Stralcio video Papa Francesco - Discorso ai partecipanti al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio” - 17-02-2022

08 febrero 2024

Difendere i legami del sacerdote con la Chiesa particolare, con l’istituto a cui appartiene e con il vescovo rende la vita sacerdotale affidabile. Difendere i legami. L’obbedienza è la scelta fondamentale di accogliere chi è posto davanti a noi come segno concreto di quel sacramento universale di salvezza che è la Chiesa. Obbedienza che può essere anche confronto, ascolto e, in alcuni casi, tensione, ma non si rompe. Questo richiede necessariamente che i sacerdoti preghino per i vescovi e sappiano esprimere il proprio parere con rispetto, coraggio e sincerità. Richiede ugualmente ai vescovi umiltà, capacità di ascolto, di autocritica e di lasciarsi aiutare. […]

Gesù si manifesta lì dove ci sono dei fratelli disposti ad amarsi: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Anche la fraternità come l’obbedienza non può essere un’imposizione morale esterna a noi. Fraternità è scegliere deliberatamente di cercare di essere santi con gli altri e non in solitudine, santi con gli altri. Un proverbio africano, che conoscete bene, dice: “Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai con gli altri”. A volte sembra che la Chiesa sia lenta – ed è vero –, ma mi piace pensare che sia la lentezza di chi ha deciso di camminare in fraternità. Anche accompagnando gli ultimi, ma sempre in fraternità. […]

In molti presbitéri, si consuma il dramma della solitudine, del sentirsi soli. Ci si sente non degni di pazienza, di considerazione. Anzi, sembra che dall’altro venga il giudizio, non il bene, non la benignità. L’altro è incapace di gioire del bene che ci capita nella vita, oppure anch’io ne sono incapace quando vedo il bene nella vita degli altri. Questa incapacità di gioire del bene altrui, degli altri, è l’invidia– voglio sottolineare questo –, che tanto tormenta i nostri ambienti e che è una fatica nella pedagogia dell’amore, non semplicemente un peccato da confessare. Il peccato è l’ultima cosa, è l’atteggiamento che è invidioso. È tanto presente l’invidia nelle comunità sacerdotali. E la Parola di Dio ci dice che è l’atteggiamento distruttore: per invidia del diavolo è entrato il peccato nel mondo (cfr Sap 2,24). È la porta, la porta per la distruzione.  E su questo dobbiamo parlare chiaro, nei nostri presbitéri c’è l’invidia. Non tutti sono invidiosi, no, ma c’è la tentazione dell’invidia a portata di mano. Stiamo attenti. E dall’invidia viene il chiacchiericcio. […]

L’amore fraterno, per i presbiteri, non resta chiuso in un piccolo gruppo, ma si declina come carità pastorale (cfr Esort. Ap. Postsin. Pastores dabo vobis, 23), che spinge a viverlo concretamente nella missione. Possiamo dire di amare se impariamo a declinarlo alla maniera che descrive San Paolo. E solo chi cerca di amare è al sicuro. Chi vive con la sindrome di Caino, nella convinzione di non poter amare perché sente sempre di non essere stato amato, valorizzato, tenuto nella giusta considerazione, alla fine vive sempre come un ramingo, senza mai sentirsi a casa, e proprio per questo è più esposto al male: a farsi male e a fare del male. Per questo l’amore fra i presbiteri ha la funzione di custodire, di custodirsi mutuamente.

Mi spingo a dire che lì dove funziona la fraternità sacerdotale, la vicinanza fra i preti, ci sono legami di vera amicizia, lì è anche possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria. Il celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e di vero bene che trovano la loro radice in Cristo. Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio.