SUMMI DEI VERBUM - PAOLO VI 1963

LETTERA APOSTOLICA LA FORMAZIONE DEI SEMINARISTI

04 novembre 1963

Epistola apostolica ai Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi del mondo cattolico nel quarto centenario dell'Istituzione dei Seminari, decretata dal Concilio di Trento

VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

 

Gesù Cristo modello del seminarista e del sacerdote

Il Verbo di Dio, luce che illumina ogni uomo che viene al mondo (Gv 1,9), come volle farsi uomo per la nostra salute e abitare fra noi per mostrarci la gloria, che come unigenito ha dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14), così si degnò di vivere nascosto per trent'anni nell'umile casetta di Nazaret allo scopo di preparare degnamente la sua missione apostolica nella preghiera e nel lavoro, e dare a noi l'esempio di ogni virtù. Infatti, sotto lo sguardo amoroso del suo padre putativo Giuseppe e della sua santissima madre Maria, il fanciullo Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,52).
Orbene, se l'imitazione del Verbo incarnato è obbligatoria per tutti i cristiani, essa s'impone particolarmente a coloro che sono da lui chiamati a divenire suoi rappresentanti dinanzi agli uomini, non meno con la santità dei costumi che con la predicazione della dottrina evangelica e l'amministrazione dei Sacramenti.

Precedenti storici della istituzione dei Seminari

Ben consapevole di questo sacro dovere che hanno i ministri di Gesù Cristo di rifulgere al cospetto degli uomini come maestri di virtù, prima con l'esempio e poi con le parole, così da essere veramente sale della terra ... e ... luce del mondo (Mt 5,13-14), l'autorità della Chiesa fin dai primi secoli ha mostrato particolari cure per l'istruzione e l'educazione della gioventù destinata al sacerdozio. Di ciò abbiamo l'autorevole testimonianza di san Leone Magno, che scrive: A ragione le venerabili deliberazioni dei santi padri, trattando della scelta dei sacerdoti, ritennero idonei all'amministrazione delle cose sacre coloro che, dopo aver esercitato per molto tempo tutti i vari gradi degli uffici, avessero dato buona prova di sé, affinché fosse data a ciascuno testimonianza con gli atti della loro vita (Epist. 12: PL 54, 650-651). Concili generali e particolari vennero in seguito a fissare le ininterrotte tradizioni, precisando via via una legislazione e una prassi che saranno per i tempi avvenire norme sante per tutta la Chiesa. Basterebbe citare al riguardo le nette prescrizioni dei Concili Lateranensi III e IV (MANSI, Amplissima Conc. Collect., XXII, 227, 999, 1013).

Motivi della istituzione dei Seminari

Ma purtroppo, per la malizia del mondo che si andava estendendo sempre più anche al ceto ecclesiastico e per lo spirito pagano che andava rinascendo nelle scuole, dove era educata la gioventù, le precedenti norme dettate dalla Chiesa per la preparazione dei futuri sacerdoti apparvero inadeguate. Perciò nei secoli XV e XVI furono avvertite maggiormente sia la necessità di una riforma generale dei costumi nella Chiesa di Cristo, sia la necessità di preservare i giovani leviti dai pericoli che li minacciavano, assicurando loro una conveniente formazione in luoghi adatti, sotto la guida di sapienti educatori e maestri.

Istituzione dei seminari da parte del Concilio di Trento

A tale urgente e fondamentale bisogno della Chiesa cercarono di provvedere a Roma, nel secolo XV, i Cardinali Domenico Capranica e Stefano Nardini con la fondazione di collegi che da loro presero il nome; nel secolo seguente sant'Ignazio di Loyola, fondando a Roma i due celebri collegi Romano e Germanico, l'uno per gli insegnanti e l'altro per gli alunni. In quello stesso tempo, il cardinale Reginaldo Pole, arcivescovo di Canterbury, dopo aver esortato i Vescovi di Cambrai e di Tournay a imitare l'esempio di sant'Ignazio, preparò per l'Inghilterra il suo famoso decreto sui seminari che, approvato dal sinodo di Londra del 1556 e pubblicato il 10 febbraio dello stesso anno, servì di modello alla legge emanata pochi anni dopo dal Concilio di Trento per la Chiesa universale, mediante il capitolo 18 del decreto Sulla riforma, approvato il 15 luglio 1563 (Cf ROCABERTI, Bibliotheca maxima Pontificia, XVIII, p. 362; L, von PASTOR, Storia dei Papi, Roma 1944, vol. VI, p. 569 e vol. VII, p. 329).
Quest'anno, perciò, ricorre il IV centenario di quell'importantissimo decreto. Tale ricorrenza è ancor più meritevole di essere degnamente ricordata in quanto essa coincide con la celebrazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, nel quale la Chiesa, come ha a cuore di promuovere con provvidi decreti il rinnovamento dei costumi del popolo cristiano, così non mancherà di dedicare le sue particolari attenzioni a un settore di sommo interesse vitale per tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, qual è costituito dai giovani che attendono nei seminari alla preparazione al sacerdozio.

