Omelia di S.E. Mons. Jorge Carlos Patrón Wong in occasione dell’Ordinazione Diaconale nella Chiesa del Collegio Ecclesiastico Internazionale “Sedes Sapientiae”, Domenica, 11 Ottobre 2015.
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Omelia di S.E. Mons. J.C. Patrón Wong in occasione
dell’ordinazione diaconale nella Chiesa del Collegio Ecclesiastico Internazionale
“Sedes Sapientiae” – Domenica, 11 Ottobre 2015
Letture: Numeri 3,5-9; Salmo 83(84); 2 Corinzi 4,1-2.5-7; Luca 12,35-44
Carissimi fratelli e sorelle, è una vera gioia accogliere insieme, nel cuore dell’Eucaristia domenicale, il dono del diaconato, configurazione sacramentale a Cristo Servo. Dalla Parola divina ascoltata, raccogliamo tre insegnamenti, che possiamo accostare al Sacramento dell’Ordine, nel suo primo grado: l’attesa amorosa del Maestro e Sposo, la consacrazione alla santa Dimora e l’annuncio della Verità.
L’attesa amorosa del Maestro e Sposo, che riceve una dimensione particolare per gli Apostoli, è valida per tutti. Gesù dice a tutti suoi discepoli: “Siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito” (Lc 12,36). Poi, sulla richiesta di Pietro, il Maestro dà una parola che specifica quell’attesa per gli Apostoli, e dunque anche per i futuri ministri ordinati. Questo è molto importante: il ministero ecclesiastico è un cammino discepolare, che ci avvicina a Gesù, al Vangelo nella sua integralità, perché siamo chiamati a rappresentare sacramentalmente e esistenzialmente tutta intera la forma Servi di Cristo, a essere il bel volto di Gesù per gli uomini! E tutto ciò dipende dell’oggetto e della qualità della nostra attesa: chi aspettiamo veramente? Chi è il tesoro del nostro cuore? Nel discorso di Gesù in Luca 12, prima di questa parabola della vigilanza, c’è l’esortazione del Signore a guardarci dall’ipocrisia dei farisei, cioè dalla mancanza di rettitudine; a non temere, di fronte alle persecuzioni, e a valutare quali sono le ricchezze che “abitano” nel nostro cuore. Poi, arriva la parola: “dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Lc 12,34). Gesù vuole che il nostro cuore sia puro, retto, trasparente, largo, libero, non diviso dall’affezione per una persona particolare o per un gruppo specifico o per delle cose materiali o spirituali – la gola spirituale esiste! –; che il nostro cuore sia libero per Lui solo, Capo e Corpo, che aspettiamo soltanto Lui, che desideriamo solo il suo Regno. E’ il significato del celibato ecclesiastico: non una disponibilità per una causa personale, ma un’ apertura, che abbraccia la nostra affettività, per la venuta del Maestro e Sposo – dicendo sempre “sì” nelle missioni affidate – , una consacrazione d’amore a Lui, e al servizio della sua Dimora, la santa Chiesa. L’impegno del celibato ci spinge ad aspettare dal Maestro stesso, e solo da Lui, “la razione di cibo a dare alla sua servitù a tempo debito” (cfr. Lc 12,42), e non a essere maestri, o proprietari dei beni divini.
I Levìti della prima Alleanza erano consacrati al servizio della santa Dimora. Che cosa vuol dire per i diaconi che, nella Chiesa antica, erano stati chiamati “levìti”? (Tra parentesi, vi do un piccolo consiglio per le omelie che preparerete un giorno: affinché esse siano nutrite dalla Parola stessa di Dio e diano bene il senso di ciò che Dio ha voluto comunicarci attraverso la Sacra Scrittura, vi aiuterà il guardare il testo che precede la pericope, nonché quello che la segue. Chiudo la parentesi.) Qui, nel libro dei Numeri, è scritto, dopo il passo che abbiamo ascoltato: “Il Signore disse a Mosè: ‘Ecco, io ho scelto i levìti tra gli Israeliti al posto di ogni primogenito che nasce per primo dal seno materno tra gli Israeliti; i levìti saranno miei, perché ogni primogenito è mio” (Nm 3,11-13). I membri della tribù di Levi, frutti di una scelta divina, sono la parte del Signore, appartengono totalmente a Lui. Non hanno ricevuto un territorio, come le altre tribù, ma il Signore stesso è la loro eredità. Dunque, sono messi a parte, consacrati per il servizio divino, cioè al servizio del sommo sacerdote, Aronne, nel proprio incarico di servire l’alleanza tra Dio e il suo popolo, della quale il simbolo privilegiato è la santa Dimora, chiamata anche “Tenda del Convegno”, che conservava le due tavole di pietra con la legge dell’Alleanza. Essere ordinato diacono significa soprattutto dimorare sempre in quella Tenda, stare sempre con Colui che ci ha scelti con amore gratuito e misericordioso, facendo sempre più orazione. Una tentazione sarebbe il voler “occuparsi” di tutte le cose che sono nella tenda, dimenticando il Padrone supremo di questa, il Santo dei santi! E’ la ragione per la quale il Vescovo chiede all’ordinando: “Vuoi custodire e alimentare nel tuo stato di vita lo spirito di orazione e adempiere fedelmente l’impegno della Liturgia delle Ore […]?” Primo, è custodire lo spirito di orazione che, mediante tempi prolungati di preghiera e di adorazione silenziosa, deve impregnare tutta la vita di alleanza tra il ministro consacrato e Dio; secondo, in questo spirito, lodare Dio e intercedere per il Popolo santo, e, con questo, per il mondo intero. La Tenda è anche l’immagine della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Essere consacrati a quella vuol dire essere consacrati alla sua unità, di cui la pietra d’angolo è il Vescovo in comunione con il Successore di Pietro; consacrati alla crescita dei fedeli nella santità; consacrati alla sua cattolicità, custodendo in una coscienza pura l’integralità del mistero della fede e badando che Dio possa sempre allargare lo spazio della propria tenda, attraverso quelli che bussano alla porta, anche se disturba un po’ le nostre abitudini!…; consacrati alla sua apostolicità, annunciando il Vangelo della gioia in pienezza e della misericordia!
Nella seconda lettura, San Paolo ci esorta ad “annunciare apertamente la verità” (2Cor 4,2). La verità è Cristo stesso, venuto a servire e salvare i peccatori, Lui che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Come Papa Francesco ha scritto, “tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto.” (Esort. Apost. “Evangelii Gaudium”, n°36). Per proclamare la bellezza della Misericordia divina, sperimentatela, gustatela! Siete amati da Gesù, sempre perdonati da Lui, scelti da Lui! Che lo Spirito Santo, con la preghiera di Maria, Sedes Sapientiae, ci dia di annunciare la verità dell’Amore misericordioso di Dio, perché “tutto in Gesù parla di misericordia. Anzi, Egli stesso è la misericordia.” (Papa Francesco, Messaggio per la 31° giornata mondiale della gioventù, 2016). Amen.
Jorge Carlos Patrón Wong
Arcivescovo-Vescovo emerito di Papantla
Segretario per i Seminari