Discurso de apertura del Secretario

22 febrero 2025

Sorelle e fratelli, cari fratelli diaconi e care spose e famigliari, desidero introdurre così questo nostro incontro nel contesto giubilare: è bello rendersi conto ancora una volta che la missione di tutti i cristiani è e sarà sempre quella di amare come Cristo ci ha amati (Gv 15,12). Essa può essere descritta anche come quella dell’araldo della riconciliazione e dell’ambasciatore della misericordia. Questo è un tratto pienamente giubilare. Ciascuno di noi in virtù del Battesimo e della Confermazione, e, nel caso dei ministri ordinati, anche del sacramento dell’Ordine, può fare proprie le parole dell’Apostolo delle Genti, associandosi a tutte le altre sorelle e i fratelli nella fede: “Noi dunque siamo ambasciatori di Cristo, ed è Dio che esorta gli uomini per mezzo nostro. Perciò vi supplichiamo nel nome di Cristo: riconciliatevi con Dio” (2 Cor 5,20).

Sì, la riconciliazione con Dio realizza la speranza non solo a livello spirituale e futuro (escatologico), ma la rende concreta nella nostra realtà comunitaria e sociale, nella storia e nella vita di tutti i giorni come nuovo inizio della pace e dell’amicizia con i fratelli e le sorelle e, di conseguenza, come costruzione della civiltà dell’amore e della cura della casa comune. Se così non fosse, in realtà, la speranza sarebbe solo un ideale bello ma illusorio, una grossolana menzogna: “Chi dice: ‘Amo Dio’ e non ama il proprio fratello, è un bugiardo; come può amare Dio, che non vede, chi non ama il proprio fratello, che vede? Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: chi ama Dio deve amare anche il proprio fratello” (1Gv 4, p. 3).

Certo, spesso è difficile percepire la realizzazione della speranza a livello comunitario e sociale, soprattutto laddove si subiscono gravi ingiustizie e violenze. Pensiamo ai tanti uomini e donne che subiscono il flagello della guerra, o a quelli il cui destino è troncato dallo sfruttamento di altre nazioni o da interessi economici transnazionali, alle tante persone costrette a migrare e a tante altre i cui diritti più elementari sono violati, a partire dai più innocenti nel grembo delle loro madri, passando per i milioni di esseri umani sottoposti a condizioni di lavoro e di vita disumane, non escludendo i morenti i cui letti diventano nuovi campi di sterminio.

Anzi, Papa Francesco ci dà la chiave per trovare la forza di continuare a sperare laddove tutto sembra squallido e freddo. In una lettera a Mons. Fisichella dell’11 febbraio 2022, ripercorrendo la tragica esperienza della pandemia, il Santo Padre ci invitava a “tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza. Per questo ho scelto il motto «Pellegrini di Speranza»”. E, di seguito il Santo Padre affermava: “Tutto ciò però sarà possibile se saremo capaci di recuperare il senso di fraternità universale, se non chiuderemo gli occhi davanti al dramma della povertà dilagante che impedisce a milioni di uomini, donne, giovani e bambini di vivere in maniera degna di esseri umani. Penso specialmente ai tanti profughi costretti ad abbandonare le loro terre...”. Senza dubbio oggi il Papa aggiungerebbe un accorato pensiero alle migliaia di fratelli e sorelle che gemono sotto il flagello della guerra… 

E tutto questo è possibile: sono certo che la speranza è vicina a noi, a nostra disposizione, se la chiediamo con insistenza e determinazione a Dio Padre, che sempre ce la dona e che vuole donarcela continuamente attraverso il suo Figlio Gesù Cristo nel dono dello Spirito Santo: “Manda il tuo Spirito, Signore, e rinnova la faccia della terra” (cfr. Sal 103,30).

Così siamo davvero cristiani di speranza: diaconi, presbiteri, vescovi, laici e laiche, consacrati e consacrate di speranza; tutti, testimoni di speranza!