Importanza del seminario nella storia della Chiesa e della società

Non è Nostra intenzione rievocare il corso dei lavori che precedettero l'approvazione del canone riguardante l'istituzione dei Seminari, né di soffermarci sulle singole prescrizioni in esso contenute. Crediamo, invece, più consentaneo ai fini di una fruttuosa celebrazione del IV centenario di tale decreto, di porre in più vivo risalto i benefici spirituali che ne provennero alla Chiesa e alla società civile, per poi richiamare l'attenzione su taluni aspetti della formazione ascetica, intellettuale e pastorale del giovane seminarista o sacerdote, che meritano oggi una più approfondita considerazione.

Che l'istituzione dei Seminari fosse destinata ad arrecare un grande beneficio spirituale alle singole diocesi della santa Chiesa fu ben previsto dagli stessi Padri del Concilio di Trento, i quali votarono all'unanimità il canone relativo, nella XXIII sessione. A tal proposito il cardinale Sforza Pallavicino scrive: Soprattutto fu comprovata l'istituzione dei Seminari; arrivando molti a dire che, ove altro bene non si fosse tratto dal presente Concilio, questo solo ricompensava tutte le fatiche e tutti i disturbi, come quell'unico strumento il quale si conosceva per efficace a riparare la scaduta disciplina: essendo regola certa, che in ogni repubblica tali abbiamo i cittadini, quali li alleviamo (Cf  P. SFORZA PALLAVICINO, Istoria del Concilio di Trento, ed. di A. M. ZACCARIA, Tom. IV, Roma 1833, p. 344).
Un altro segno, poi, della grande fiducia riposta dalla sacra gerarchia nei Seminari per il rinnovamento della Chiesa e l'elevazione della vita dei sacerdoti fu offerto dallo zelo intrepido col quale, non appena chiuso il Concilio, si cercò di attuare le prescrizioni del provvido decreto, in mezzo a difficoltà di ogni genere. Fu lo stesso sommo pontefice Pio IV che diede tra i primi l'esempio, aprendo il suo seminario il 1° febbraio 1565; lo aveva preceduto il suo nipote san Carlo Borromeo, a Milano, nel 1564; e, in forma più modesta, i Vescovi di Rieti, Larino, Camerino e Montepulciano. Seguì poco dopo l'erezione di altri Seminari da parte di Vescovi solleciti della restaurazione delle proprie diocesi, mentre una eletta schiera di uomini zelanti del bene della Chiesa veniva in loro aiuto. Tra questi ci piace ricordare, per la Francia, il card. Pietro de Bérulle, Adriano Bourdoise, san Vincenzo de' Paoli con i suoi preti della Missione, san Giovanni Eudes, l'Olier con la Compagnia di San Sulpizio. In Italia, fu merito soprattutto di san Gregorio Barbarigo, sulla fine del sec. XVII, l'aver prodigato cure indefesse per il riordinamento dei Seminari di Bergamo e di Padova secondo le norme fissate dal Concilio di Trento e l'esempio di san Carlo, tenute altresì presenti le esigenze spirituali e culturali dei suoi tempi. L'esempio dato da questo zelantissimo pastore agli altri Vescovi delle diocesi d'Italia conserva ancora oggi tutto il suo valore, per aver egli saputo unire la fedeltà alle norme tradizionali con sapienti iniziative, tra cui è da ricordare lo studio delle lingue orientali, per una migliore conoscenza dei Padri e degli scrittori ecclesiastici dell'oriente cristiano, in vista di un riavvicinamento religioso tra la Chiesa cattolica e le comunità cristiane da lei separate. Di questo insigne merito del grande Vescovo di Padova volle fare speciale menzione il nostro predecessore Giovanni XXIII, di ven. mem., nell'omelia da lui tenuta in occasione dell'iscrizione del Barbarigo nel catalogo dei santi (Cf AAS 62 (1960), pp. 458-459).

Al buon seme gettato dal Concilio di Trento nel campo fertile della Chiesa, mediante il menzionato decreto, si deve altresì la fioritura di Seminari o Collegi con finalità speciali, come quello di «Propaganda Fide» a Roma, delle Missioni Estere a Parigi, e i Collegi per le varie nazioni sorti a Roma, in Spagna, in Fiandra, così che l'intero complesso dei provvidenziali cenacoli di formazione ecclesiastica, oggi esistenti nella Chiesa, ben può rassomigliarsi all'albero della parabola evangelica, che, nato da un minuscolo seme, crebbe e si estese in proporzioni stupende, tanto da ospitare tra i suoi rami innumerevoli uccelli del cielo (Cf Mt 13,31-32).
Dobbiamo pertanto essere immensamente grati al Signore, se l'istituzione dei Seminari, decisa dai Padri del Concilio di Trento, lungi dall'affievolirsi nei secoli seguenti, travagliati in molte nazioni da ideologie e prassi di vita avverse alla dottrina e alla missione salvifica della Chiesa, andò sempre più sviluppandosi, così da superare ben presto i confini dell'Europa e accompagnare i progressi del cattolicesimo nelle Americhe e negli stessi paesi di missione. Da parte sua la Santa Sede si dette premura di impartire per i Seminari norme più rispondenti ai bisogni spirituali e culturali del clero, secondo le circostanze dei tempi e dei luoghi. In questo campo, che è senza dubbio uno tra i più delicati che lo Spirito Santo, ispiratore di tutte le sagge disposizioni conciliari (Cf At 15,28), ha affidato in primo luogo al Supremo Pastore della Chiesa, è per noi un dovere il ricordare le singolari benemerenze dei Nostri venerati Predecessori, tra i quali rifulgono i nomi di Gregorio XIII, Sisto V, Clemente VIII, Urbano VIII, Innocenzo XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII.

