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S.E Mons. Patròn Wong al Collegio Urbano: “Umiltà, primato della grazia e servizio”

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S.E. Patrón Wong

L’8 dicembre scorso, nella Solennità dell’Immacolata Concezione, il Segretario dell’Ufficio Seminari della Congregazione, S.E Mons. Patròn Wong, ha presieduto l’Eucaristia nel Collegio Urbano, istituendo durante la Celebrazione, alcuni accolitati. Di seguito il testo della sua omelia.

Omelia di S.E. Mons. J.C. Patròn Wong nella Solennità

dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, in occasione

dell’istituzione all’accolitato nel Pontificio Collegio Urbano  - 8 dicembre 2014

Letture: Genesi 3,9-15.20; Efesini 1,3-6.11-12; Luca 1,26-38

         Carissimi sorelle e fratelli, è una vera gioia celebrare insieme la Solennità dell’Immacolata Concezione, durante la quale istituirò alcuni di voi come servi della santa Eucaristia e della preghiera comune. Dalla Parola divina ascoltata, raccogliamo tre insegnamenti, che sono tre grazie da invocare presso Dio: un’umiltà profonda, il primato della grazia e il servizio come dono assoluto di sé a Dio e ai poveri.

         Un’umiltà profonda. Cominciamo con l’umiltà, poiché, senza questa virtù, nulla è possibile. Essa, infatti, è il fondamento dell’intero edificio spirituale e, di una vita umana, vissuta nella verità. La parola “umiltà” viene dal latino “humus”, cioè “terra”. Maria è “Terra santa”: “Santa” per la sua immacolata concezione, senza traccia di peccato originale, e di nessun altro peccato, Prima tra i salvati, grazie alla Passione del suo Figlio; ma anche “Terra”, vera terra. La terra è fonte di tutte le promesse di germinazione, di messe, di frutti. Ma la terra non è apprezzata come l’oro; quando la vediamo, pensiamo e diciamo che, sotto l’erba, non c’è nulla… Ammettiamolo: ci ricordiamo spesso della terra che ci porta, ci nutre e sulla quale camminiamo? La Vergine è come la terra portante, nutritiva, che da vita in abbondanza, ma alla quale non si pensiamo abbastanza. Soprattutto Maria non pensa a se stessa. Quando sentì l’angelo dirLe: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”, Maria non credette di essere chi sa chi, ma “rimase turbata, e si domandava che senso avesse un tale saluto” (Luca 1,29). Così è la persona umile: non pensa a se stessa, non si riguarda, è cosciente di essere “niente” e della sua povertà. È proprio la ragione per quale Maria ha magnificato il Signore: “Perché ha guardato l’umiltà della sua serva” (Luca 1,48). Anche le parole “umano”, “uomo” vengono precisamente da “humus”. L’umiltà, prima di essere una virtù, è ontologica, contrassegna cioè l’essere umano nella sua povertà, la quale è nello stesso tempo ricchezza, poiché il Creatore ci fa costantemente il dono dell’esistenza. Santa Teresa di Gesù Bambino, Patrona delle missioni e Dottore della Chiesa, ha espresso questa realtà con parole fortissime: “È necessario acconsentire a restare poveri e senza forza: ed ecco il difficile, poiché ‘il vero povero in spirito, dove trovarlo? Occorre cercarlo molto lontano’, ha detto il salmista. Non dice che occorre cercarlo in mezzo alle anime grandi, ma ‘molto lontano’, ossia nella bassezza, nel nulla!... Ah, rimaniamo dunque molto lontano da tutto ciò che brilla, amiamo la nostra piccolezza […] Allora saremo povere di spirito e Gesù verrà a cercarci; per quanto lontano possiamo essere, Egli ci trasformerà in fiamme d’amore!” (Lettera 197). E noi, accettiamo di essere nulla o di essere considerati come niente dagli altri, dai fratelli? Di essere calpestati? O almeno di essere piccoli davanti a Dio e agli uomini, e di offrirci così, come bambini, alla Misericordia del Padre nostro, affinché essa ci trasformi in fuoco capace di illuminare le persone incontrate? L’umiltà è ciò che attira al massimo la grazia di Dio.

