Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

2 Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43.

Clerus
23 novembre 2025

«A un sospeso, a un crocifisso, a un sanguinante,

a uno inchiodato diceva:

Quando sarai entrato nel tuo regno.

Quegli altri invece: Noi speravamo.

Dove il ladrone aveva scoperto la speranza,

là i discepoli l’avevano perduta».

Sant’Agostino, Discorso 232, 6

 

 

Voce del verbo ‘salvare’

A cosa pensiamo quando coniughiamo il verbo ‘salvare’? Nel linguaggio comune, usiamo spesso questo verbo: ci affrettiamo per esempio a salvare i nostri documenti sul computer o nella memoria esterna, ci consoliamo quando la nostra squadra si salva evitando la retrocessione, ci siamo salvati quando eravamo impreparati e il professore ha interrogato qualcun altro al posto nostro! Sembra quindi che nel linguaggio comune salvare significhi riuscire a tenere sotto controllo, evitare di rovinare la propria immagine, vuol dire non fallire e superare le prove. In generale quindi salvare significa per noi essere padroni della nostra vita, avere un potere, a volte legato alle proprie capacità, a volte legato al ruolo, a volte semplicemente al caso che ci è stato propizio.

 

La tentazione dell’autosalvezza

Se però guardiamo al modo in cui Gesù ha interpretato questo verbo, notiamo una certa distanza dalla nostra prospettiva usuale. E questo modo diverso di declinare la salvezza ci permette di comprendere anche diversamente la sua regalità.

Mentre è sulla croce, infatti, tutti lo incitano a salvare se stesso. Un invito che ci ricorda forse quello che le nostre mamme ci dicevano da piccoli: pensa (prima) a te!

Sàlvati vuol dire non perderti, non fallire, dimostra quanto vali! Nella gara della vita cerchiamo di salvare intanto noi stessi. È la competizione che impariamo fin da piccoli: siamo programmati per salvarci, anche a scapito degli altri. Dobbiamo sempre dimostrare di non essere inadeguati.

Il testo di Luca ci dice infatti che la gente stava a guardare. È quello che succede sempre: siamo circondati da aspettative, pregiudizi, attese, a cui ci sottoponiamo, sguardi che cerchiamo di compiacere. E allora capiamo bene che il desiderio di salvezza non conduce più a essere re della propria vita, ma diventa ansia di salvezza che ci fa diventare schiavi del nostro io, dell’immagine, del giudizio.

 

Chi salvare?

Gesù è Re perché declina diversamente questo verbo: Gesù non è ossessionato dal proprio io, non è schiavo delle attese degli altri, ma si preoccupa innanzitutto di salvare gli altri. Non mette se stesso prima degli altri. Se torniamo indietro, quando Gesù incontra la tentazione che gli suggerisce di trasformare le pietre in pane (cf Mt 4,1-11; Lc 4,1-13), cioè di pensare alla sua legittima fame, Gesù si rifiuta, mangerà con gli altri, insieme agli altri. Gesù è Re perché non è schiavo del proprio io, è l’uomo libero per eccellenza!

In effetti, in quell’occasione, il tentatore aveva detto che sarebbe ritornato al momento opportuno (Lc 4,13). Torna infatti nel momento in cui Gesù è più debole: nella passione, nella sofferenza, nell’abbandono, nella delusione. E nel momento più difficile la tentazione torna proprio sotto la forma dell’auto-salvezza. Nei momenti di difficoltà, infatti, siamo indotti a pensare prima di tutto a noi stessi: diventiamo schiavi delle preoccupazioni del nostro io.

 

Lasciarsi salvare

L’immagine della regalità non è particolarmente efficace nella nostra cultura, perché o ci riporta alle favole che abbiamo ascoltato da bambini o ci riporta a momenti della storia che consideriamo superati. La figura del Re è spesso associata a un potere gestito in maniera arbitraria o a un potere non meritato o a un potere ottenuto con la forza.

D’altra parte, è però vero che noi andiamo sempre in cerca di un re nella nostra vita, come dimostra anche il testo del secondo libro di Samuele: cerchiamo qualcuno a cui delegare il potere sulla nostra vita. Gesù invece non vuole nessuna delega, va a sedersi su un trono che si chiama croce, dopo aver dato la sua vita per noi. Il suo potere è quello dell’amore: la capacità di perdonare sempre fino in fondo, la forza di amare ciascuno così com’è.

 

Sempre possibile

Alla fine, non si ritrova seduto tra i potenti, neppure tra i suoi discepoli, ma in mezzo ai peccatori. Si è talmente fatto vicino ai peccatori, al punto da morire in mezzo a loro. La sua ultima parola è ancora una volta una parola di accoglienza: «oggi con me sarai nel paradiso». Quel ladrone pentito è l’uomo che nella vita non ce l’ha fatta, uno che forse avrebbe voluto essere migliore, che forse ha provato a non sbagliare, uno che non ce l’ha fatta a liberarsi dalla maschera del cattivo. Proprio per questo, la sua vicenda ci insegna che la salvezza è sempre possibile, anche quando a noi sembra che non ci sia più via d’uscita!

 

 

Leggersi dentro

  • Cerchi anche tu di salvare a tutti i costi la tua immagine anche a scapito degli altri?

  • Sei libero di consegnare la tua vita al Signore o sei schiavo delle aspettative degli altri?