Juan Narbona - Sacerdoti e Social Media

09 febrero 2024

Insegno in una facoltà dedicata alla comunicazione della Chiesa, e ogni volta risulta più abituale che gli studenti -la maggior parte, sacerdoti- chiedano consigli non tanto su come utilizzare tecnicamente i Social Media (alcuni sono più bravi di me a gestirli) ma piuttosto su quale atteggiamento e su quale presenza si aspetta da loro nelle reti.

Le reti sociali sono strumenti che richiedono da un lato un approccio audace, se si vogliono usare come strumento di evangelizzazione; e dall’altro, un approccio molto prudente, se semplicemente li usiamo per curiosità e svago. Bisogna ricordarsi spesso che, come disse Sherry Turkle, “le tecnologie sono seducenti quando ciò che offrono incontra le nostre umane vulnerabilità”.

E siccome la tecnologia tende a occupare tutti gli spazi -le ore di sonno, il tempo libero, il contatto con gli altri- serve avere la consapevolezza che le reti sociali sono strumenti che permettono una sociabilità enorme, ma che metteranno sempre alla prova la nostra temperanza, la nostra umiltà e il nostro distacco, virtù particolarmente necessarie per chi si addentra in questo mondo virtuale. Per esserci nelle reti senza esserne trascinato bisogna essere un bravo equilibrista.

Per essere breve e propositivo, suggerirò a continuazione 10 consigli per la presenza positiva dei sacerdoti nelle reti sociali. Questi consigli servono sia per chi è presente in canali come Instagram o Facebook sia per chi utilizza Whatsapp o Telegram, perché anche attraverso queste app il sacerdote proietta una immagine di sé.

Quindi, ecco 10 consigli in meno di 10 minuti:

1.     Il primo è curare la propria identità sacerdotale dal punto di vista visuale. La foto di profilo di Whatsapp, o di altre reti dice molto del sacerdote. Gli stati o le stories devono essere in accordo con ciò che si attende da lui. Spesso questi elementi costruiscono la prima impressione, che è importante.

2.     Il canale scelto forma parte del messaggio. Non comunica lo stesso essere su Twitter che su Tik Tok. Ad ogni modo, bisogna rispettare la grammatica di ogni piattaforma, lo stile e il tono che gli altri utenti di quella rete usano. Altrimenti, stoniamo.

3.     Serve curare gli aspetti tecnici. Un testo pieno di errori, un video di bassa qualità o delle fotografie scadenti soltanto danneggiano il messaggio, e se si tratta di un contenuto spirituale diventa un fiacco aiuto alla evangelizzazione. La fede è bella: non si può comunicare in modo brutto.

4.     Prima di pubblicare qualsiasi cosa, serve ricordarsi che il pubblico che lo potrà leggere è molto ampio. Spesso abbiamo in mente un gruppo ristretto di persone che sicuramente ha il contesto di ciò che diremo; e invece, nelle reti tutto può arrivare a tutti: se può scandalizzare a chi non abbia il contesto, ad esempio, è meglio non pubblicarlo.

5.     Come sapete, le reti tendono a polarizzare le opinioni, perché ci mostrano contenuti con i quali siamo d’accordo, separandoci da chi magari la pensa in modo diverso. Penso che il sacerdote debba essere particolarmente attento per non dividere la gente, per non contribuire alla polarizzazione, in modo speciale in argomenti che coinvolgono la Chiesa. Se vuole dare la sua opinione, deve farlo con molta carità.

6.     Essere positivi, perché il pubblico attende che il sacerdote abbia una visione soprannaturale dei problemi. Inoltre, quando sia opportuno, è bene che le pubblicazioni nelle reti incoraggino la gente a cercare il contatto presenziale con attività pastorali, con i sacramenti e con altre iniziative che permettano di evangelizzare tutta la persona, non solo virtualmente.

7.     È necessario essere prudenti con il contenuto che si condivide. È conosciuto il caso di un vescovo che condivise su Twitter una pubblicazione di un gruppo di musica che parlava con belle parole sull’amore. Peccato che la maggior parte delle canzoni di tale gruppo fossero molto offensive e sgradevoli. Qualche fedele glielo fece notare e chiese scuse pubblicamente. Condividere ai nostri follower ciò che hanno pubblicato altri, in qualche modo ci lega personalmente a ciò che si condivide e alla fonte iniziale. È meglio anche non condividere le catene di messaggi che ci chiedono di denunciare qualcosa o di diffondere qualche bel messaggio della Madonna o presunto miracolo. Ci fa sembrare troppo arrabbiati o troppo ingenui.

8.     Essere prudenti con i messaggi diretti, cioè, con i messaggi che inviamo a un solo utente. In molte diocesi hanno una guida sul sito diocesano con chiare indicazioni. Ad esempio, si esige ai sacerdoti e catechisti di non scambiarsi messaggi con minorenni.

9.     Capire che ci sono dei messaggi che non si dicono con le parole né le immagini. Ad esempio, se un sacerdote pubblica costantemente sulle reti sembra che non abbia altro da fare; o se risponde ai messaggi alle 3 di notte, penso che non contribuisca molto a ispirare serenità e fiducia tra i fedeli.

10.  Per ultimo, serve evitare che la pastorale virtuale sovrasti quella digitale. Spesso il lavoro pastorale nel mondo fisico non dà i risultati che vorremmo. In rete, invece, arrivano likes, applausi, messaggi di ringraziamento, eccetera. Logicamente fa piacere e veramente aiuta le anime. Ma il sacerdote deve essere disponibile per offrire i sacramenti e per lavorare anche dove ancora non ci sono risultati. Inoltre, per evitare che il successo delle reti prenda troppo a un solo sacerdote, c’è una esperienza molto buona di sacerdoti che gestiscono insieme canali nelle reti sociali, e pubblicano i contenuti a turno, aiutandosi a vicenda ed evitando protagonismi.

* * *

Finisco. Questi e altri consigli potrebbero offrirsi in un documento da pubblicare sul sito diocesano o della propria realtà, o per essere trasmessi in sessioni formative. La mia esperienza è che i sacerdoti ringraziano molto questo tipo di orientamento.

Mi piace pensare che il tesoro della fede è tanto potente e prezioso da poter illuminare perfino una tecnologia che mette alla prova la nostra umanità, una tecnologia che ci ha dato delle possibilità mai sognate prima. L’evangelizzazione in rete è un lavoro da equilibristi, servono prudenza e audacia, le stesse virtù che il Signore chiedeva agli apostoli. Grazie.

Scheda Biografica

Juan Narbona è giornalista e professore alla facoltà di comunicazione istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce. È autore di "Comunicare la fede oggi. Strategie digitali per istituzioni ecclesiali e realtà religiose" e "Inspiring Trust. Church Communications & Organizational Vulnerability". È inoltre responsabile del sito web dell'Opus Dei.