I giovani protagonisti del Regno di Dio e testimoni della speranza del Vangelo
Domenica 24 novembre, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo e nella ricorrenza diocesana della xxxix Giornata Mondiale della Gioventù, dal tema «Quanti sperano nel Signore camminano senza stancarsi». È stato un momento di grande intensità spirituale, arricchito da un’omelia che ha saputo parlare al cuore dei giovani e di tutti i fedeli, tracciando un cammino di fede autentica, radicata nell’amore concreto e nella speranza.
Come sacerdote, le parole del Papa hanno trovato in me un’eco speciale. Mi sono chiesto: cosa significa oggi essere testimoni di speranza in un mondo che spesso sembra essere disperato, senza soluzioni e alternative di riscatto?
Gesù il Re che regna dalla croce
Il Santo Padre ha aperto la sua riflessione sulla pericope del Vangelo del giorno circa il racconto del processo di Gesù davanti a Pilato, estratto dal grande nucleo della passione. In quella scena drammatica, Gesù dichiara che il suo regno «non è di questo mondo». Una frase che spesso suona distante, ma che Papa Francesco ha saputo riportare nella nostra realtà quotidiana. «Il regno di Cristo non si costruisce con il potere o con la forza — ha detto —, ma con il dono di sé e con l’amore». Questa immagine di un Re crocifisso, che si fa servo per amore, ha risuonato in me profondamente. Ho pensato a quanto sia difficile, oggi, accettare un messaggio simile in un mondo che misura il successo con il potere, i numeri e il consenso. Qui sta la vera sfida per i giovani d’oggi e per ogni battezzato: riconoscere in Cristo un modello diverso di grandezza, non un’idea astratta, ma fondata sulla verità e sulla giustizia. Un invito ad andare controcorrente e a rifiutare le logiche dell’apparenza e dell’effimero, per essere discepoli autentici di Gesù.
L’amore concreto come testimonianza sino al martirio
Il cuore dell’omelia è stato un richiamo alla carità, intesa non come semplice elemosina, ma come stile di vita. La fede e l’amore non sono idee astratte, ma come ha detto il Papa si traducono in gesti concreti. Spesso pensiamo che sia sufficiente fare una donazione o partecipare a qualche evento benefico per sentirci a posto con la nostra coscienza. Bisogna saper andare oltre per trasformare l’amore in un’azione quotidiana e costante. «Ogni gesto di amore gratuito costruisce il regno di Dio» afferma il Santo Padre. Una frase semplice, ma potente, che mi ha fatto pensare a quanti giovani, spesso nell’ombra, lavorano per rendere il mondo un posto migliore, anche a costo di grandi sacrifici. Una chiamata questa che mi tocca profondamente. Provengo da una terra che ha conosciuto divisioni dolorose e conflitti profondi, ma anche una fede incrollabile che non ha mai perso la speranza. È qui che trovo ispirazione nei martiri coreani, uomini e donne di ogni età e condizione che hanno vissuto il Vangelo fino all’estremo sacrificio.
Durante il xix secolo, la Chiesa in Corea ha subito una persecuzione feroce, che ha portato alla morte di oltre 10.000 cristiani. Tra questi, spiccano figure come sant’Andrea Kim Taegon, il primo sacerdote coreano, che fu giustiziato a soli 25 anni per aver proclamato la fede. Essi hanno dato testimonianza di un amore che supera la paura e la sofferenza, diventando seme di una Chiesa viva e vibrante. La loro eredità è oggi una fonte di forza per tutti noi. L’amore che hanno incarnato non era solo un ideale, ma un impegno quotidiano, una scelta radicale di seguire Cristo, anche a costo della vita. E come sacerdote, ho visto quanto quest’amore possa cambiare i cuori e trasformare le società, i costumi, le culture.
Lo sguardo rivolto alla GMG 2027
Quando penso ai giovani e alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà nel 2027 in Corea, sento una gioia immensa. Papa Francesco, rivolgendosi ai giovani, li ha definiti «l’adesso di Dio». Queste parole ricordano che i giovani non sono solo il futuro della Chiesa, ma il suo presente che costruisce e fa la storia. Sono certo che anche questa volta la GMG sarà un’opportunità straordinaria per la Chiesa universale. Non dimenticherò mai l’emozione che ho provato quando, al termine della GMG di Lisbona, è stata annunciata la mia terra come prossima sede. Non nascondo che mi sono commosso sino alle lacrime. Questa sarà la seconda volta che la GMG si terrà in Asia, dopo Manila nel 1995, e credo che porterà con sé un messaggio potente di unità e di speranza. In qualche modo e in diverse occasioni ho potuto toccare con mano i benefici di quando i giovani si incontrano sotto lo sguardo amorevole del Crocifisso e della Vergine Maria. Sono fiducioso che da questa giornata come per le precedenti possano fiorire tante belle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata Penso alla Giornata della Gioventù Asiatica nel 2014 con Papa Francesco: una ventata di fresca speranza, di vera fratellanza e di nuova vita nella fede.
