XXX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Sir 35,15-17.20-22; Sal 33; 2 Tm 4,6-8.16-18; Lc 18, 9-14.

Clerus
26 ottobre 2025

 

«Il pubblicano invece s’era fermato a distanza,
ma tuttavia era vicino a Dio.
Lo teneva lontano il rimorso,
ma lo avvicinava lo spirito di fede.
Il pubblicano invece s’era fermato a distanza,
ma il Signore lo guardava da vicino»,
Sant’Agostino, Discorso 115,2

 

 

Lo specchio interiore

Nella nostra casa interiore si trova uno specchio, al quale chiediamo conferma della nostra bellezza o che rifuggiamo per non vedere la verità di noi stessi. È lo specchio di cui simbolicamente parla anche la favola di Biancaneve, lo specchio a cui la strega si rivolge fin quando ottiene la risposta che vuole, ma pronta a distruggerlo quando le rivela come stanno veramente le cose.

In realtà gli specchi si trovano anche fuori di noi e difficilmente possiamo eliminarli: sono gli altri, che, spesso senza volerlo, solo passandoci accanto o incrociando malauguratamente la nostra vita, ci svelano a noi stessi. Ce ne accorgiamo quando qualcosa ci infastidisce nell’altro, quando non lo sopportiamo o quando addirittura vorremmo sopprimerlo. È proprio allora che dobbiamo chiederci che cosa non accettiamo in noi stessi: il fastidio che percepiamo, infatti, o è dovuto al fatto che quella persona mi somiglia e mi ricorda qualcosa che in me non voglio vedere o, forse, la persona ha qualcosa che io non ho e che invece vorrei possedere. Insomma, il fastidio che provo dice sempre qualcosa di me. Quello che stiamo consegnando agli altri, in realtà ci appartiene!

 

La paura dell’imperfezione

Nella parabola lucana il fariseo consegna al pubblicano il disprezzo per quell’imperfezione che non vuole vedere in se stesso. Il fariseo ha paura della sua imperfezione. Sa che può sbagliare, sa che in fondo è come il pubblicano, ma si sforza di coprire quell’immagine di fragilità che non sopporta in se stesso. Riversando sull’altro il suo disprezzo per l’imperfezione, il fariseo si illude di allontanare da sé quella minaccia.

 

La preghiera ci svela

Il fariseo e il pubblicano salgono entrambi al Tempio per pregare. La preghiera è per entrambi il momento del dialogo interiore, in cui però vengono fuori per quello che sono. La preghiera infatti ci rivela. Il modo in cui preghiamo dice molto di noi. Il Fariseo prega stando «davanti a sé»: solo apparentemente si mette alla presenza di Dio, in realtà usa la preghiera come lo specchio delle sue conferme, si parla addosso. Se osserviamo il modo in cui il Fariseo prega, scopriamo che usa sempre il pronome Io: è lui stesso il protagonista della sua preghiera, non c’è spazio per Dio.

 

La ricerca di conferme

Nello specchio della preghiera, il Fariseo cerca di far emergere i suoi aspetti positivi, accentuandoli fino all’estremo. Dice infatti che digiuna due volte alla settimana, ma Lv 16 prevedeva il digiuno solo nel giorno dell’espiazione, una volta l’anno. Dice inoltre che paga la decima su tutto, sebbene fosse necessario pagare la decima solo su quello che veniva venduto. Questa esagerazione mette in evidenza la diffidenza e la visione negativa che il Fariseo ha di tutti gli altri: digiuna e paga la decima su tutto, in modo da sopperire e riparare alle mancanze di tutti gli altri! Tutti gli altri, di cui il Pubblicano diventa l’emblema, sono peccatori, adulteri, ladri…solo lui è buono! Quando nel nostro modo di pensare, o addirittura di pregare, ritroviamo questa assolutizzazione, vuol dire che sicuramente c’è qualcosa che non funziona: il nostro modo di guardare la realtà non è sano!

Quando poi ti sforzi di convincerti di essere giusto e perfetto, probabilmente stai anche alimentando un’immagine di Dio distorta: Dio diventa il giudice dal quale essere assolto, dimostrando la propria innocenza!

 

Togliersi la maschera

Al contrario il Pubblicano prega rimanendo a distanza, riconosce cioè di stare davanti a qualcuno: nella sua preghiera il pronome che prevale è il Tu. La distanza dice che c’è la percezione di qualcuno che mi sta davanti. In quella distanza, il Pubblicano sente di essere nudo, si vergogna, non alza lo sguardo. Sente tutta la sua imperfezione. Del resto, è un pubblico peccatore, lo sanno tutti, quindi non avrebbe modo di nascondersi. Ma, proprio questa evidenza diventa per lui la via della salvezza. Si lascia vedere per quello che è, non si copre, non indossa maschere. Non solo si lascia vedere, ma la cosa più importante è che lui stesso si vede per quello che è. Ecco perché alla fine il Pubblicano è giustificato e il Fariseo no: il Pubblicano è riconciliato con se stesso, perché ha accettato di guardarsi per come è, il Fariseo non è riconciliato con se stesso, perché continua a indossare maschere e a non riconoscersi per quello che è.

 

 

Leggersi dentro

– Cosa ti infastidisce di più negli altri?

– Chi è il vero protagonista della tua preghiera?