Non deve, quindi, recar meraviglia se i Seminari, fatti oggetto di sollecite cure da parte della Sede Apostolica e di tanti zelanti Pastori sparsi per il mondo cattolico, abbiano prosperato a decoro e vantaggio non soltanto della Chiesa, ma della stessa società civile. È questa la pagina gloriosa, nella storia dei Seminari, che il Nostro Predecessore Pio IX volle ricordare nella Lettera Apostolica Cum Romani Pontifices del 28 giugno 1853, con la quale istituiva il Seminario Pio. In essa, infatti, egli richiamava l'attenzione dei governi e di tutte le persone amanti del vero bene dell'umana società su quanto la retta e accurata formazione del clero sia utile per salvaguardare l'incolumità e prosperità dell'augusta religione e della società umana, come pure per difendere la vera e sana dottrina (Cf PII IX P.M. Acta, vol. I, 1846-1854, p. 473).

Importanza attuale dei Seminari

Questo medesimo benefico nesso, che vincola il progresso sia religioso che morale e culturale dei popoli al numero sufficiente di buoni e dotti ministri del Signore, è stato nuovamente ricordato da Pio XI con queste memorande parole: Infatti questa realtà è strettamente legata alla dignità, all'efficienza e alla vita stessa della Chiesa; ma al tempo stesso è di somma importanza anche per la salvezza dell'umanità: poiché gli immensi benefici ottenuti al mondo dal Redentore Gesù Cristo vengono comunicati agli uomini soltanto mediante i ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio (Lett. Apost. Officiorum omnium: AAS 14 (1922), p. 449). Ben volentieri, perciò, facciamo nostra, sull'esempio del Nostro Predecessore Pio XII, la sapientissima sentenza pronunziata da Leone XIII, di imm. mem., a proposito dei Seminari: La sorte della Chiesa è strettamente legata allo stato dei Seminari (Lett. Paternae providaequeActa Leonis, 1899, p. 194; cf Pio XII, Lettera all'Episcopato polacco, Per hos postremos annos: AAS 37 (1945), p. 207).
Orbene, mentre da una parte invitiamo tutti i nostri Fratelli nell'Episcopato, i sacerdoti e i fedeli a rendere all'onnipotente Iddio, largitore di ogni bene, debite azioni di grazie per i grandi benefici di cui è stata sorgente la provvida istituzione dei Seminari, prendiamo occasione dalla presente celebrazione centenaria per rivolgere a tutti una paterna esortazione. Vogliamo, cioè, dire a tutti i membri della Chiesa cattolica che si sentano solidali nell'opera di assistenza dei Seminari, di qualunque genere essa sia. Indubbiamente sono i supremi Pastori delle diocesi, i rettori e direttori spirituali dei Seminari, i docenti delle varie discipline a sentirsi per primi impegnati nell'opera multiforme di conveniente sostentamento, di istruzione e di educazione degli aspiranti al sacerdozio. Ma la loro azione è resa impossibile o molto più ardua e meno efficace, se non è preceduta e affiancata dalla cooperazione fervida e incessante dei parroci, dei sacerdoti, dei Religiosi e dei laici che si dedicano all'insegnamento della gioventù, e in modo particolare da quella dei genitori cristiani.

Necessità e dovere di creare l'ambiente favorevole al sorgere delle vocazioni sacerdotali

In realtà, come non vedere che la vocazione sacerdotale, dal suo sorgere fino al suo pieno sviluppo, pur essendo principalmente un dono di Dio, esige però la generosa collaborazione di molti, sia del clero che del laicato? Infatti, mentre la civiltà moderna ha diffuso in mezzo al popolo cristiano la stima e la cupidigia dei beni di questo mondo, ha raffreddato in molti animi l'apprezzamento dei beni soprannaturali ed eterni.
Come allora potranno spuntare numerose ed autentiche vocazioni sacerdotali in ambienti familiari e scolastici, nei quali si esaltano quasi unicamente i valori e i benefici inerenti alle professioni terrene? Quanto pochi, purtroppo, sono i cristiani che riflettono seriamente sul monito del Salvatore divino: Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? (Mc 8,36) e come è difficile, in mezzo alle infinite distrazioni e seduzioni del mondo, far propria la sentenza dell'Apostolo: Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne (Cf 2 Cor 4,18). E non è forse aprendo la mente e il cuore alla visione e alla speranza di celesti ricompense, che il Signore invitò i poveri pescatori di Galilea a cooperare alla sua divina missione? Vedendo egli, infatti, i due fratelli, Simone e Andrea, ch'erano pescatori, disse loro: Seguitemi, vi farò pescatori di uomini (Mt 4,19). E a Pietro, che a nome anche degli altri discepoli gli chiedeva qual sorte fosse loro riservata, dopo che avevano abbandonato tutto per suo amore, Gesù diede la solenne assicurazione: In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele (Mt 19,28).

Pertanto, affinché nei cuori dei fanciulli e dei giovani germoglino e si sviluppino la stima e il santo entusiasmo per la vita sacerdotale, è necessario creare l'ambiente spirituale adatto, sia nella famiglia che nella scuola. In altre parole, benché pochi cristiani siano chiamati al sacerdozio e allo stato religioso, tutti però sono obbligati a vivere e giudicare secondo lo spirito di fede soprannaturale (Cf Eb 10,38), e quindi a mostrare la più alta stima e venerazione verso le persone che consacrano interamente la loro vita alla propria santificazione, agli interessi spirituali dell'umanità e alla maggior gloria di Dio. Solo così si diffonderà in mezzo al popolo cristiano il modo di sentire di Cristo e sarà facilitata la fioritura delle vocazioni sacerdotali (Cf 1 Cor 2,16).

Natura della vocazione.
Sua prima sorgente: Dio. Dovere della preghiera

Il primo dovere, però, che incombe a tutti i cristiani, in ordine alle vocazioni sacerdotali, è quello della preghiera, secondo il precetto del Signore: La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe! (Mt 9,37-38) In queste parole del Redentore divino è chiaramente indicato che la prima sorgente della vocazione sacerdotale è la misericordiosa e liberissima volontà di Dio stesso. Ecco perché egli diceva ai suoi Apostoli: Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15,16). E san Paolo, pur esaltando il sacerdozio di Gesù Cristo su quello dell'antica alleanza, faceva osservare che ogni legittimo sacerdote, essendo di sua natura un mediatore tra Dio e gli uomini, dipende principalmente dal beneplacito divino, affermando: Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio... Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne (Eb 5,1-4). Quanto, perciò, più eccellente e più gratuita è la vocazione a partecipare al sacerdozio di Gesù Cristo, di cui lo stesso Apostolo scrive: Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote;... e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek (Eb 5,5-9). Perciò a ragione scrive san Giovanni Crisostomo, nel suo aureo trattato Sul sacerdozio: Il sacerdozio infatti si svolge sulla terra, ma appartiene agli ordini celesti: e giustamente di diritto. Infatti questo ufficio non è stato ordinato da un uomo, o da un angelo, o da un arcangelo, o da qualsivoglia altra potestà creata, ma dal Paraclito stesso: è stato lui ad ispirare quegli uomini a rivolgere i loro pensieri al ministero degli angeli, pur restando uomini (De Sacerdotio, lib. III, n. 4: PG 48, 642).

Ma a proposito della vocazione divina al sacerdozio, alla quale non si ha alcun diritto, giova avvertire che essa non riguarda soltanto le facoltà spirituali dell'eletto, cioè la sua intelligenza e la sua libera volontà, ma si estende altresì alle sue facoltà sensitive e al corpo stesso, affinché tutta la persona sia resa idonea al valido e degno adempimento degli ardui compiti del sacro ministero, che spesso esige rinunzie e sacrifici, e talvolta l'immolazione stessa della propria vita, sull'esempio del Buon Pastore, Cristo Gesù. Non è pertanto da pensare che Dio chiami al sacerdozio fanciulli o giovanetti, i quali o per difetto di sufficienti doti di mente e di cuore, o per evidenti tare psicopatiche, o per gravi difetti organici, non fossero poi in grado di soddisfare debitamente ai loro diversi uffici e di osservare gli oneri congiunti allo stato ecclesiastico. Al contrario, è confortante ritenere con l'Angelico Dottore che si avveri per ogni eletto al sacerdozio quanto l'Apostolo aveva asserito dei primi predicatori del vangelo. Scrive, infatti, san Tommaso: Dio prepara e dispone coloro che egli sceglie per qualche missione, in modo tale che siano trovati idonei per il compito al quale sono scelti, secondo l'affermazione di 2 Cor 3,6: Ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza (Summa Theol., III, q. 27, a. 4 c.).

