Tessere rapporti di fraternità fra i sacerdoti e le comunità parrocchiali Rev. Stefan Ulz - Best Practices

08 February 2024

 

Presentazione dell’autore: Stefan Ulz è sacerdote della diocesi di Graz-Seckau in Austria ed è Consultore presso il Dicastero per il Clero. Dopo essere stato per tanti anni padre spirituale, dapprima nel seminario minore e poi nel seminario maggiore, ora è parroco di sette comunità parrocchiali nella città di Graz con circa 25 mila fedeli e 51 mila abitanti.

Sono sacerdote da 28 anni.

Sin da quando sono entrato in seminario avevo nel cuore di voler essere da sacerdote un servo di comunione delle persone con Dio e tra di loro. E mi era sempre chiaro che per poter farlo bene avevo bisogno io stesso per primo di vivere concretamente rapporti di fraternità e di unità con il mio vescovo, con i sacerdoti e diaconi confratelli e anche con le persone che Dio mi affidava nel mio servizio sacerdotale. E questo non solo per testimoniare Dio con la mia propria vita ma anche per la convinzione profonda che trovo la mia realizzazione come persona soltanto prendendo sul serio il mio essere creato ad immagine di Dio Uno-Trinitario, cioè, vivendo anch’io il più possibile rapporti di comunione con altri.

Da sacerdote ho sempre vissuto legami fraterni, sinceri e profondi con altri sacerdoti con i quali ci incontriamo regolarmente, condividendo esperienze, gioie e dolori, idee e anche soldi. Non ho mai vissuto da solo in una casa, ma non ho neanche scelto io con quale sacerdote vivere; è nato sempre dalle circostanze e dal compito da svolgere.

Quando 5 anni fa sono stato nominato parroco, ho subito chiesto ai vicari se erano pronti a vivere insieme in una casa parrocchiale. Sono proprio contento che hanno aderito ed ora siamo in quattro nella stessa casa. Siamo di diverse spiritualità, età, e a volte anche di differenti opinioni. Non siamo un convento con una regola comune e con una vita ben strutturata. Ma allora: che cosa facciamo insieme, oltre a vivere sotto lo stesso tetto?

Preghiamo insieme le lodi, facciamo insieme la colazione e il pranzo e a volte prendiamo insieme un bicchiere di birra o di vino prima di andare a dormire. Oltre alle riunioni ufficiali tra noi e con gli altri del team pastorale, necessarie per la nostra missione, abbiamo così momenti semplici e famigliari che però ci fanno crescere umanamente e ci allargano anche lo sguardo e il cuore. Con qualche correzione fraterna ci stimoliamo a migliorare in alcuni campi umani, spirituali e anche pastorali. Con qualche battuta tiriamo su l’atmosfera. Condividendo sfide pastorali e anche personali ci aiutiamo a vicenda a trovare soluzioni buone. Mettendo insieme le varie visioni e idee, domande ed esperienze, arricchiamo l’argomento di cui si parla.

Cerchiamo, comunque, di vivere da fratelli mettendo a base di tutto l’attenzione e l’amore vicendevole per quanto riusciamo. Non mancano i fallimenti, ma vivendo insieme siamo più motivati a ricominciare e a non mollare nel costruire rapporti buoni tra di noi. Vivendo insieme non si può fuggire facilmente dalla sfida dell’amore al prossimo.

La vita insieme ci forma giorno per giorno, piano piano, quasi senza che ce ne rendiamo conto. È una formazione permanente di noi come uomini, cristiani e sacerdoti. Non solo, ma la nostra vita dà testimonianza anche alle comunità parrocchiali che ci guardano. Dà testimonianza di una convivenza fraterna dove nella diversità delle persone l’amore può creare una comunione profonda e gioiosa. È un bozzetto di Chiesa vissuta che porta frutto anche per una comunione più profonda tra le persone nelle nostre parrocchie. Dà testimonianza pure di una vita celibe che non è vita di solitudine ma di famiglia. I fedeli sperimentano noi sacerdoti più a corpo e avvertono fra noi la presenza di Gesù Sacerdote. Questo fa sì che anche loro si sentono più facilmente un unico corpo con noi in Gesù. Non è così facile creare divisioni tra noi e di conseguenza nella comunità parrocchiale. In Gesù poi ci sentiamo tutti fratelli e sorelle e il sacerdozio ministeriale non crea un dislivello clericale.

Durante un momento di condivisione in una riunione di sacerdoti alla quale avevo invitato insieme ad un confratello, veniva fuori quanto sia importante per i sacerdoti di sentirsi a casa, un desiderio, tra l’altro, insito in ogni essere umano. In un mondo e in una Chiesa dove assistiamo a grandi cambiamenti, i sacerdoti rischiano di perdere la sensazione di sentirsi sicuri e a proprio agio nella propria vocazione. Come ogni essere umano, anche ogni sacerdote vuole sentirsi a casa, sia umanamente, sia spiritualmente, e anche nella vocazione sacerdotale. Per questo oggi è ancor più importante vivere concretamente rapporti fraterni con il vescovo e tra di noi.

Cerco con le mie possibilità di fare casa ai sacerdoti, di essere accogliente per i fratelli. Nella casa parrocchiale abbiamo preparato una stanza per ospiti che spesso viene usata da sacerdoti che vengono a visitare uno di noi quattro o per fare qualche giorno di ritiro e anche esercizi spirituali. Così, ad esempio, c’è attualmente un sacerdote giovane che per alcuni mesi vive con noi e partecipa alla nostra vita. È un sacerdote che sta vivendo un momento di riorientamento nel suo cammino sacerdotale e ha voluto venire da me per avere un luogo famigliare ed essere accompagnato nella sua ricerca. Già varie persone mi hanno riferito che lo vedono rifiorire e ritrovare la gioia. Nel frattempo, si sono chiariti i prossimi passi del suo cammino e ne è molto felice.

Posso testimoniare con la mia esperienza e quella di altri sacerdoti che una forma idonea ed efficace per la formazione permanente è creare e vivere rapporti veri e profondi tra sacerdoti, con il vescovo e con i laici che siamo chiamati a servire. Ringrazio Dio per il dono di partecipare al sacerdozio battesimale e al sacerdozio ministeriale insieme a tanti fratelli e sorelle.