Cambio Epoca Missione Emmaus - Presentazione
Il Centro Studi Missione Emmaus
Il Centro Studi è costituito da un team di esperti di area teologico pastorale, umanistica e organizzativa, ispirati da una stessa visione: avviare e accompagnare nella Chiesa ‘processi’ di cambiamento[1].
La nascita del Centro Studi avviene nel 2018, tenendo conto degli orientamenti di Evangelii Gaudium e di Veritatis Gaudium che indicano l’«inter- e la trans- disciplinarietà esercitate con sapienza e creatività nella luce della Rivelazione»[2], come prospettiva efficace per affrontare questo tempo di cambiamento e complessità.
Accompagniamo ‘processi trasformativi’ in realtà complesse di diverse dimensioni, come ad esempio Diocesi, Presbitéri, Istituti o Congregazioni Religiose. Questi processi hanno come finalità il ripensamento di alcune prassi o forme pastorali. Operiamo in chiave di consulenza e facilitazione di processo e, se opportuno, offriamo un supporto formativo.
Il Metodo Emmaus
In un ‘cambiamento d’epoca’ non sono sufficienti piccoli aggiustamenti orientati a ritrovare un equilibrio funzionale di fronte alle difficoltà. È necessario invece un cambiamento profondo che riconnetta le forme e i linguaggi della fede con l’esperienza della vita[3]. Il Metodo favorisce l’ingresso in una logica di problem setting (destrutturazione / cambiamento paradigmatico) e mette in secondo piano il problem solving (inquadramento / cambiamento programmatico), nella consapevolezza che il cambiamento non si genera attraverso esortazioni o dichiarazioni centrate sul ‘bisogno’, ma da un ‘sogno missionario’, ispirato dallo Spirito. Così viene favorita la messa in atto di un discernimento comunitario che si sviluppa in due fasi: una prima fase – discernimento statico – orientata a delineare il sogno missionario e con esso i criteri e le priorità ispirati al sogno; una seconda fase – discernimento dinamico – che porta a consolidare alcune scelte di cambiamento, attraverso l’avvio di un periodo di sperimentazione, riletto in chiave di ‘apprendimento’. Questo approccio esce da una forma mentis ‘progettuale’ – non sufficiente nella complessità – e in prospettiva ‘processuale’ orienta un’esperienza di sinodalità, che tiene conto dei criteri richiamati nell’Instrumentum Laboris quali l’ascolto, il desiderio di imparare, il dialogo, il passaggio dall’‘io’ al ‘noi’, la capacità di gestire le tensioni, il contatto risanante con l’inquietudine dell’incompletezza, …[4].
La natura spirituale dei processi trasformativi
Il Metodo si concretizza in un’esperienza di discernimento comunitario. Si tratta di attingere alle fonti della Tradizione per ritrovare il senso spirituale della propria esperienza ecclesiale. Vengono proposte diverse sessioni di discernimento in comune, guidate da schede apposite centrate su: ascolto della Parola, del Magistero, lettura dei Segni dei Tempi, memoria di Grazia nella propria Vita, rilettura del Carisma. Andare verso una ‘terra straniera’, come il Cammino Sinodale ci chiede, necessita di una ‘promessa’ – sogno missionario – che si rivela nell’ascolto corresponsabile dello Spirito: ciò ridefinisce il ruolo del presbitero (non la sua identità). Ridefinisce il senso della sua ‘leadership’ in termini di ‘synodalship’: non è più un leader che fissa un contenuto / visione da far eseguire ai collaboratori, ma un ‘architetto di spazi sinodali’ nei quali discernere insieme la direzione dello Spirito.
La sperimentazione: iniziare a fare cose nuove per far nascere nuove intuizioni
Lavorare sulla risoluzione dei problemi rafforza la tendenza – anche nei presbiteri – di attuare narrazioni di sé e dei problemi che non corrispondono più al reale. Sperimentare nuove prassi, invece, aiuta le persone a condividere nuove narrazioni e ad assumere nuovi sguardi, … Così diviene possibile favorire l’apertura delle persone alla realtà, consentendo loro di acquisire nuove risorse per rinarrarsi e purificare il proprio sguardo.
Lo stile trasformativo
L’attuale cambiamento d’epoca richiede di valorizzare uno stile di apertura e l’accettazione di un ‘pensiero incompleto’. Perciò deve cambiare la natura dell’accompagnamento formativo proposto in questo contesto: dal modello classico esposizione-assimilazione, si passa ad un modello trasformativo: esperienza-narrazione. Questo approccio ha una serie di caratteristiche distintive: inizia con un’esperienza destrutturante, che si apre ad una fase esplorativa, ricca di sperimentazione. Porta la persona ad entrare in una sfida decisiva che la mette a contatto con il proprio limite e attraverso una rigenerazione narrativa la trasforma nel profondo. Da anni lavoriamo in setting composti da piccoli gruppi, preferibilmente attraverso la forma dei tavoli con la presenza di un facilitatore. Favoriamo spazi di silenzio, di lavoro personale e di dialogo, che rigenerano la radice battesimale. Privilegiamo l’emergere di domande nuove.
Conclusione
La nostra esperienza ci mette a contatto con molti presbiteri e religiosi. Percepiamo la fatica e lo smarrimento che caratterizzano questo nostro tempo, ma anche le grandi opportunità di conversione pastorale. Superare l’approccio progettuale e di pianificazione in favore di una mentalità processuale diviene la via concreta attraverso cui lasciarsi guidare dallo Spirito e chiede di andare oltre la formazione, per entrare in un’es
[1] Cf. G. Cucci, Solitudine e disagio del prete, in La Civiltà Cattolica, 4152 (2023) II, 535-548, 547.
[2] Francesco, Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Circa le università e le facoltà ecclesiastiche, 4.
[3] Cf. M. De Certeau, La frattura instauratrice, in Id., La debolezza del credere, Città Aperta, Enna 2006, 184.
[4] Cf. XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo Dei Vescovi, Instrumentum Laboris I, 19-31.