Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti
Is 25,6.7-9 Sal 24 Rm 8,14-23 Mt 25,31-46
Rattristiamoci dunque per i nostri defunti
quando inevitabilmente subiamo la separazione,
ma con la speranza di riaverli vicino.
In un senso siamo angosciati, nell’altro consolati;
da una parte è colpita la debolezza,
dall’altra si fortifica la fede;
di là è nel dolore la condizione umana,
di qua offre il rimedio la promessa divina.
Sant’Agostino, Discorso 172,1.1
Fragili e finiti
Una sedia vuota, un nome che non pronunciamo più, uno sguardo che non incrocia più il nostro… sono legami che si spezzano. Sono tagli accompagnati dal pianto. Un momento a cui non vorremmo mai arrivare. Eppure, sappiamo fin dall’inizio che arriverà la fine.
Il nostro desiderio, quando viviamo una relazione importante e significativa, è che quella conclusione non arrivi mai. Stranamente, non ci fermiamo a pensare che prima o poi quel legame terreno finirà. Forse se considerassimo più spesso questa realtà inevitabile, vivremmo le relazioni in modo diverso.
Siamo fatti di una carne che si corrompe. Prima o poi finiamo. Siamo fragili e finiti. Non è un dramma o una vergogna, ma una richiesta: la vita chiede cura. Se siamo così, vuol dire che dobbiamo prenderci cura della nostra vita e di quella degli altri. Se le relazioni non sono per sempre, vuol dire che dobbiamo coltivarle finché ci sono. Ciò che finisce non può essere dato per scontato: è come qualcosa di prezioso che vogliamo trattenere finché c’è. Eppure, non sempre guardiamo alla vita ricordandoci che non è un dono scontato.
Porte
È probabile che non sperimentiamo mai la nostra morte, vediamo più che altro la morte degli altri, e già questo porta dolore e sgomento. Ma è anche vero che in tanti momenti ci sentiamo morire, quasi come se fosse un’anticipazione di quell’ultimo momento. Ci sentiamo morire quando qualcuno ci fa soffrire, ci sentiamo morire quando abbiamo paura di non farcela, ci sentiamo morire quando la solitudine è l’unica nostra compagnia. Eppure, ce l’abbiamo fatta, quelle morti le abbiamo affrontate e superate. Sì, perché la morte non è mai l’ultima parola!
La morte, e anche le piccole grandi morti che sperimentiamo nella vita, sono soltanto porte. Ci sembrava di morire, ma la vita è andata avanti, così alla fine, la nostra morte sarà una porta che si spalanca su un mistero che conosciamo solo per fede. Con il nostro battesimo è iniziata la vita eterna che deve passare necessariamente attraverso il disfacimento del nostro copro mortale, fatto di carne che si consuma.
Il Signore conosce bene il dolore di questo passaggio, il dolore che accompagna i legami che si spezzano. Per questo ci ha promesso di asciugare ogni lacrima e di preparare per noi una festa in cui potremo ritrovarci (Is 25,6.8).
Cura
Mettermi davanti alla mia morte, vuol dire allora rendermi conto di cosa ne sto facendo della vita. Siamo tutti vulnerabili e finiti, possiamo essere feriti e colpiti a morte. La qualità della nostra vita dipende allora da questa decisione: cosa voglio farne della vulnerabilità del fratello che mi sta davanti? Posso approfittarne, essere indifferente o prendermene cura! E il primo fratello che ha bisogno di cura sono sempre io stesso.
La cura che le relazioni ci domandano è quella dei gesti ordinari, proprio come ci ricorda il testo del Vangelo di Matteo (Mt 25,31-46): si tratta di guardarsi intorno e di capire di cosa c’è bisogno. Di cosa ha bisogno chi mi sta accanto?
Quando Caravaggio dipinge le Sette opere di misericordia, ne aggiunge una in più rispetto al testo di Matteo, dipinge anche il seppellire i morti, perché nella Napoli del Seicento flagellata dalla peste, guardandosi intorno, era proprio quello di cui c’era bisogno.
La morte è una luce che dal fondo rischiara la vita e ci ricorda di prenderci cura del più piccolo, ricordandoci che a volte il più piccolo, quello di cui devo prendermi cura, sono proprio io.
Leggersi dentro
Come ti prendi cura delle relazioni che per te sono importanti?
Cosa hai sperimentato quando i legami terreni si sono spezzati a causa della morte?