Necessità e obbligo della tempestiva cultura

Oltre però a creare l'ambiente adatto alle vocazioni ecclesiastiche e a propiziare la grazia del Signore su nuove schiere di leviti, i genitori e i pastori di anime, o quanti hanno uffici di responsabilità verso i fanciulli e i giovani dovranno, nella misura delle loro possibilità, darsi premura di avviarli al Seminario o a qualche Istituto Religioso non appena dessero chiari segni di aspirazione e di idoneità al sacerdozio. Solo in tal modo essi saranno salvaguardati dalla corruttela del mondo e potranno coltivare il germe della divina chiamata nel luogo più adatto. È allora che ha inizio il compito proprio dei superiori, del direttore spirituale e dei docenti, quello cioè di discernere più accuratamente i segni dell'elezione da parte di Cristo nei suoi futuri ministri e di aiutare i medesimi a prepararsi degnamente all'eccelsa missione. Questa complessa opera di educazione fisica, religiosa, morale e intellettuale da impartirsi nel Seminario, è ben indicata dal canone del decreto Tridentino nelle parole: Ravvivare ed educare religiosamente e formare nelle discipline ecclesiastiche (MANSI, Amplissima Conc. Collect., 23, 147).

Vocazione sacerdotale e retta intenzione

Ma ecco un quesito di somma importanza: Qual è il segno più caratteristico, indispensabile della vocazione sacerdotale, sul quale perciò dovrà posarsi di preferenza lo sguardo di quanti attendono in Seminario all'istruzione e alla formazione dei giovani alunni, e soprattutto del direttore di spirito? Esso è indubbiamente la retta intenzione, la volontà cioè chiara e decisa di consacrarsi interamente al servizio del Signore, come si può rilevare dal decreto conciliare che prescrive non doversi ammettere nel Seminario se non i giovanetti il cui temperamento e la cui volontà diano la speranza che si dedichino per sempre ai ministeri ecclesiastici (Conc. Oecumen. Decr.; Centro di Documentazione, Istituto per le Scienze Religiose, Herder, 1962, p. 726, 38-39). Perciò, parlando di questa retta intenzione, il Nostro Predecessore Pio XI, nella sua celebrata enciclica Ad catholici sacerdotii, non esitò ad affermare: Come appare evidente, è da ritenere davvero chiamato da Dio al ministero sacerdotale colui che desidera entrare in questa sacra istituzione con la sola nobile intenzione di donarsi al servizio divino e alla salvezza delle anime, e nello stesso tempo abbia conseguito o si impegni a coltivare una solida pietà e una provetta castità di vita e, come abbiamo detto, una conveniente istruzione dottrinale (Lett. Enc. Ad catholici sacerdotii: AAS 28 (1936), p. 40).

Certezza morale della vocazione sacerdotale e chiamata del Vescovo

Però, se per l'accettazione in Seminario è sufficiente che i giovanetti rivelino almeno un primo germe di retta intenzione e di indole idonea al ministero sacro e agli obblighi che ne conseguono, per l'ammissione agli Ordini, e specialmente al Presbiterato, i candidati devono mostrare al Vescovo o al Superiore Regolare una maturità tale di santi propositi e di progresso nella pietà, nello studio e nella disciplina, da infondere in essi la certezza morale che davanti a loro sta l'eletto del Signore (Cf 1 Sam 16,6). Ed invero, quale tremenda responsabilità è quella dell'Ordinario, cui spetta il dovere di pronunziare il giudizio definitivo sui segni della vocazione divina nell'ordinando e cui è riservato il diritto di chiamarlo al sacerdozio, rendendo così autentica e operante davanti alla Chiesa una chiamata divina ch'è andata lentamente maturando! In questo senso ben poteva il Catechismo del Concilio di Trento asserire: Si dice che sono chiamati da Dio coloro che sono chiamati dai legittimi ministri della Chiesa (Catech. Conc. Trid., p. III, de Ordine, 3). Anche oggi, dinanzi alle deplorabili defezioni di alcuni ministri del santuario, che una maggiore severità nella scelta e nella formazione avrebbe potuto prevenire, i Pastori delle diocesi terranno utilmente presente il severo monito rivolto da san Paolo a Timoteo: Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui (1 Tm 5,22).

Altri elementi necessari alla maturità della vocazione

Dopo questo breve richiamo all'elemento indispensabile della vocazione sacerdotale, ch'è la volontà chiara, decisa, costante di abbracciare lo stato sacerdotale, principalmente mirando alla gloria di Dio, alla salvezza dell'anima propria e dei propri fratelli, anzi, di tutti i redenti dal Sangue preziosissimo del Salvatore divino, non sarà fuor di luogo un accenno agli altri elementi che concorrono alla perfetta preparazione del futuro ministro dell'altare. Di questo problema importantissimo per la vita della Chiesa, si sono occupati più volte i Nostri Predecessori e sono a tutti ben noti i documenti più recenti da essi emanati, come l'Enciclica Ad catholici sacerdotii (AAS 28 (1936), pp. 5-53) di Pio XI, l'esortazione Menti nostrae (AAS 42 (1950), pp. 657-702) di Pio XII, l'Enciclica Sacerdotii nostri primordia di Giovanni XXIII (AAS 51 (1959), pp. 545-579). È poi all'esame del Concilio Ecumenico Vaticano II uno schema di costituzione De sacrorum alumnis formandis, la cui approvazione, completando per i nostri tempi le provvide disposizioni del decreto Tridentino e dei vari documenti della Sede Apostolica, che ad esso seguirono, sarà destinata a suscitare un notevole balzo in avanti anche nell'opera di reclutamento delle vocazioni ecclesiastiche e in quella, ancor più importante e impegnativa, della loro congrua formazione sia ascetica e liturgica, che intellettuale e pastorale.
Nell'attesa fiduciosa delle sapienti deliberazioni conciliari anche a riguardo dei Seminari, crediamo essere dovere impellente del Nostro supremo ufficio pastorale, quello di invitare quanti attendono all'educazione dei giovani aspiranti al sacerdozio, a ben considerare taluni pericoli che minacciano la efficacia della pedagogia in uso nei Seminari e gli elementi che in tale formazione occorre coltivare con maggiore diligenza.

