Santa Messa con i sacerdoti della Domus Romana Sacerdotalis
La Santa Messa con gli auguri natalizi è tenuta il 19 dicembre alle 19 presso la cappella Madonna della Fiducia della Domus Romana Sacerdotalis. È tradizione che in alcune occasioni, inizio anno, Natale, Pasqua, commemorazione dei Defunti, giornata della sanificazione sacerdotale, un Superiore di Dicastero celebri la Santa Messa con i 55 sacerdoti della curia romana residenti alla Domus Romana Sacerdotalis. È una comunità presbíterale che condivide non solo l'alloggio ma anche momenti di preghiera e di fraternità e la collaborazione per il ministero Pastorale che i diversi presbíteri svolgono in molte parrocchie di Roma e in altri ambienti di formazione e di carità.
Omelia SE Mons Gallagher

Cari Sacerdoti, desidero salutarvi con le parole che Papa Francesco ha rivolto ai chierici e ai consacrati della Corsica: “grazie perché ci siete, con la vostra vita donata; grazie per il vostro lavoro, per l’impegno quotidiano; grazie perché siete segno dell’amore misericordioso di Dio e testimoni del Vangelo”.
Sono lieto di poter celebrare con voi la Santissima Eucaristica in occasione degli auguri natalizi, mentre ogni giorno condividiamo insieme il servizio al Santo Padre e alla Chiesa Universale.
La colletta ha ricordato, anche a noi che operiamo nella curia romana, che Dio “con il parto della Santa Vergine, ha rivelato al mondo lo splendore della sua gloria”. Nel nostro particolare ministero, vorremmo – come auspicato dal Santo Padre – essere segni e testimoni della gloria della Trinità che rivela il Suo amore misericordioso.
L’annuncio della nascita prodigiosa di Sansone e di Giovanni Battista, oltre a essere profezia e preludio dell’Incarnazione del Figlio di Dio, ci fa ritornare al mistero profondo della nostra vocazione cristiana e sacerdotale. Nel grande progetto di Redenzione voluto dalla Provvidenza divina e narrato nella Rivelazione, la benevolenza di Dio ci ha scelti come collaboratori, non per nostro merito ma per la sua condiscendenza.
Cari sacerdoti, anche noi riviviamo lo stupore di Manòach e di sua moglie e, se guardiamo la nostra storia con gli occhi di Dio riusciamo a ritrovarci nelle parole riguardanti Sansone: “Il bambino crebbe e il Signore lo benedisse. Lo spirito del Signore cominciò ad agire su di lui”. Se ci fermiamo a meditare sulla nostra vocazione, comprendiamo che siamo sempre discepoli, abbiamo sempre bisogno di crescere e possiamo progredire nella fede, nella santità e nella dedizione a Dio coltivando con cura la nostra vita spirituale.
Ancora Papa Francesco ad Ajaccio così interrogava i sacerdoti: “Vi faccio questa domanda: come vivo io il discepolato? Fissatela nel vostro cuore, non sottovalutatela, e non sottovalutate la necessità di questo discernimento, di questo guardarsi dentro, perché non ci succeda di essere “macinati” nei ritmi e nelle attività esterne e di perdere la consistenza interiore. Da parte mia, vorrei lasciarvi un duplice invito: avere cura di voi e prendervi cura degli altri”. Desideriamo accogliere l’invito del Santo Padre a prenderci cura di noi stessi.
Anche regalarsi momenti come questa celebrazione è un modo di prendersi cura di noi, come comunità sacerdotale. So che ogni mese in questa casa avete l’adorazione eucaristica comunitaria, che vi sono due orari quotidiani per la concelebrazione e che le cappelle sono frequentate per la preghiera personale. In questo modo si costruisce quella “consistenza interiore” raccomandata dal Papa, il quale ci insegna anche che “in questa cura rientra un’altra cosa: la fraternità tra di voi. Impariamo a condividere non soltanto le fatiche e le sfide, ma anche la gioia e l’amicizia tra di noi”.
Un modo di esprimere la fraternità nelle case sacerdotali sarà anche vivere insieme il Giubileo ormai alle porte, non solo attraverso iniziative particolari, ma soprattutto condividendo il cammino quotidiano come pellegrini di speranza.
Poi siamo chiamati a prenderci cura degli altri. Per noi Vescovi e sacerdoti della curia romana, prendersi cura degli altri ha un significato particolare perché il nostro lavoro d’ufficio è il modo concreto di esercitare l’amore per il prossimo: “la nostra vita si esprime nell’offerta di noi stessi”, ha ricordato il Santo Padre.
Noi realizziamo questa offerta anzitutto in Segreteria di Stato, nei Dicasteri, nelle Basiliche Romane o nelle Università Pontificie. Compiamo un lavoro nascosto, talora senza gratificazioni evidenti, gravato di responsabilità ed è nella nostra dedizione silenziosa, totale, qualificata che si realizzano la nostra santificazione e l’atto di amore più grande della nostra vita, per molti coronato con generosità anche da qualche forma di ministero pastorale.
Il brano di Vangelo ha presentato la figura di Zaccaria che può aiutarci a rileggere la nostra esperienza spirituale di sacerdoti in servizio alla curia romana: a volte infatti possiamo ritrovarci nell’atteggiamento piuttosto scettico del padre di Giovanni il Battista e impostare in modo dialettico la nostra visione della Chiesa e il nostro rapporto personale con Dio.
Nella Chiesa e nel mondo, non tutto può essere secondo i nostri gusti. E ancora più in profondità potrebbe insinuarsi in noi una certa sfiducia nell’ideale evangelico. L’interrogativo di Zaccaria potrebbe essere anche il nostro: “Come potrò mai conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanti negli anni”, che tradotto ai nostri tempi potrebbe suonare come un “si è sempre fatto così”, oppure “non cambia nulla, anzi è sempre peggio”.
Come Zaccaria rimase muto, anche noi impariamo a coltivare l’atteggiamento dell’ascolto sia a livello personale con la meditazione quotidiana della Parola di Dio che nella dimensione comunitaria del discernimento, come abbiamo sperimentato recentemente nell’assemblea sinodale. Impariamo quindi a una visione di fede della realtà ecclesiale, con quella fiducia che viene da una relazione profonda con il Signore.
La vicenda umana e spirituale di Elisabetta e Zaccaria ci insegna infatti che Dio mantiene le proprie promesse. Ha realizzato la speranza di Israele, la realizza anche per la Chiesa e per ciascuno di noi. Premio della nostra fedeltà all’identità sacerdotale e alla dedizione al ministero a servizio della Chiesa e del Papa è la pienezza di vita che solo il Signore può dare.
L’esempio di Maria Madre di Dio ci accompagna nell’avvento e nella vita, come presbiteri chiamati a servire nel cuore della Chiesa, con la preghiera quotidiana del Santo Rosario ci rivolgiamo a Lei, Mater Ecclesiae, Spes Nostra, nel desiderio di ripetere il suo stesso “fiat”.
Vorrei concludere ancora con le parole del Santo Padre in Corsica, esprimendo anche personalmente un sincero augurio per il Natale e per la vita di tutti e di ciascuno: “anche nei momenti di stanchezza e di scoraggiamento, non lasciatevi andare. Riportate il cuore al Signore. Non dimenticavi di piangere davanti al Signore! Egli si manifesta e si fa trovare se avrete cura di voi stessi e degli altri. In questo modo Lui offre la consolazione a coloro che ha chiamato e inviato. Andate avanti con coraggio: vi
ricolmerà di gioia!”.