Un sogno di pace
Il mio sogno, come ho spesso condiviso, è che durante la GMG 2027 si possa realizzare una catena umana di pace lungo la linea di confine tra le due Coree. Proprio lungo la cosiddetta linea di demarcazione che segue pressoché il 38° parallelo, immaginare migliaia di giovani che, unendo e tenendosi per mano, testimoniano il loro impegno per la riconciliazione, non solo per la penisola coreana, ma per il mondo intero. È un sogno audace, ma credo fermamente che, con la grazia di Dio, nulla sia impossibile. La Corea è terra di martiri e di speranza, e la GMG 2027 sarà un momento per rinnovare la fede e l’impegno cristiano. I martiri ci insegnano che vivere il Vangelo significa mettere Dio al centro, anche nelle situazioni più difficili. La loro fedeltà alla fede, nonostante le persecuzioni, ricorda che l’amore e la misericordia non sono debolezza, ma forza. È la forza di perdonare, di amare senza condizioni, di costruire un mondo più giusto e di pace. E chi sogna la pace si impegna a realizzarla, disinnescando con coraggio ogni piccolo ordigno di divisione e discordia.
«Essere veri in un mondo digitale»
Un passaggio particolarmente incisivo dell’omelia è stato quello dedicato ai social media e al culto dell’apparenza. «Non lasciatevi ingannare dai riflettori della mondanità» ha detto Papa Francesco, invitando i giovani a non truccare la propria anima per sembrare migliori agli occhi degli altri. Viviamo in un’epoca in cui le nuove tecnologie in generale e i social media spingono a costruire un’immagine di sé spesso lontana dalla realtà. Eppure, il Papa ci ricorda che il valore di una persona non si misura dai «like» o dalle visualizzazioni, ma dalla sua capacità di amare e servire. Un richiamo all’autenticità rivolto a tutti. Mi sono chiesto: quante volte anch’io ho cercato di apparire migliore di quello che sono? Quante volte ho lasciato che il giudizio degli altri influenzasse le mie scelte? Bisogna guardarsi dentro e a riscoprire la bellezza di essere noi stessi, senza maschere. E ancora, pensando come negli ultimi anni l’AI (intelligenza artificiale) stia avendo un’accelerazione su larga scala che ci deve interrogare e che dobbiamo conoscere in quanto questi strumenti che stanno già rivoluzionando il modo di lavorare, di conoscere ed elaborare informazioni, possono dislocarci, proiettarci fuori da noi stessi, spersonalizzarci.
Ad esempio, in Corea del Sud il livello di digitalizzazione della società è molto alto, le reti 5G, l’uso degli ologrammi e l’adozione dell’intelligenza artificiale si sta espandendo in tutti i settori della società. Si pongono molte sfide e opportunità soprattutto per i giovani che sono maggiormente coinvolti e affascinati dalle innovazioni. L’AI è uno strumento potente che può amplificare l’intelligenza umana, ma non deve sostituire la persona e il necessario discernimento morale. Piuttosto è un’opportunità che può favorire il benessere umano, con particolare attenzione ai poveri e agli emarginati. Quindi le conquiste della tecnica e della scienza devono essere a servizio dell’umanità e puntare sempre al suo progresso, senza disumanizzare e mistificare la realtà dell’uomo.
Una Chiesa giovane sinodale e giubilare in cammino
Papa Francesco ci ha chiamati in questi anni a vivere un percorso sinodale, un cammino cioè di ascolto reciproco e di comunione. Questo spirito sarà sicuramente al centro della GMG 2027, dove i giovani saranno incoraggiati a diventare «discepoli-missionari», portatori della gioia del Vangelo. Viviamo in un’epoca di cambiamenti rapidi, che sfidano le nostre abitudini e le nostre certezze. Ma è proprio in questo contesto che il Vangelo può mostrarsi come una bussola, una guida sicura per affrontare le sfide del nostro tempo. A tutti i giovani del mondo vorrei poter dire con Papa Francesco: «Alziamoci, rise up!», mettiamoci in cammino, come pellegrini di speranza e artigiani di pace. L’amore di Dio è infinito e ci chiama a vivere una vita piena, ricca di gioia e di significato.
Sempre domenica scorsa, dopo l’Angelus, nel salutare i giovani coreani che hanno ricevuto la Croce della GMG, segnando così l’inizio del cammino verso l’evento del 2027, Papa Francesco ha ricordato la beatificazione di due martiri spagnoli a Barcellona e ha annunciato la canonizzazione del Beato Carlo Acutis e del Beato Pier Giorgio Frassati nel contesto dei prossimi eventi giubilari. I martiri e i santi sono il più bel segno della praticabilità della fede, un ulteriore motivo di fiducia e di incoraggiamento per i giovani e per la Chiesa! Alle porte del Giubileo, il cui tema è «Pellegrini di speranza», Papa Francesco ha invitato i giovani a vivere «il Giubileo non solo come un evento, ma come un cammino», un cammino di fede e impegno, di conversione e solidarietà.
Uno dei frutti che auspichiamo dall’Anno Santo sia la fioritura di tante vocazioni al sacerdozio, al diaconato e all’impegno di tanti giovani per la crescita del Regno di Dio.
Con tono paterno il Santo Padre si è rivolto ai giovani esortandoli a non lasciarsi rubare la speranza, un invito che arriva dritto al cuore perché la storia non è nelle mani dei violenti o dei prepotenti, ma è guidata dal giudizio di Dio. La speranza cristiana non è un’illusione, ma una certezza radicata nella resurrezione.
Uscendo dalla Basilica di S. Pietro, ho sentito un senso di gratitudine per le parole del Papa che ci esorta a vivere con autenticità, a mettere l’amore al centro delle nostre vite e a non perdere mai la speranza. Ciò che conta davvero è vivere per servire, amare e costruire un futuro di pace e giustizia. È questo, alla fine, il vero significato del Regno di Cristo, una regalità viva e silenziosa già presente in mezzo a noi.
di Lazzaro You Heung Sik
Cardinale prefetto del Dicastero per il clero