L’impegno di un vescovo a “far casa” ai sacerdoti Mons. József-Csaba Pál
SLIDE 1 e 2. FORMAZIONE COMUNITARIA
«Sentirsi a casa»: vita del presbiterio e fraternità sacerdotale
5.3.1
L’impegno di un vescovo a “far casa” ai sacerdoti
Mons. József-Csaba Pál, vescovo di Timisoara (Romania)
Presentazione dell’autore:
Mons. József Csaba Pál è vescovo dal 2018 nella diocesi di Timisoara, che si trova al Sud-Ovest della Romania, al confine con la Serbia e l’Ungheria. La gente è di lingua ungherese, rumena e tedesca, ma ci sono anche comunità di bulgari, croati, cechi e slovacchi. I cattolici sono circa 100.000, i preti 90, il territorio 25 000 km2. In questo territorio la maggioranza sono ortodossi e c’è pure un buon numero di protestanti. Il comunismo, come potete immaginare, ha lasciato le sue tracce…
SLIDE 3 Quando cinque anni fa sono diventato vescovo di questa diocesi, mi stava a cuore di costruire innanzi tutto rapporti fraterni. Ho detto quindi al mio predecessore che poteva volentieri restare con me nel vescovado. Mi ha risposto: «Se tu dici così, rimango volentieri».
Così siamo in quattro a far vita comune: il vicario generale, l’economo, il vescovo emerito e io. Quando siamo a casa, ci troviamo la mattina per la messa, prendiamo insieme i pasti e ci ritroviamo pure per il breviario all’ora del pranzo e alla sera.
Con il vicario generale, l’economo e altri sacerdoti che hanno incarichi diocesani, abbiamo ogni due settimane un incontro di lavoro, dove vediamo anche come aiutarci, quando qualcuno di noi ha troppo da fare. È utile questo, ma abbiamo capito che non bastava. Abbiamo deciso quindi di trascorrere una serata al mese “in modo diverso”. Di volta in volta uno di noi prepara quella serata. Ci ritroviamo di solito in un ristorante. Lo scopo è conoscerci maggiormente e condividere non solo il lavoro, ma anche momenti di riposo e di vita ordinaria.
Dopo cena si instaura fra noi un dialogo fraterno. La prima volta ciascuno di noi ha condiviso qualche momento bello della sua vita. Un’altra volta ci siamo raccontati la storia della nostra vocazione o come abbiamo scelto il motto per la nostra ordinazione sacerdotale. Troviamo sempre qualcosa che ci aiuta ad aprirci e a parlare non solo delle “cose”, del lavoro, ma anche di noi: di quello che viviamo e che ci anima.
SLIDE 4 Abbiamo visto che era bene avere momenti simili pure con gli altri sacerdoti. Così invitiamo quelli che compiono gli anni in quel determinato mese a trascorrere insieme una giornata al vescovado. Alla fine del pranzo si apre un dialogo fraterno. All’inizio, uno dei sacerdoti, quando toccava a lui di raccontare qualcosa, diceva: «Io non ho cose belle da dire». Ma, alla fine, quello che ha raccontato era la cosa più bella di tutte. Aiuta molto guardare i sacerdoti attraverso la storia della loro vocazione o attraverso il loro motto sacerdotale. Tutti ascoltano profondamente.
SLIDE 5 In ogni caso, tutti i sacerdoti hanno il mio telefono personale e possono chiamarmi quando vogliono. Se non posso rispondere, li richiamo. Abbiamo attrezzato pure in Curia una piccola caffetteria, in modo che quando vengono ai vari uffici possano sentirsi a casa…
SLIDE 6 Nella misura del possibile partecipo anche agli incontri decanali. Vi discutiamo temi che hanno a che fare con la nostra vita o con la pastorale. L’anno scorso abbiamo approfondito l’Evangelii gaudium, l’Itinerario catecumenale per il matrimonio e parlato sul Sinodo, dapprima in plenaria e poi in circoli minori. Anche se questo all’inizio ha incontrato riserve, ora questo stile è sempre più apprezzato. Penso che i sacerdoti abbiano potuto assaggiare un po’ quanto è bello trattarci con rispetto e fiducia e ascoltarci fino in fondo.
SLIDE 7 Aggiungo una parola sulle visite canoniche. Prima del mio arrivo, le questioni amministrative sono già revisionate dai miei collaboratori. Così posso dedicare tutto il tempo alla gente e ai vari gruppi, e soprattutto ho tempo per parlare coi sacerdoti. Una delle mie prime domande è se hanno potuto fare le vacanze. È importante, infatti, prendersi cura della salute.
Anche in tempo di pandemia non si sono fermati questi rapporti. Ci incoraggiavamo dicendo: «Il Risorto e fra noi. Non ci manca niente». Con Lui abbiamo continuato a vivere e a lavorare. Io ho chiamato al telefono ognuno dei sacerdoti semplicemente per domandare come stavano. Questo chiamarci di tanto in tanto, senza altri motivi, continua anche adesso e ci fa bene.
Pensando alla Curia, due anni fa mi sono detto: qui ci sono tante persone impiegate come contabili, archivisti, ingegneri, coordinatori, per la cucina e per le pulizie. Cosa faccio per loro? Non basta “lavorare per la diocesi”.
SLIDE 8 Abbiamo allora iniziato un incontro con tutti loro, all’inizio ogni lunedì, per mezz’ora. Attualmente ci troviamo ogni quindici giorni, ma per un’ora. Siamo tra 18 e 25 persone, fra loro 3-4 sacerdoti. Condividiamo alcuni minuti per un dialogo “in famiglia”. Chiedo loro se qualcuno può raccontare qualcosa, per esempio dove ha visto Dio all’opera in quella settimana. Leggiamo poi il Vangelo della domenica seguente o un brano biblico e parliamo in piccoli gruppi su quel testo e la nostra vita. Ha cominciato a nascere così in tanti la sensibilità per le cose di Dio e cresce pure l’attenzione degli uni verso gli altri.
Questi incontri e altri simili ci fanno molto bene, perché si parla con tanta sincerità. Fanno molto bene pure a me, perché mi aiutano a costruire rapporti autentici, anche se siamo ancora all’inizio.
SLIDE 9 Un ultimo cenno. Attorno alla Parola di Dio si è formato anche un piccolo gruppo ecumenico di sacerdoti ortodossi, greco-cattolici e cattolici romani. Ci incontriamo una volta al mese. Recentemente uno di loro, ancor giovane, ha detto che in quel gruppo ha trovato una nuova identità della sua vocazione e che, nella comunione dei sacerdoti, ha scoperto il suo