Pericoli e deviazioni

Quanto ai pericoli che, quali erbe malefiche, oggi più che nel passato, tendono a invadere il campo aperto ad ogni semente, ch'è l'animo dell'adolescente, segnaliamo lo spirito di critica verso tutto e verso tutti, che insidia la sua intelligenza. Nella volontà, poi, anche dei più piccoli, dobbiamo lamentare l'insofferenza di ogni vincolo morale, provenga esso dalla legge naturale o dalla autorità ecclesiastica o civile, e quindi l'aspirazione ad una libertà di azione senza freni. Indebolite in tal modo le facoltà superiori nelle loro spirituali ascensioni verso le vette del vero e del bene, non fa meraviglia che le potenze sensitive, sia interne che esterne, sfuggano il doveroso controllo della retta ragione e della buona volontà, essendosi queste facoltà sottratte per prime al continuo ed efficace influsso della grazia e delle virtù soprannaturali. Ecco allora che la condotta dell'adolescente appare proclive a modi di parlare e di agire che discordano dalle norme di umiltà, di obbedienza, di modestia, di castità convenienti alla dignità di un essere ragionevole e soprattutto di un cristiano, il cui stesso organismo corporeo è divenuto per la grazia membro di Gesù Cristo e tempio dello Spirito Santo. Come non avvertire in simili manifestazioni di una psicologia giovanile superficiale o persino disordinata, i sintomi di una futura personalità che accamperà molti diritti e ammetterà pochi doveri, e quindi un pericolo molto grave per il sorgere e lo sviluppo di convinte e generose vocazioni sacerdotali? Occorre pertanto opporsi vigorosamente a tutto ciò che minaccia seriamente la sana educazione della gioventù, specialmente quando si tratta di quella chiamata da Cristo alla continuazione della sua opera di redenzione.

Rimedi: virtù naturali e soprannaturali da coltivare

Ma con quali mezzi si dovranno ottenere queste mete? È dovere anzitutto dei genitori e degli insegnanti impegnarsi a coltivare nei loro figli o alunni, e specialmente in coloro che manifestano un'indole più docile, più generosa e incline all'ideale del sacerdozio, lo spirito di preghiera, di umiltà, di ubbidienza, di dedizione e di sacrificio. Sarà perciò dovere dei superiori e degli insegnanti del Seminario, non soltanto di conservare e sviluppare nei giovanetti, che vi sono stati ammessi, le doti sopra accennate, ma di curare altresì che col progredire degli anni compaiano e si affermino nell'animo del candidato ai sacri ordini altre qualità, da ritenersi come essenziali ad una solida e completa formazione morale. Tra queste riteniamo di più fondamentale importanza lo spirito di riflessione e di retta intenzione nell'agire; la libera e personale scelta del bene, anzi del meglio; la padronanza della propria volontà e dei sensi di fronte alle suggestioni dell'amor proprio, del cattivo esempio altrui, delle suggestioni al male provenienti sia dalla natura recante le conseguenze del peccato originale, sia dal mondo e dallo spirito del male, che ancor oggi circuisce con particolare accanimento i prediletti del Signore, desideroso della loro rovina.
Nei riguardi poi del prossimo, colui che aspira ad essere con Cristo e per Cristo testimone dinanzi al mondo della verità che fa liberi e salva (Cf Gv 18,37; 8,32), dovrà essere educato al culto della verità sia nelle parole che nelle azioni, e quindi alla sincerità, alla lealtà, alla coerenza, alla fedeltà, secondo l'esortazione di san Paolo al suo diletto Timoteo: Richiama alla memoria queste cose, scongiurandoli davanti a Dio di evitare le vane discussioni, che non giovano a nulla, se non alla perdizione di chi le ascolta. Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi, uno scrupoloso dispensatore della parola della verità (2 Tm 2,14-15).

Necessaria simultaneità della formazione umana, cristiana, sacerdotale

Ma in quest'opera di purificazione, o di preservazione dell'animo dell'adolescente dai pericolosi germogli del peccato e del vizio, e di seminagione e di coltura delle piante salutari, si dovrà fare il debito affidamento sulle buone qualità insite nell'umana natura, affinché tutto l'edificio spirituale poggi anche sulle solide basi delle virtù naturali.
Torna in proposito quanto mai opportuna la sapiente affermazione dell'Aquinate: Siccome la grazia non prescinde dalla natura, ma la perfeziona, occorre che la naturale inclinazione dell'intelletto si metta a servizio della fede, come anche la naturale inclinazione della volontà si conformi alla carità (Summa Theol., I, q. 1, a. 8 c.).
Tuttavia le buone qualità e virtù naturali non devono essere sopravvalutate, quasi che il successo vero e duraturo del ministero sacerdotale dipendesse in misura prevalente da umane risorse; come parimenti è da tener ben presente che non è possibile educare perfettamente l'animo della gioventù alle stesse virtù naturali della prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza, dell'umiltà, della mansuetudine e delle altre virtù che sono ad esse connesse, facendo ricorso ai soli principi della retta ragione e ai metodi delle umane discipline, quali sono la psicologia sperimentale e la pedagogia.
È infatti dottrina cattolica che senza la grazia sanante del Salvatore nostro non si è in grado di compiere tutti i comandamenti della stessa legge naturale e quindi di acquistare perfette e solide virtù (Cf Summa Theol., I-II, q. 109, a. 4 c).
Da questo inconcusso principio scaturisce una conseguenza di grande valore pratico, cioè: la formazione dell'uomo deve andare di pari passo con quella del cristiano e del futuro sacerdote, affinché le energie naturali siano purificate e coadiuvate dalla preghiera, dalla grazia dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia frequentemente ricevuti e dall'influsso delle virtù soprannaturali, e queste trovino nelle virtù naturali un presidio ed insieme un aiuto nel loro funzionamento.
Ma non basta! Occorre altresì, come ammonisce l'Apostolo, che le energie naturali, sia intellettuali che volitive, siano docili alle direttive della fede e all'impulso della carità, affinché tutte le nostre azioni, compiute nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo, siano meritorie del premio eterno (Cf Col 3,17; 1 Cor 13,1-3).

Educazione allo spirito di sacrificio e alla imitazione di Gesù Cristo

Evidentemente quanto abbiamo asserito è da tenersi ben presente da coloro che sono chiamati ad essere con il Salvatore divino vittime di amore e di ubbidienza per la salvezza degli uomini; e a vivere nella castità verginale ed in un esemplare distacco, sia interiore che esteriore, dalle vane ricchezze di questo mondo, affinché il loro ministero sia più degno e più ricco di frutti salutari. Per questo motivo si esigerà da loro un giorno non solo che tutte le loro buone qualità siano poste a servizio del sacro ministero, ma che siano pronti a sacrificare anche non pochi legittimi desideri della natura e a sopportare travagli e persecuzioni pur di compiere fedelmente e generosamente l'ufficio del Buon Pastore. Ogni fedele ministro di Gesù Cristo deve poter ripetere con san Paolo: Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro (1 Cor 9,22-23).
Questa è stata altresì la condotta di tanti Vescovi e sacerdoti, che la Chiesa propone in esempio a tutto il ceto ecclesiastico, elevandoli alla gloria degli altari.

Luce del modo

Tale è, nei suoi tratti essenziali, l'altissimo compito di formazione disciplinare e spirituale, affidato al rettore e al direttore spirituale del Seminario sotto la suprema direzione del Vescovo. Esso, però, deve essere integrato dalla collaborazione dei docenti delle varie discipline, per quanto riguarda il debito sviluppo di tutte le facoltà conoscitive dell'alunno candidato al sacerdozio. Frutto allora dell'intelligente e armonica collaborazione tra educatori e professori sarà la formazione completa del giovane, la sua personalità, non semplicemente umana e cristiana, ma soprattutto sacerdotale, ch'è tutta pervasa dalla luce della divina rivelazione, da cui dipende principalmente che l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tm 3,17). È, infatti, da tener presente qιanto afferma il Crisostomo: L'animo del sacerdote bisogna che risplenda come una luce che illumina tutto il mondo (De Sacerdotio, lib. VI, n. 4: PG 48, 681).

Studi

Del patrimonio culturale del giovane sacerdote devono far parte, indubbiamente, una discreta conoscenza delle lingue, e particolarmente della lingua latina specialmente per i sacerdoti di rito latino; inoltre il possesso delle principali cognizioni storiche, scientifiche, matematiche, geografiche e artistiche che ai tempi nostri sono proprie delle persone colte, secondo le rispettive nazioni. Ma la ricchezza precipua della mente di un sacerdote deve essere costituita dalla sapienza umana e cristiana, ch'è frutto di una solida formazione filosofica e teologica secondo il metodo, la dottrina e i principi di san Tommaso, in perfetta adesione agli insegnamenti della rivelazione divina e del magistero della Chiesa. Di questa formazione teologica fanno parte altresì essenziale o complementare varie discipline, quali la esegesi biblica secondo le regole dell'ermeneutica cattolica, il diritto canonico, la storia ecclesiastica, la liturgia, l'archeologia, la patrologia, la storia dei dogmi, la teologia ascetica e mistica, l'agiografia, la sacra eloquenza, ecc.

Partecipazione alla vita diocesana

Avvicinandosi poi l'ammissione agli Ordini maggiori, e nei primi anni dopo ricevuto il presbiterato, si dovrà iniziare l'alunno ai problemi della teologia pastorale e agevolargli una partecipazione sempre più ampia e responsabile alla vita diocesana, cioè al culto liturgico, alla istruzione catechistica, alla assistenza della gioventù di azione cattolica, alle opere di apostolato a favore delle missioni, in modo che gradualmente, ed insieme tempestivamente, il futuro pastore di anime conosca il campo della propria attività e vi si prepari adeguatamente. A questo scopo gli sarà inoltre di grande aiuto una buona conoscenza del canto Gregoriano e della musica sacra. Egli allora imparerà a dare ai suoi studi una maggiore unità ed un più efficace orientamento pastorale, ben persuaso che tutto in lui deve avere come ultimo scopo l'avvento del Regno di Cristo e di Dio, secondo il saggio avvertimento di san Paolo: Tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1 Cor 3,22-23). Sì, mentre oggi si vanno misconoscendo sempre più i diritti di Dio nei vari campi dell'attività umana, è necessario che il sacerdote rifulga nel mondo come altro Cristo e uomo di Dio (1 Tm 6,11).

Santità esimia

Santità e scienza dovranno, dunque, essere le prerogative di chi è chiamato a divenire ambasciatore del Verbo di Dio, Redentore del mondo. Santità esimia, in primo luogo, superiore cioè a quella dei fedeli laici e dei semplici religiosi, poiché, come osserva giustamente il Dottore Angelico: Se il religioso non ha l'ordine, ciò dimostra che la preminenza dell'ordine eccelle, quanto a dignità. Perché con il sacro ordine uno viene deputato a ministeri degnissimi, con i quali si serve a Cristo stesso nel sacramento dell'altare (Summa Theol., II-II, q. 184, a. 8 c.). Perciò una ferventissima devozione all'Eucaristia dovrà risplendere nella vita di colui che aspira a divenirne il consacratore e il dispensatore; e, con la devozione al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, anche quelle, che tanto bene con essa si armonizzano, cioè al Nome di Gesù e al suo sacratissimo Cuore.

Elogi ed esortazioni, preghiera e carità fraterna

A coronamento di queste nostre esortazioni, desideriamo rivolgere una parola di paterno compiacimento a quanti lavorano con zelo e non lievi sacrifici nell'opera di reclutamento e di educazione delle vocazioni sacerdotali, sia del clero secolare che di quello regolare; uno speciale elogio vada a coloro che svolgono simili compiti nelle regioni, dove vi è maggiore scarsità di clero o dove è più arduo e spesso pericoloso il procurare alla Chiesa nuovi ministri del santuario. Vada altresì il nostro plauso a coloro che, in ossequio alle direttive e agli incitamenti della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi, con pubblicazioni e congressi cercano di perfezionare i metodi di formazione dei seminaristi, in conformità con le particolari esigenze dei tempi e dei luoghi, e col progresso delle discipline pedagogiche, ma sempre nel dovuto rispetto dello scopo e dello spirito propri della vita sacerdotale per il maggior bene della Chiesa.
A voi, infine, dilettissimi figli, che raccolti in preghiera assidua e carità fraterna entro le sacre mura del Seminario, come lo erano gli Apostoli nel Cenacolo, vi preparate, sotto lo sguardo materno della Regina degli Apostoli, a ricevere il sovrumano potere di consacrare il Corpo e il Sangue del Signore e di rimettere i peccati, ed insieme una più larga effusione della grazia dello Spirito Santo che vi abiliti a compiere degnamente il ministero della riconciliazione (2 Cor 5,18) diciamo con san Paolo: Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando, fu chiamato (1 Cor 7,29). Docilità e fedeltà alla chiamata di Dio sono, infatti, indispensabili per chiunque voglia cooperare più intimamente con Gesù Cristo alla salvezza delle anime ed assicurarsi una più fulgida corona di gloria nella eternità.
Apprezzate il dono mirabile che il Signore vi ha fatto, fin dai vostri giovani anni, servitelo nella gioia e nell'esultanza (Cf Sal 99,2). Infine, mentre vi esortiamo, o Venerabili Fratelli, a tradurre in pratica nelle vostre diocesi questi ammonimenti, che unicamente l'amore della Chiesa Ci ha dettati, manifestiamo a voi, ai fedeli affidati alle vostre cure e soprattutto ai seminaristi, la nostra viva benevolenza in pegno della quale di gran cuore a tutti impartiamo la Benedizione Apostolica.

Roma, presso San Pietro, nella festa di san Carlo Borromeo, il 4 novembre 1963, anno primo del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI