Unfortunately, because of family and career responsibilities, younger men are discouraged from applying. Many younger inquirers are actually discouraged from applying if they have young children at home, thus resulting in the rise of the average age of the diaconate from 49 in 1977 to 68 in 2022.
Because of the growth of the Latino population in North America, presently at 28%, more and more dioceses are offering formation programs in both English and Spanish especially in the theological or intellectual component. And this is necessary because the needs of these growing immigrant communities must always be kept in mind. Paragraphs #174 and #175 in the National Directory actually extensively list the qualities that should be discerned in the person to consider for the diaconate based on its over 50 years of experience. One of the characteristics of an exemplary deacon given is “the ability to lead, motivate, facilitate and animate others into appropriate action and service” (ND2 #174). With this in mind, it seems advisable to invite second and third generations of immigrant families with particular language skills as well as immersion in a particular culture to come forward to serve those of their brothers and sisters who have more recently arrived in this country. However, the emphasis must be on the uniqueness of the diaconate vocation – not based just on the current needs, but based on the deacons’ ministry of charity and justice, being always true to three-fold ministry of Word, Liturgy and Charity.
5 - EL DIACONADO EN AMERICA LATINA
Fr. José Gabriel MESA ANGULO, fraile Dominico de Colombia. Doctor en Teología. Estudioso del Diaconado. Ha estado al servicio del Diaconado Permanente en Colombia y en otros países de América Latina (CELAM) por más de 30 años.

Presentar en pocas palabras una ‘fotografía’ del diaconado en América Latina y el Caribe es una tarea compleja, documentada incluso desde 1958 hasta 1963, antes del Concilio. La activa participación de varios obispos latinoamericanos en el Concilio Vaticano II sumó sin duda a la construcción de un perfil para nuevo diaconado conciliar, que ha incidido tanto en su definición, como en la implementación de un diaconado latinoamericano y que se ha venido actualizando hasta el presente, hasta concebirlo como ‘un importante agente de renovación, tanto en el contexto eclesial como en la realidad secular. Un hombre del servicio, de la gratuidad y de la esperanza, que ama con preferencia a los pobres y a los excluidos y se dedica a ellos. Un diácono con una presencia animadora, convincente y entusiasta, capaz de transformar los ambientes. Un hombre de Dios inserto plenamente en la realidad secularizada de la sociedad moderna. Una señal sacramental de Cristo Servidor para la Iglesia y para el mundo’
Una realidad diaconal de ALC que incluye experiencias positivas y buenas prácticas que evidencian la belleza y la riqueza del ministerio ordenado del diácono, del todo necesario en la Iglesia del posconcilio, para poder concebir “una Iglesia toda ella ministerial”. Pero también una memoria que da cuenta de inconvenientes, tales como el envejecimiento y la no renovación generacional de muchos diáconos y la desarticulación de su ministerio con algunos proyectos pastorales diocesanos, generalmente por cuenta del rol aún desconocido del diácono en diversos escenarios de la Iglesia Particular así como de la inestabilidad de procesos formativos en algunas diócesis.
Existen itinerarios de discernimiento, de formación inicial y permanente que se han consolidado, gracias al acompañamiento del Consejo Episcopal Latinoamericano – CELAM, que se ha ocupado de contribuir con algunos derroteros comunes para la formación de los diáconos, durante prácticamente 60 años, en los cuales se ha promovido la implementación de normas tanto para la formación como para los directorios del diaconado en prácticamente todas las conferencias episcopales del continente, los cuales han dado desarrollo no sólo a los componentes ya planteados por San Pablo VI en la Sacrum Diaconatus Ordinem y la Carta Ad Pascendum, sino también por la Ratio para la Formación de los Diáconos y el Directorio para su Vida y Ministerio, promulgados de manera conjunta por la Congregación para la Educación Católica y la Congregación para el Clero, en la antesala del Jubileo del año 2000, documentos que siguen siendo hoy importantes pero que desde América Latina se considera conveniente su evaluación y actualización en varios temas, como la definición más amplia del lugar de las esposas y la familia y la articulación del ministerio caritativo de los diáconos con la pastoral de la Iglesia toda.
La lista documentada de congresos, encuentros, seminarios y talleres sobre el diaconado en ALC desde 1966, promovidos por el CELAM, es realmente extensa. Destacan los impulsos dados al diaconado por las conferencias del Episcopado Latinoamericano, especialmente en Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) y Aparecida (2007), que construyen un Magisterio específico para el diaconado en esta porción del mundo.
Durante los últimos años han tenido lugar también dos importantes congresos continentales sobre diaconado, uno realizado en Lima en 1998 y otro en Itaicí Brasil en 2011 a través de los cuales se ha llegado a trazar una especie de ruta prioritaria a la manera de propuesta incluyente para el apostolado en las nuevas fronteras de la misión en el continente. He aquí las fuentes para esta breve intervención. Se destacan en esa ruta, al menos, diez lugares principales, no excluyentes, para inspirar y enfocar el ministerio diaconal en América Latina y el Caribe. Se refieren a continuación.
- Las familias. Esto referido al diácono casado pasa por: la singular importancia del testimonio de su vida familiar junto a su esposa, el equilibrio en las realidades familia – trabajo – comunidad, el reconocimiento de la familia como primer lugar de evangelización y educación en la fe, su especial atención a una pastoral familiar integral que propenda por la defensa de la vida, la defensa del matrimonio y la defensa de la familia, que deben celebrarse en la liturgia. Se incluye el acompañamiento a familias disfuncionales, que son cada vez más numerosas. Más aún el acompañamiento a matrimonios con problemas e incluso a los divorciados, para ayudarles a encontrar nuevos caminos. Es requerido también un apostolado de acogida a las nuevas manifestaciones de ‘modelos de familia’ diferentes a la tradicional. Así mismo, la labor catequética con los novios.
- Un segundo lugar muy pertinente al diaconado en ALC es el mundo del trabajo. Esto tienen que ver con la puesta en práctica de la Doctrina Social de la Iglesia, con todo cuanto ello implica, incluyendo resolución de conflictos, mediación y consultoría. Se enfoca en la justicia social, la participación del diácono en organizaciones gremiales de su área laboral, la pastoral obrera y el compromiso con los trabajadores y sus derechos fundamentales, con una postura crítica ante sistemas sociales, modelos y otros formatos contrarios al proyecto de Dios, en aras de la exaltación de la persona humana a imagen y semejanza de Dios y su acogida en el caminar de la fe.
Un tercer lugar importante para el diaconado son las pequeñas comunidades eclesiales de base, en dimensión misionera. Es un lugar natural de testimonio, del cual incluso han nacido muchas vocaciones al diaconado en el continente. Las CEBs son un espacio privilegiado de animación diaconal, para la promoción de los laicos, el desarrollo de nuevos ministerios y el fortalecimiento de la misión eclesial
- mediante la escucha de la Palabra de Dios, la oración y la inserción en la Parroquia, comunidad de comunidades.
- Un cuarto lugar es sumar a la construcción de la paz. América Latina afronta situaciones particulares por las cuales este es un tema particularmente importante. Esto tiene que ver para los diáconos con ser promotores de paz y de justicia social, aportar a la superación de la violencia e inseguridad y a la reconstrucción del tejido social, como discípulos misioneros, para superar una anticultura mafiosa, arraigada de manera perversa en muchos de nuestros territorios ocasionando dolor y muerte. La paz es un don y ha de asumirse como una diaconía.
- El desarrollo y la liberación de los pueblos es un quinto enfoque para el diaconado en América Latina, que además cuenta con un método implementado: “ver, juzgar, actuar y celebrar”. Esto se refiere a un obrar dinámico desde la pastoral social que promueva el pensamiento crítico y convierta a los fieles en agentes de su propio desarrollo, especialmente desde las periferias. Nos referimos a un ministerio diaconal de la caridad vivo y transformador, que detecte y promueva líderes comunitarios y sea capaz de tocar desde la fe y el bien común escenarios como la economía, la política y la participación ciudadana.
- La promoción de la mujer y los niños, entendida para los diáconos desde la misma actitud de Jesús. También se refiere a un liderazgo manifiesto en acciones sociales concretas (hogares, albergues, programas, etc.) enfocadas en apoyar a las mujeres y a los niños que han sido maltratados, para que puedan encontrar refugio y conseguir la ayuda espiritual, material y psicológica que necesiten, luchando contra cualquier tipo de discriminación.
- La ecología y la protección de la naturaleza es una séptima línea prioritaria para el diaconado latinoamericano y caribeño. La doctrina es amplia y las acciones por adelantar son concretas, más aún en este continente, pintado de verde y azul, en el cual coexisten tanto posibilidades cuanto riesgos para el cuidado de la Casa Común. Hay diáconos que están trabajando muy activamente en bien de esta causa.
- La presencia en el mundo de la cultura y de la ciencia, está referida a los espacios donde los diáconos desempeñan su profesión, un arte u oficio, lo cual requiere disponibilidad para actividades diferentes al servicio de la Parroquia y de mayor alcance diocesano. Es recurrente entre los diáconos la labor educativa y docente, así como un desempeño en el ámbito de la tecnología, que pueden sumar a una mayor presencia evangelizadora de la Iglesia. Suma el vínculo cultural con comunidades indígenas ancestrales y afroamericanas, muy abundantes en algunos países de América Latina.
- El apostolado en los medios de comunicación y en las redes sociales. Lejos de todo afán de figuración, importa mucho al diaconado latinoamericano formarse y formar líderes de opinión, con visión y práctica del humanismo cristiano católico, sin visos de clericalismo, en razón de la novedad de su vocación desconocida aún por mucha gente. Esto requiere competencias en la oralidad, la redacción, la comunicación multimedial gestual, simbólica y no verbal. La transformación es directa e incluso rápida en campos como la homilética. Hay escuelas diaconales que están trabajando con empeño en esto, en países como Brasil y Colombia.
- El apostolado en el ámbito de las relaciones internacionales y los migrantes. Se trata de la implementación de diaconías conectadas con temas tan importantes en el continente como la migración, la movilidad y la urgencia de nuevas fuentes de trabajo, temas que hoy día en América Latina inciden en millones de personas. Varios de los diáconos mismos, han tenido que migrar con sus familias. De todo esto, la importancia de que los diáconos del continente estén conectados entre sí. La unidad lingüística ha dado paso en Latinoamérica a foros, chats y grupos de diáconos muy numerosos, con participación incluso de diáconos de España, a través de los cuales se comparte mucha información y se construyen posibilidades de apostolado en común.
Esperamos que el diaconado siga creciendo en América Latina, en países donde ha tenido larga tradición y que se promueva con novedad, como está sucediendo en varios países de Centroamérica así como México, Ecuador, Chile y otros más.
Gracias.
