Omelia del Card. Lazzaro You Heung sik
Concelebrazione Eucaristica conclusiva presso l’Altare della Cattedra Convegno Internazionale per la Formazione Permanente dei Sacerdoti
Basilica di San Pietro, 10 Febbraio 2024
Carissimi fratelli e sorelle,
l’immagine della folla di cui ci parla oggi il Vangelo, è una bella fotografia di quanto abbiamo vissuto qui in questi giorni. Anche noi ci siamo ritrovati in tanti: una folla numerosa di vescovi, sacerdoti, diaconi, consacrati, fedeli laici, provenienti da tutte le parti del mondo, un popolo di discepoli innamorati sulle orme del loro Maestro e, soprattutto, una moltitudine di gente affamata, proprio come era quella a cui Gesù rivolge lo sguardo. Si, anche noi ci riconosciamo affamati e, perciò, sempre bisognosi di formazione; se siamo arrivati qui, se ci siamo messi in ascolto, se abbiamo condiviso le nostre esperienze, le nostre domande, le gioie e le fatiche del ministero, questo è il segno di una fame profonda che ci abita dentro, affamati di Vangelo, desiderosi di trovare, nelle parole e nei gesti di Gesù, nuove vie e nuovi significati per continuare a vivere con gioia il nostro ministero.
Soffermandomi sulla bellezza di questa scena evangelica, ma anche custodendo nel cuore le tante suggestioni di questi giorni, il lavoro che abbiamo condiviso, la gioia che è circolata in mezzo a noi, la fraternità che abbiamo sperimentato, vorrei invitarvi a dare voce a questa fame che ci portiamo dentro, al desiderio di “ravvivare il dono” che ci è stato fatto e di rinnovare il nostro ministero nell’ascolto delle domande, delle ferite e delle speranze del nostro tempo. E possiamo farlo semplicemente ripetendo, nel silenzio del cuore, la domanda dei discepoli: «come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?» (Mc 8,4).
Cari fratelli sacerdoti, questo interrogativo spesso riaffiora nel nostro cuore, scavandoci dentro e qualche volta generando in noi la sensazione di non portare frutto, di impegnarci inutilmente, di restare inascoltati nell’aridità di un contesto che ci appare indifferente alla domanda su Dio e alla promessa della fede. Questi sentimenti rischiano di generare in noi quel pessimismo sterile di cui Papa Francesco ci ha parlato in Evangelii gaudium, che spegne l’audacia dello spirito e il fervore della missione e rischia di gettarci nello scoraggiamento, nella rassegnazione e nel senso di sconfitta.
Guardiamo allora a Gesù, che dinanzi a una situazione di crisi, alla stanchezza della gente, al deserto in cui si trova la gente ma anche all’aridità che si porta nel cuore, non rimane indifferente né si lascia scoraggiare dalla pochezza del pane che ha, ma si preoccupa della fame di coloro che ha davanti e si prende cura di loro: «sento compassione per la folla» (Mc 8,2).
Fratelli e sorelle, cari sacerdoti, vorrei ripetere per me e per voi queste parole di Gesù: sento compassione per la folla. Questo è al centro della vita di Gesù, è il cuore del suo ministero ed è anche la sorgente del nostro ministero sacerdotale: la compassione, la partecipazione profonda ai travagli del mondo, la commozione interiore per le storie di coloro che incontriamo, le nostre lacrime con chi piange, il nostro sorriso con chi gioisce, la nostra vicinanza verso tutti coloro che soffrono, lottano e sperano. Sentire dentro alle nostre viscere – questo significa la parola “compassione” – il desiderio di portare a tutti la gioia del Vangelo, quella notizia buona che sostiene le fatiche e le speranze dell’esistenza di ciascuno: sei amato di un amore eterno che non viene meno, sei guardato con tenerezza da un Dio che desidera moltiplicare la tua gioia, sei accompagnato da un Padre che ti affianca nel cammino e sempre ti aspetta nel cuore di un abbraccio, perché nulla vada perduto di tutto ciò che sei, che fai, che ami e che speri.
Ci sembra a volte un compito difficile, nei deserti di oggi e col poco che sentiamo di avere a disposizione. Come riuscire a sfamare le persone? Come dare loro il pane della Parola e il cibo dell’Eucaristia che sfama per sempre e non tramonta? Come portare, in una cultura che sembra diventata insensibile a Dio, la gioia del Vangelo? Come portare nei solchi di una società ancora gravemente segnata da povertà e ingiustizie e ancora violentata dall’odio e dalla guerra, la proposta del regno di Dio, che è regno di giustizia, di pace e di fraternità?
Queste domande rimangono aperte e non richiedono risposte generiche o da manuale; tuttavia, il Vangelo ci suggerisce un cambiamento di sguardo spirituale e pastorale: mentre i discepoli si concentrano sui pochi pani e pesci che hanno a disposizione, Gesù li spezza e li distribuisce. Come abbiamo ascoltato in questi giorni, dinanzi alle difficoltà e alle crisi del nostro tempo, possiamo restare prigionieri delle diagnosi e piangerci addosso oppure possiamo fare della crisi un’opportunità di cambiamento, un’occasione di riflessione, un modo per raccogliere e affrontare le nuove sfide, ripartendo proprio dal poco che siamo e che abbiamo: «prese i sette pani, rese grazie e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero».
Abbiamo poco, a volte non ci sentiamo all’altezza, ma l’efficacia della proposta e i risultati dell’azione non dipendono dalle forze umane quanto, invece, dal gesto della compassione che Gesù ci invita a ripetere: prendi tra le mani il dono che hai ricevuto, poco o tanto che sia; ravvivalo rendendo grazie a Dio, perché la fiamma non si spenga; spezzalo lasciandoti spezzare dalla vita della gente. E poi, distribuisci, dona, offri, condividi. Metti in circolo ciò che sei, ciò che hai ricevuto, la parola del Vangelo che ti è stata affidata. Si tratta di uno sguardo di fede, cari fratelli sacerdoti, che senza voler negare i problemi e le difficoltà, ci incoraggia a continuare con gioia la nostra missione. Uno sguardo di fede, come quello di Gesù che ha davanti una folla affamata eppure prende in mano sette pani e alza gli occhi al cielo a rendere grazie.
Alziamo gli occhi al cielo! Impegniamoci nella ricerca delle migliori vie pastorali per portare in modo nuovo l’annuncio del Vangelo, ma soprattutto ripartiamo dal rinnovare la nostra fede, la nostra amicizia con Lui, la nostra disponibilità a consegnare i pochi pani e i pochi pesci che abbiamo, perché nelle sue mani possano moltiplicarsi. Siamo piccoli, a volte in pochi, ma siamo discepoli del Maestro e, mossi da Lui, possiamo continuare a offrire la nostra vicinanza compassionevole, la nostra presenza discreta e gentile, la nostra testimonianza gioiosa del Vangelo, perché tutti coloro che ci incontrano possano “mangiare a sazietà”.
Il Vangelo si conclude dicendo che, dopo averli sfamati, Gesù salì sulla barca con i suoi discepoli, riprendendo il viaggio. In questi giorni bellissimi, che abbiamo vissuto insieme, ci siamo ascoltati, abbiamo condiviso le nostre storie, ci siamo confrontati sulle nostre esperienze pastorali; soprattutto, abbiamo conversato con Gesù, il nostro Maestro. Ora riprendiamo il viaggio e passiamo all’altra riva, ciascuno nel proprio Paese, non per archiviare l’esperienza di questo Convegno ma, al contrario, per farne tesoro e portarla con noi.
Per noi in Asia, in questo giorno, è il Capodanno lunare, che nella nostra cultura significa un nuovo inizio: è un punto d’arrivo, ma anche un punto di partenza. Vi auguro allora che il Convegno vissuto insieme possa essere punto di partenza per riflessioni comuni e buone pratiche pastorali da sognare e da vivere insieme. Solo insieme – ci ricordava il Santo Padre – possiamo essere discepoli missionari. Così, la stola, che hanno ricevuto i sacerdoti, e la borraccia consegnata agli altri partecipanti vogliono dirci questo: non camminiamo da soli, ma insieme. Restiamo uniti. Stringiamoci attorno al Signore. Facciamo rete tra di noi, perché il dialogo continui anche attraverso i mezzi di comunicazione e gli strumenti social: creiamo insieme una famiglia mondiale per i sacerdoti. Sono convinto che così ci sarà pane per tutti, acqua anche nel deserto.
E concludo. Quando ero seminarista, il rettore della nostra casa, un sacerdote svizzero, rispondeva spesso alle nostre richieste e proposte: «Vedremo!». Così ci aiutava a non precipitare le cose, ma a cercare insieme, con pazienza, ciò che Dio vuole. Ma con quel «Vedremo!», ci faceva anche capire che Dio ha sempre in serbo sorprese nuove.
E allora: «Vedremo!». Così sia!