         Il primato della grazia è cantato nell’intero inno agli Efesini. Gustiamo insieme l’insegnamento che ci dà l’Immacolata a questo proposito: “da me stessa, sono nulla; se sono Immacolata, è dalla grazia di Dio!” Prima di svelare il suo nome a Bernadette — “Sono l’Immacolata Concezione” —, la Signora di Lourdes ha alzato gli occhi verso il cielo, in segno di totale dipendenza da Dio. Così, a maggior ragione noi, siamo nulla senza la grazia di Dio, e possiamo fare nulla da noi stessi, senza questa. San Giovanni Paolo II, all’inizio del terzo millennio, ci ha dato un testo — l’Esortazione Apostolica “Novo millenio ineunte” — che deve ispirarci continuamente, poiché ha un valore programmatico. Il Santo Pontefice dice che la prima cosa da ricercare è “il primato della grazia”. E Papa Francesco insiste di nuovo nella “Evangelii Gaudium”: “Sebbene questa missione [evangelizzatrice] ci richieda un impegno generoso, sarebbe un errore intenderla come un eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto sua, al di là di quanto possiamo scoprire e intendere. Gesù è «il primo e il più grande evangelizzatore». In qualunque forma di evangelizzazione, il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con Lui e stimolarci con la forza del suo Spirito. La vera novità è quella che Dio stesso misteriosamente vuole produrre, quella che Egli ispira, quella che Egli provoca, quella che Egli orienta e accompagna in mille modi. In tutta la vita della Chiesa si deve sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio, che «è lui che ha amato noi» per primo (1 Gv 4,10) e che «è Dio solo che fa crescere» (1 Cor 3,7)” (n° 12). Come sapere se viviamo questo primato della grazia? Forse, guardando se abbiamo paura o meno. Davanti a Dio, Adamo ha avuto paura, perché era nudo, e si è nascosto (cf. Gen 3,11). Mi permetto di darvi un suggerimento per vivere il primato della grazia: preghiamo sempre di più, sempre più intensamente, tanto più che l’accolitato vi abilita ad animare la preghiera e a educare la gente a pregare. San Carlo Borromeo raccomanda che, per un chierico, “l’orazione mentale deve precedere, accompagnare e concludere tutto ciò che compie”, tutti i suoi impegni pastorali. All’ordinazione diaconale, il Vescovo vi chiederà: “Volete custodire e alimentare nel vostro stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della Liturgia delle ore […]?” Alla grazia e alla missione affidata,  Maria ha risposto: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1,38).

         Per concludere, una parola sul servizio. Saremo servi buoni e fedeli del Signore, della sua mensa eucaristica, della Sua Chiesa e degli uomini se siamo umili e mendicanti della grazia dallo Spirito Santo, obbedienti a Lui attraverso i superiori, fissando lo sguardo sempre di più verso l’amore di Dio per ciascuno di noi, e specialmente per i poveri, i piccoli, gli esclusi dalla società odierna. Essere servi del Corpo di Cristo vuol dire: servire, con un amore preferenziale, i più deboli del Suo Corpo. Nel libro di Isaia, il Servo di Dio, figura di Cristo, ha portato frutto quando ha offerto se stesso in espiazione. Allora si è compiuta per mezzo suo la volontà salvifica, vivificante del Padre. Affidiamoci, dunque, senza riserve, alla Santissima Serva del Signore e, con Ella, offriamoci umilmente e amorosamente al Padre, nel rito dell’istituzione e nel sacrificio eucaristico. Amen.

+ Jorge Carlos Patrón Wong

Arcivescovo-Vescovo emerito di Papantla

Segretario per i Seminari