6 - EL DIACONADO EN BRASIL
Diac. Jose Oliveira Cavalcante (Diácono Cory) Presidente da Comissão Nacional dos Diáconos do Brasil para o período 2023-2027. Ordenado em 10-08-2022. Casado: 3 filhos e 7 netos. Médico Ginecologista.

A história do diaconado no Brasil teve início durante a IV sessão do Concílio Vaticano II quando a CNBB reunida em Assembleia Geral, em novembro de 1965, decide propor a restauração do diaconado Permanente.
Os diáconos permanentes do Brasil estão organizados em Comissões Diocesanas, Comissões Regionais (que acompanham os regionais da Conferência Episcopal) e a Comissão Nacional dos Diáconos do Brasil – CND, ligada diretamente à Conferência Nacional dos Bispos do Brasil - CNBB. Como organismo da Conferência Episcopal participamos de todas as reuniões inclusive das Assembleia da CNBB, com direito a voz.
A presença pastoral dos diáconos permanentes no Brasil, geralmente relaciona-se à assistência pastoral às comunidades que compõem às extensas paróquias. Ainda que alguns desempenhem trabalhos mais específicos, a grande maioria dedica-se ao auxílio aos párocos na assistência às diversas comunidades que compõem as paróquias.
A maioria dos nossos DP’s é proveniente já de experiências comunitárias e missionárias, do envolvimento na pastoral paroquial e familiar. Temos uma grande variedade no que concerne à situação social, o que reflete a própria estrutura da sociedade brasileira.
Em geral há uma saudável relação com o bispo e com os presbíteros, dado que os diáconos permanentes já chegam de experiências eclesiais sólidas e consolidadas ao longo da vida. Há ainda dificuldades de clareza da compreensão do ministério diaconal por ambas as partes, e a CND tem procurado sanar tais dificuldades dando assistência seja aos diáconos, sejas as igrejas locais onde os mesmos se encontram.
A maioria dos desafios para o DP no Brasil refletem a carência de uma vida de Igreja de comunhão e participação, sinodal, ministerial, de autêntica fraternidade.
A CND procura ajudar na formação de um diaconato preparado para os desafios da nova Evangelização, consciente de seu imprescindível serviço à Palavra e à Caridade, inserido em uma sociedade complexa e desigual.
Em muitas comunidades, a participação das esposas dos diáconos é muito significativa, envolvendo-se nas diversas atividades da Igreja local ao lado de seus maridos. Essa participação não só enriquece a vida comunitária, mas também fortalece o vínculo entre família e ministério.
As Igrejas locais geralmente implementam as escolas diaconais, os encontros de formação permanente e de assistência espiritual e pastoral dos diáconos, seja na própria diocese ou conjugando dioceses vizinhas, porém, ainda existem dioceses que não investem suficientemente nas Escolas Diaconais, nem na formação permanente dos diáconos.
Os diáconos estão, na maioria dos casos, incluídos nas reuniões e decisões que afetam a vida da paróquia ou da diocese, sempre respeitando as competências e responsabilidades de cada um. Essa participação ajuda a construir uma Igreja mais sinodal e inclusiva.
O Diaconato Permanente no Brasil tem dado passos importantes para uma melhor estruturação de sua presença nas diversas realidades eclesiais, neste sentido, a CND é um instrumento importante para a implementação e qualificação dos processos de discernimento e formação da vocação do diaconato permanente.
É com o coração cheio de esperança que participamos deste encontro, sentindo-nos, cada vez mais, membros de uma Igreja toda ela ministerial e missionária, fonte de esperança para os homens e mulheres de nosso tempo.
Obrigado.
7 - THE PERMANENT DIACONATE IN ASIA AND OCEANIA
[Fr Gilbert De Lima has completed his doctorate in theology from the Pontifical Urban University, Rome. He is at present Rector and resident professor at St Pius X College, the Archdiocesan Seminary of the Archdiocese of Bombay. He is the Director of the Permanent Diaconate Committee, Archdiocese of Bombay, and the Vice-President of the International Diaconate Centre, Rottenburg-Stuttgart, Germany. He is the Executive Secretary of the Conference of Catholic Bishops of India (CCBI) Commission for Theology and Doctrine.]
Don Gilbert De Lima ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. Attualmente è Rettore e Professore residente presso il St Pius X College, Seminario Arcidiocesano dell'Arcidiocesi di Bombay. È il direttore del Comitato del diaconato permanente dell'arcidiocesi di Bombay e il vicepresidente del Centro internazionale del diaconato di Rottenburg-Stoccarda, Germania. È segretario esecutivo della Commissione per la teologia e la dottrina della Conferenza dei vescovi cattolici dell'India (CCBI).

The Permanent Diaconate in Asia and Oceania constitutes @ 2% of the total number of deacons worldwide. In Asia, it exists in Malaysia, Hong Kong, and India, with the Philippines and Taiwan set to introduce it. In Oceania, deacons primarily serve in Australia and New Zealand.
First as regards Formation: The formation of permanent deacons follows a similar structure across these regions, starting with a propaedeutic stage of one year which is followed by three to four years of theological, spiritual, pastoral, and human formation.
Second in the Socio-Cultural context of these countries
Malaysia: The Catholic Church operates in a multi-religious and multi-ethnic environment, with deacons serving as a bridge between different cultures and faiths. They minister in multiple languages, engage in social justice initiatives, and support Catholic families in a predominantly non-Christian society.
Hong Kong: The Church functions in a politically complex landscape, where deacons advocate for workers' rights, human trafficking victims, and democracy. Given the large migrant worker population, they provide pastoral care and legal aid, especially to the Filipinos and Indonesians.
The diaconate in India was introduced in 2006 and exists largely in the Archdiocese of Bombay. Deacons come from various professional backgrounds, enabling them to connect secular and ecclesiastical spheres in a multi-religious and multi-cultural context. Their responsibilities include liturgical functions, pastoral care, and social outreach.
Australia: Restored after Vatican II, the deacons support migrant communities, Indigenous outreach, and social justice ministries. They serve both in rural and urban areas, working in prison ministry, youth programs, and catechesis.
New Zealand: Deacons play a vital role in Māori Catholic communities, incorporating indigenous traditions into the liturgy. Many focus on social welfare, assisting the homeless, prisoners, and migrants. Due to a priest shortage, deacons often take leadership roles in parishes.
Relationship with Bishops and Priests
Malaysia: Bishops rely on deacons especially for outreach in rural areas, interfaith dialogue, and administrative roles. The relationship with priests varies; in urban areas, priests are familiar with their role, whereas in rural areas, the same is not true.
Hong Kong: Deacons are crucial in migrant outreach, human rights advocacy, and media evangelization. They assist priests in sacraments and pastoral care, though some priests struggle to integrate them fully into parish life.
India: Deacons serve under the Archbishop and collaborate closely with priests. They are assigned to parishes, deanery ministries, and diocesan commissions, working in youth ministry, marriage enrichment, biblical programmes and Small Christian Communities.
Australia: Deacons are appointed to diocesan commissions for social justice, evangelization, and Indigenous ministry. While there is a growing recognition of their role, full integration remains a challenge.
New Zealand: With a priest shortage, bishops rely on deacons for non-sacramental services and social justice ministries. They also work closely with priests in pastoral care, often serving as parish administrators.
Role of Wives of Permanent Deacons
Malaysia: Deacons’ wives assist in family and marriage ministry, faith formation, and cultural integration.
Hong Kong: They help build community and support migrant ministries, particularly among Filipino and Indonesian workers.
India: Wives must consent before ordination, as their support is crucial. Many participate in formation programs and ministry activities.
Australia: The Australian Catholic Bishops Conference (ACBC) encourages wives to develop complementary ministries. Many assist in catechesis, RCIA, and sacramental preparation.
New Zealand: Deacons’ wives serve as co-ministers, particularly among Māori and Pacific Islander communities. They engage in social justice, advocacy, and family ministry.
Ongoing Formation
Malaysia: Annual retreats and workshops focus on interfaith dialogue, social justice, and migrant ministry.
Hong Kong: Monthly spiritual meetings and training in social teaching, human rights, and digital evangelization are emphasized.
India: Formation continues through quarterly meetings, annual retreats, monthly deanery meetings with Priests and Tri-annual Clergy meetings.
Australia: Deacons participate in spiritual programs, university courses, and workshops on bioethics, Indigenous justice, and family ministry.
New Zealand: Ongoing formation includes participation in clergy retreats and workshops on homelessness, prison ministry, and social justice.
Good Practices
Malaysia: Deacons engage in multilingual evangelization, interfaith marriage counselling, and rural outreach, which include literacy programs and healthcare. Many are also appreciated for their contributions to poverty alleviation and migrant welfare.
Hong Kong: Deacons advocate for migrant rights, as well as use digital media for evangelization, and also support humanitarian and democratic initiatives.
India: Deacons mentor young people, support families, promote lay involvement through SCCs, and some provided pandemic relief with great courage.
Australia: Deacons are active in Indigenous reconciliation, hospice care, and digital evangelization. The three dioceses leading the way in diaconate formation are Parramatta, Brisbane and Melbourne.
New Zealand: Deacons integrate Māori traditions into Catholic worship and advocate for the homeless and prisoners. Their work in Māori justice movements has also gained recognition.
Conclusion: The Permanent Diaconate continues to grow in these Regions, with deacons serving particularly in evangelization, pastoral care, and social outreach. While challenges remain, ongoing formation and improved collaboration will enhance their impact in the Church and society.
8 - IL DIACONATO PERMANENTE IN AFRICA
Don Aimable Musoni, Sacerdote salesiano di origine ruandese, docente di Ecclesiologia ed Ecumenismo all’Università Pontificia Salesiana, Roma.<BR> <BR> In questo contributo, si propone un breve sguardo sulla realtà, le sfide e le prospettive del diaconato permanente in Africa.

1. Lettura della realtà e la sua interpretazione
Secondo l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2020 (pp. 18-19 e 92-93), l’Africa rappresenta il 18,8% dei cristiani cattolici nel mondo. Su un totale di 48.635 diaconi permanenti, ci sono solo 439 in Africa, cioè il 0,9%. Ecco di seguito i dati, in ordine decrescente:
Paese |
Diaconi permanenti |
Sudafrica |
250 |
Namibia |
48 |
Camerun |
30 |
Isola della Riunione |
28 |
Zimbabwe |
19 |
Capo Verde |
13 |
Egitto |
6 |
Kenya |
6 |
Sudan |
6 |
Mauritius |
5 |
Botswana |
4 |
Costa d’Avorio |
4 |
Eritrea |
3 |
Etiopia |
3 |
Gabon |
2 |
Mozambico |
2 |
Centrafrica |
1 |
Congo Brazzaville |
1 |
Djibouti |
1 |
Ghana |
1 |
Guinea Equatoriale |
1 |
Nigeria |
1 |
Senegal |
1 |
Seychelles |
1 |
Sud Sudan |
1 |
Tanzania |
1 |
Dai 58 paesi considerati, ben 31 non hanno nessun diacono e solo 6 hanno più di 10. L’Africa meridionale (250 in Sudafrica!) vanta un maggior numero e ha promulgato alcune linee guida per la formazione dei diaconi permanenti. Quest’ultimi prestano servizio nell’apostolato della Parola, nella liturgia e nell’assistenza della carità, rendendo la Chiesa vicina alla gente. La loro maturità umana e spirituale (sono viri probati!) favorisce la diaconia della Chiesa tutta ministeriale. Non mancano tuttavia situazioni di incomprensione soprattutto con i presbiteri e tensioni che vengono dalle famiglie e ostacolano un esercizio sereno del ministero.
Ma come spiegare i numeri così bassi dei diaconi in una Chiesa in crescita come quella africana? Non abbiamo motivi ufficiali ma pensiamo a diversi fattori che si sovrappongono:
1) Motivi culturali e tradizionali: l’identità e il ruolo del diacono permanente non sembrano ancora pienamente compresi nel contesto. Inoltre, si teme l’interferenza dannosa della famiglia nel servizio del diacono, così come è il caso per i presbiteri e i religiosi. Questo fatto limita la disponibilità dei candidati, che peraltro affrontano una diffidenza di fondo.
2) Mancanza di risorse economiche: molte Chiese particolari in Africa sono alle prese con difficoltà economiche. Diventa difficile organizzare la formazione e il mantenimento dei diaconi che non hanno sempre un lavoro redditizio fisso. Ci sono candidati che godono di una situazione autosufficiente, ma questo non dovrebbe essere un criterio esclusivo.
3) Formazione dei candidati e priorità pastorali: probabilmente le Chiese particolari o locali danno priorità ad altre necessità pastorali che richiedono più la promozione vocazionale dei sacerdoti, dei religiosi o dei catechisti a scapito dei diaconi permanenti. Carente è quindi la proposta concreta della formazione specifica di quest’ultimi.
4) Collaborazione con il clero e con i laici: i diaconi permanenti costituiscono un ordine proprio sotto la responsabilità dei Vescovi. Tuttavia, essi sono chiamati a collaborare con i presbiteri e i laici. Ci sono casi di conflitti di competenza e problemi che provengono dal mondo secolare. In questo equilibrio instabile, i diaconi si trovano bersagliati e la loro vocazione non attira più.
2. Sfide e prospettive per il futuro
Già nel 1995, il Papa Giovanni Paolo II (cf. Ecclesia in Africa, n. 96) incoraggiava il diaconato permanente in Africa:
“Laddove le condizioni pastorali si prestino alla stima e alla comprensione di questo antico ministero della Chiesa, le Conferenze e le Assemblee episcopali studieranno i modi più adatti per promuovere ed incoraggiare il diaconato permanente «come ministero ordinato e anche come mezzo di evangelizzazione». E dove i diaconi esistono già, ci si adopererà per fornire loro un aggiornamento organico e completo”.
Il Papa Benedetto XVI ha ribadito la stessa proposta (cf. Africae munus, nn. 114-116). Non essendo stati pienamente accolti e attuati, questi inviti rimangono attuali.
1) Diaconato come parte integrante del ministero ordinato: l’identità del diaconato permanente va rivalutata come importante risorsa per la vita e la missione della Chiesa in Africa. I diaconi permanenti possono compiere molti servizi in assenza di presbiteri, ma hanno tuttavia una loro specificità.
2) Aumento dei cristiani e necessità dei ministri: la crescita del cristianesimo in Africa richiede un numero conseguente dei ministri e delle strutture ad hoc. I diaconi permanenti possono essere in Africa oggi protagonisti del rinnovamento di una Chiesa sinodale e missionaria specialmente in ambito della pastorale famigliare.
3) Formazione teologica e spirituale dei diaconi permanenti: le Conferenze episcopali o le diocesi dovrebbero prevedere un curriculum di formazione specifica per i diaconi permanenti, partendo dalle indicazioni del Magistero universale della Chiesa. I centri di formazione sacerdotale esistenti possono servire di supporto.
4) Collaborazione affettiva ed effettiva con la gerarchia: tutti i ministri sono chiamati a vivere e a operare in comunione di spirito. Da parte loro, i diaconi permanenti in Africa possono contribuire al miglioramento del clero e al suo servizio efficace, superando il clericalismo e facendo il ponte tra la Chiesa e il mondo secolare.
9 - IL DIACONATO PERMANENTE IN MEDIO ORIENTE
LE DIACONAT PERMANENT DANS UNE ÉGLISE CATHOLIQUE ORIENTALE APERCU HISTORIQUE ET REFLEXION THEOLOGIQUE
S.E. Mons. Guy Noujaim è Eparca emerito di Cesarea di Filippi e Vicario patriarcale per Sarba dei Maroniti, in Libano.

Cet article n’a pas la prétention de devenir une référence, surtout dans les domaines évoqués dans son titre. Il n’est que le début d’un regard critique sur un phénomène vécu depuis plusieurs années, plus précisément depuis les années 90 du siècle précèdent, dans une Église Catholique Orientale de tradition syro-antiochienne. Ce phénomène, celui de la reprise actuelle de l’institution du diaconat permanent dans cette Église, envisagé ici dans un premier essai de retour conscient sur son parcours et sur son sens.
1. L’institution du diaconat permanent dans l’Église maronite: bref parcours historique
L’Église maronites dont l’origine remonterait au milieu du premier millénaire, a son lieu d’ancrage communautaire et juridictionnel en Syrie et surtout au Liban où réside son patriarche depuis près de 1500 ans. L’institution diaconale y est très ancienne et semble avoir été longtemps comprise plutôt comme «état stable» que comme «passage» vers le sacerdoce. C’est ainsi que le délégué du couvent «Beth Maroun» (la maison de Maroun) auquel se réfèrent les maronites comme à l’origine de leur communauté, au concile de Chalcédoine en 451 est le diacre Paul.
Plus tard, le «Kitab al-Huda» (Le livre-guide), le plus ancien recueil de canons, de lois, de règles et de courts traités théologiques qu’aient les maronites, originairement écrit en syriaque mais dont seule la traduction en arabe accomplie en 1059 est disponible, affirme: «Nous (les apôtres), après l’ascension (de Jésus) au ciel, nous avons ordonné des évêques, des prêtres et sept diacres dont le témoin Etienne. [… Celui-ci], jamais ne présenta d’offrande et ne s’exhiba comme celui qui impose les mains sur quelqu’un. Il fut fidèle à son degré de diacre jusqu’à sa mort». La référence à Saint Etienne et à l’épisode souvent intitulé «Institution des diacres» des Actes des Apôtres, indique clairement que le degré de « diacre » auquel « Kitab al-Huda » fait allusion est celui du diacre permanent, ou au moins l’englobe et lui donne de vastes prerogatives.
Plus tard encore, dans le plus célèbre des Synodes de l’Église Maronite, tenu au Liban en 1736, il est encore question des diacres et aussi du «chef ou doyen des diacres» mais dont les fonctions sont pratiquement toutes confinées dans le domaine liturgique. En effet, ces fonction sont celles de diacres servir les célébrants à l’autel, d’encenser l’église, de lire l’épître et l’évangile, de présenter le pain et le vin à la messe[1]. Ils peuvent baptiser en cas de besoin, en l’absence ou/et avec la permission du prêtre ou de l’évêque[2], donner la communion[3], bien qu’en toute justice cela devrait être réservé au prêtre[4]. L’évêque peut leur confier la gérance de la caisse de l’église[5]. Ils peuvent être mariés mais ne peuvent plus se marier après leur ordination. Cependant, si un prêtre est présent, ils ne peuvent s’asseoir tant qu’il ne le leur permet pas ; ils ne peuvent non plus donner la communion à un prêtre, ni bénir[6].
Pour comprendre cette évolution du concept, il est utile de revenir au contexte de ce Synode de 1736, «le plus important des conciles maronites, (et) qui fixa définitivement la discipline [7]moderne de l’Église maronite, lui donna en quelque sorte sa physionomie canonique récente. Il se caractérise par l'adoption d'usages et de lois de l'Église romaine; en reprenant les dispositions du concile de Trente et en donnant un code complet sur le dogme, la morale et la discipline»[8]. Et de fait, le sort de l’institution diaconale dans les canons de ce Synode se présente comme en prolongement de celui qu’elle subit au Concile de Trente dans l’Église latine. Celui-ci clôturait une longue lutte de pouvoir entre les diacres et archidiacres permanents et les prêtres au profit de ces derniers en privant les premiers de plusieurs des prérogatives dont ils jouissaient auparavant, comme d’excommunier ou de régler des conflits matrimoniaux, et en les soumettant à l’autorité des évêques, en tout, même pour une visite des malades. Il est normal qu’à la suite de ces restrictions, dans l’Église latine, le nombre des diacres se mit à diminuer progressivement, jusqu’à s’éteindre. Il en fut de même pour les maronites après leur Synode de 1836.
Cette conclusion est valable non seulement pour cette communauté, mais aussi pour tout l’Orient chrétien où, selon des études sur le terrain, «le diaconat est à l’heure actuelle en pleine décadence. Il a pratiquement disparu dans les rites unis à Rome et, dans les rites séparés eux-mêmes, il n’est le plus souvent qu’une étape vers le sacerdoce complet»[9]. Ceci est vrai, sauf pour l’Église maronite qui, depuis les années 90 du siècle précèdent, s’est engagée à revivifier en son sein l’institution diaconale, et ceci en réponse aux appels que lui a adressé l’Église universelle, à travers le Concile Vatican II et l’Exhortation apostolique du Pape Jean-Paul II, «Espérance nouvelle pour le Liban» (Mai 1997). Le premier de ces appels lui parvint sous la forme suivante: «Pour remettre en vigueur dans les Églises orientales l’ancienne discipline du sacrement de l’Ordre, le Concile souhaite que soit établie l’institution du diaconat permanent là où elle est tombée en désuétude» (Orientalium Ecclesiarum, 17). Et le second sous cette autre forme: «Le Concile œcuménique Vatican II a remis en vigueur le ministère diaconal permanent, que la tradition orientale a toujours conservé[1]. Les diacres représentent le Christ en tant que Serviteur, plus particulièrement dans le service des pauvres, de la parole de Dieu et de la liturgie. En conséquence, ce ministère ordonné est à revaloriser. Il convient d’assurer aux candidats une formation appropriée et des moyens de subsistance adéquats selon leur situation personnelle» (Une Espérance nouvelle pour le Liban, 63).
C’est à la suite du second de ces appels que l’aventure diaconale actuelle a débuté dans l’Église maronite. Et aujourd’hui, sur les 23 diocèses et vicariats que compte cette Église dans le monde, cinq d’entre eux ont déjà, officiellement, leurs diacres permanents. Ce sont ceux des États-Unis d’Amérique (2 diocèses, près de 40 diacres), de Beyrouth (1 diacre), Batroun (2 diacres) et Jbaïl (Byblos 5 diacres), et les vicariats patriarcaux de Jounieh (7 diacres ) et de Sarba (28 diacres). C’est ce dernier vicariat qui en a pris l’initiative au Liban, en lançant, en 2000, un programme de formation de diacres permanents. Ce programme se développe sur 4 ou 5 ans, en 3 volets: l’un théologico-pastoral délivre en fin de parcours un diplôme universitaire appelé CREDO; l’autre d’application pastorale sur le terrain ; le troisième spirituel comprenant des jours de rencontre, de retraite et de mission en commun.
Mais l’engagement des maronites en faveur du diaconat permanent reste encore timide et quelque peu hésitant. Les raisons en sont multiples et toutes de niveau théologique. Nous allons essayer une timide réflexion à ce niveau.
1. Brève réflexions théologique
Il est possible d’entamer cette réflexion à partir de la place du diacre dans le corps ecclésial. Celui-ci est formé de laïcs et de clercs, ces derniers comprenant trois catégories, les évêques, les prêtres et les diacres. Et lorsqu’on examine bien le rôle du diacre dans la liturgie ou même dans la vie, il n’est apparemment rien qui lui revienne à lui seul, essentiellement. Le laïc peut, en effet, lui aussi baptiser, servir à la messe, témoigner parmi les gens, prêcher à l’occasion, etc. Et ce que ne peut faire le laïc, le diacre ne peut le faire: célébrer l’eucharistie, ordonner, oindre les malades, confirmer, réconcilier sacramentellement. L’institution diaconale en devient ainsi une réponse aux besoins humains d’une organisation facilitatrice de la vie sociale. C’est ainsi d’ailleurs que peut-être compris le choix des 7 dans les Actes des Apotres (6/1-6).
Dans un essai de réponse qui, tout en allant des besoins sociaux habituels, voudrait rejoindre le niveau de l’économie divine de salut, nous puisons à la doctrine du sacerdoce commun des fidèles et de son lien avec le sacerdoce ministériel des évêques et des prêtres. Ce dernier est au service du premier (cfr. Catéchisme de l’Église Catholique 1547). Dieu a choisi l’Église, Corps de son Fils, parmi tous les peuples, a fait de ses membres, par le baptême, des fils présents devant lui, comme fils en son Fils J-C, pour le salut de tous (cfr. le grand-prêtre dans Heb 5/10). Le sommet de cette offrande de soi, avec le Christ est l’Eucharistie. Tout le reste, sacrements et vie nous y prépare: «Participant au sacrifice eucharistique, source et sommet de toute la vie chrétienne, ils [les laïcs] offrent à Dieu la victime divine et s’offrent eux-mêmes avec elle» (Lumen Gentium 111). La raison d’être des clercs, évêques et diacres est ceci: assurer aux fidèles les moyens naturels et surnaturels de participer le plus intimement possible à l’Eucharistie du Christ. Et c’est là qu’à notre avis, au moins dans notre rite, que se manifeste le plus clairement et le plus simplement, le rôle du diacre.
En effet, jusqu’aujourd’hui, dans nos livres de liturgie, en particulier à la messe, sont toujours notées les interventions réservées au diacre, leur moment et leur comment. Depuis que nous avons laissé tomber diaconat, c’est quelqu’un de l’assemblée qui en prend la place avec plus ou moins de bonheur. Et ces interventions sont hautement expressives du rôle du diacre dans l’Église. Ce sont toujours des appels qu’il lance aux participants afin qu’ils puissent s’unir plus intimement au mouvement sacramentel qu’ils vivent. Voici quelques exemples. Avant la lecture de l’évangile, le diacre invite l’assemblée à se préparer à écouter la Parole de Dieu. Il dit: «Devant l’évangile de notre sauveur, qui annonce la vie à nos âmes, qu’on apporte l’encens…». Puis il appelle au recueillement: «Soyez dans le silence…». Au moment de l’échange du geste de la paix il y invite: «Que chacun de vous donne la paix à son voisin avec amour et sincérité…». À l’épiclèse, il avertit: «Combien ce moment est terrible mes frères où l’Esprit-Saint va descendre…». Dans l’Église primitive, en certaines régions, il devait accueillir les nouveaux venus et leur assurer, autant que possible, une place favorable à la prière.
Cette mission ne peut se limiter à la célébration elle-même, autrement le sacrement aurait été stérile. De même qu’il est chargé de rendre la participation liturgique au mystère du Christ efficace et profonde, le diacre demeure envoyé à aider ses frères à vivre plus intimement leur eucharistie dans la vie. Il a appelé à la paix et à l’amour fraternel, il continuera à y convier, tout d’abord dans le service.. Il ne s’agit donc pas d’un service purement social mais aussi d’animation de la vie de foi. Le grand docteur syriaque st Ephrem compare la vie à une grande liturgie et le monde a un grand temple dans lequel le grand prêtre Adam, par son obéissance comme par un encens pourrait entrer devant Dieu. Dans la perspective orientale, le diaconat se ressource et se développe en liaison étroite avec la liturgie, il en fait partie, une liturgie des sacrements et de la vie.
Je termine par l’évocation de l’un des handicaps majeurs à l’expansion et compréhension de l’institution diaconale chez nous, en Orient: l’existence de prêtres mariés. De fait beaucoup de personnes qui pensent s’engager dans le diaconat se demandent pourquoi ne pas poursuivre et devenir prêtre? Ce questionnement est une grâce parce qu’il nous oblige à chercher plus précisément la vocation particulière au diaconat. Ce que j’ai essayé de donner ici, s’inscrit, sans prétention, dans cet effort. C’est dans le partage des expériences et des réflexions que nous approcherons de la vérité.
10 - LA RETE INTERNAZIONALE DELLE SPOSE DI DIACONI
[Marie Maincent, épouse de Patrice diacre, mère et grand-mère ; Docteure en Études anglophones et Docteure en Théologie. Représente les épouses de diacres au Bureau du CID.]
Marie Maincent, moglie del diacono Patrice, madre e nonna; Dottore in Studi Anglistici e Dottore in Teologia. Rappresenta le mogli diaconali presso il Consiglio del Centro Internazionale del Diaconato.

Bonjour à tous,
Sur cette photographie grand format de la réalité diaconale actuelle qui vient de nous être présentée, les épouses ne sont pas absentes puisque, dans la grande majorité des cas, les diacres sont mariés.
Alors, soutenir le diaconat, c'est aussi soutenir « la part féminine » du diaconat et faire en sorte que les épouses puissent trouver leur place, dans cette position bien particulière qui est la leur, à la fois au dedans et au dehors du diaconat. Voilà bien un chantier qui dépasse les frontières !
C'est dans cet esprit que le Bureau du CID a encouragé la création d'un réseau d'épouses au niveau international. Mais comment le constituer ?
Avec la collaboration des délégués diacres qui ont proposé des noms, nous avons sollicité des femmes déjà sensibles à la question de cette place singulière des épouses dont le mari est diacre.
Et, -divine surprise si je peux m’exprimer ainsi-, les six continents ont répondu présents!
Elles s'appellent Beth et Mary, elles sont américaines, du diocèse de Houston au Texas. Suely et Rita sont au Brésil dans le diocèse de Brazilia et, avec Annette, c’est Ann qui nous rejoint du diocèse de Sydney, en Australie. Ligia, de Bombay, nous informe des réalités indiennes. Sur le continent européen, c’est Lucia et Clarin qui nous donnent des échos du diocèse de Rottenburg en Allemagne. Vilma, du diocèse de Milan, représente l'Italie et c’est d’Angleterre, au sud de Londres, qu’Angela partage son intérêt pour ce réseau féminin. La Belgique, qui n’a pas encore d’épouse pour la représenter, nous donne régulièrement de ses nouvelles. Quant à Dikeledi, du diocèse de Prétoria en Afrique du Sud, elle n'a pas encore pu nous rejoindre. Un peu avant la fête de Noël 2022 nous nous sommes rencontrées pour la première fois, en visioconférence. Une rencontre virtuelle certes, mais une rencontre très émouvante. Nous sommes toutes des épouses dont le mari est diacre à l’exception d’Ann, nommée par le diocèse de Sydney comme la personne-ressource pour les épouses de candidats ou de diacres.
Nos premiers échanges appellent une évidence : les épouses du réseau sont très sensibles au fait qu’aujourd’hui, la « part féminine » dans le diaconat soit considérée comme un point d'attention, sinon d'intérêt. Par ailleurs, au-delà de ce sentiment partagé par toutes, il est assez facile de repérer des similitudes dans les expériences que vivent les épouses autant que dans les questions qu’elles se posent. Ces questions relèvent essentiellement de trois domaines :
Þ Le discernement ;
Þ La formation ;
Þ L’après-ordination ;
Dans un tour du monde en accéléré, il ressort que, par rapport aux épouses, l’étape du discernement n’est pas très visible ni structurée, hormis en Australie et en France. Souvent la distinction entre discernement et formation est floue. Concernant la formation, les pratiques sont très variées. Elles vont d’une formation quasi inexistante pour les épouses de candidats à un cycle obligatoire de 6 années de théologie, en passant par une proposition de formation allégée faite aux épouses en comparaison de celle destinée aux candidats : c’est le cas aux USA où les épouses doivent suivre une formation humaine et spirituelle mais sont dispensées de la formation intellectuelle et pastorale.
Après l’ordination, jamais aucune mission n’est confiée aux épouses en dehors de celles qu’elles pouvaient avoir avant l’ordination. J’ajouterai toutefois 2 points forts et une défaillance :
Du côté positif, dans le diocèse de Sydney, les épouses sont maintenant incluses comme élément vital au sein de la communauté diaconale où les diacres ont aujourd’hui des fonctions de direction paroissiale.
À Bombay, Ligia souligne que l’implication des épouses et l’attention à la vie de famille est désormais reconnue et abordée dans les échanges, ce qui est nouveau.
Du côté « peut mieux faire », en France, les épouses accueillent la formation obligatoire de 6 années comme un réel enrichissement. Pour autant elles sont nombreuses à regretter que cette formation reçue reste inexploitée après l'ordination.
En ramassant ce qui vient d'être dit -et ce sera ma conclusion-, il apparaît que dans ce tour d'horizon international, l'accompagnement des épouses ne semble pas être une priorité pour l'Église. Ce qui existe ici ou là vient souvent de l'initiative des femmes elles-mêmes : ce sont des propositions d'épouses faites aux épouses pour offrir des temps et des lieux de paroles dans le but d'échanger, de créer du lien, de favoriser la relation.
Dans un contexte de synodalité, il semble bien que cette relation se vive de manière forte à travers le réseau international d'épouses qui toutes, font l’expérience de réalités différentes. Et ce tissage d'expériences féminines ne demande qu'à s'élargir !