Il Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, durante l’omelia proferita ai numerosi presbiteri presenti al Terzo Ritiro Mondiale dei Sacerdoti, che si è svolto presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, ha richiamato l’opera di fortificazione dello Spirito Santo. Lo Spirito fortifica la Chiesa – ha detto il Porporato – e vivifica il seme della vocazione, rendendo il Sacerdote non “un libero professionista” di un’azienda, ma un evangelizzatore.
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3° Ritiro Mondiale dei Sacerdoti – RNS
Basilica di S. Giovanni in Laterano, 13 giugno 2015
Cari confratelli nel sacerdozio, sono lieto di celebrare questa Santa Messa con voi, convocati dallo Spirito per alcuni giorni di ritiro e preghiera, a Roma, vicino al Santo Padre, che avete incontrato e ascoltato ieri.
Lo Spirito è un dono grande che il Risorto ha fatto ai credenti di ogni tempo, è il soffio divino che ci sospinge e ci orienta, è la presenza forte di Dio, che rende possibile il nostro essere discepoli di Cristo, «è quel di più che dà il Padre, quello che la nostra coscienza non osa sperare» (Meditazione quotidiana a S.Marta, 9 ottobre 2014) e, ancor di più, «è l’Amore di Dio che fa del nostro cuore la sua dimora ed entra in comunione con noi», come ha ricordato Papa Francesco (Udienza Generale, 9 aprile 2014).
Per questo siete convenuti con gioia a Roma in questi giorni, ripercorrendo interiormente i diversi momenti del nostro essere Chiesa, in risposta alla chiamata di Dio, uniti a Cristo Gesù, attraverso l’azione dello Spirito, che convoca, riconcilia, fortifica e invia i credenti.
Ispirandomi al tema di questa giornata – “Fortificati dallo Spirito” – desidero soffermarmi con voi sull’azione vivificante dello Spirito, considerando come Egli fortifichi la Chiesa intera e, in particolare, ogni sacerdote che a Lui apre il proprio cuore e affida la sua vita.
I – Lo Spirito fortifica la Chiesa
Il noto brano di S. Paolo che è stato scelto come prima lettura descrive una realtà incontestabile; grandi sono le differenze tra gli uomini, anche all’interno del popolo di Dio. Anche qui oggi lo vediamo guardandoci intorno; parliamo lingue diverse, veniamo da culture diverse, ciascuno di noi ha doti e sensibilità proprie. Ma siamo qui, insieme, e insieme siamo parte dell’unica Chiesa, perché Cristo ci ha chiamati e lo Spirito ci ha uniti.
Egli è la forza di Dio che trasforma le differenze tra noi, in una arricchente diversità per la sua Chiesa e, anzi, suscita doni e carismi diversi, perché nulla manchi al popolo di Dio e all’umanità. Come Chiesa, siamo fortificati dallo Spirito, proprio perché nulla vada sprecato e nulla sia inutile per la vita del popolo di Dio. Talvolta anche sul peccato più doloroso Dio costruisce prodigi di santità.
Lo Spirito fortifica la Chiesa perché permette di riportare all’unità ciò che potrebbe essere fattore di divisione; all’unità… non all’uniformità..., perché lo Spirito non cancella o livella le differenze, ma le armonizza in una sintesi più alta, che spesso sfugge e confonde i calcoli umani. Per questo nel corso del tempo sono sorti differenti carismi, sotto forma di scuole spirituali, di movimenti, di ordini religiosi e tutto quanto il tesoro immenso e multiforme della Chiesa da sempre contiene. In ogni epoca e in ogni contesto, lo Spirito ha suscitato risposte differenti, adeguate a quella realtà concreta, per il bene dei cristiani e degli uomini tutti.
Il frutto più bello dello Spirito, quindi, il suo segno in una determinata realtà è proprio l’unità e la comunione; ciò che nasce dallo Spirito non va per conto suo, ma diventa parte integrante della Chiesa, la vivifica da dentro, la rinnova, salvo poi magari scomparire una volta esaurita la sua funzione. Così, anche quando un’esperienza o un carisma vive la sua parabola discendente e si esaurisce, la Chiesa non cessa di rendere lode a Dio, per il bene che ne è nato e per i doni che ha lasciato, in attesa di altre primizie, che Egli mai cessa di far germogliare.
Lo Spirito dunque non abbandona mai la Chiesa di Dio e gli uomini tutti; il nostro compito è discernere, di volta in volta, la sua presenza, i suoi segni e le sue chiamate. La diversità dei carismi integrata in una Chiesa-comunione, che vive la gioia del Vangelo, è il segno più chiaro della sua azione.
II – Lo Spirito fortifica i sacerdoti
Oltre all’amore alla Chiesa, della quale ci sentiamo figli e membri attivi, in questa circostanza siamo accomunati anche dal dono del sacerdozio che abbiamo ricevuto, che desideriamo ravvivare e consolidare in questi giorni di ritiro. Proviamo quindi anche a pensare alla vita di ciascuno di noi, alla vocazione che ci è stata donata, che abbiamo accolto e che, sotto la guida dello Spirito, è diventata il nostro modo di essere discepoli di Gesù.
Anche in ragione dell’incarico che mi è stato affidato nella Congregazione per il Clero, la vocazione è un tema che mi è molto caro, sia per quanto riguarda la sua “scoperta”, sia per tutto ciò che comportano la sua cura e i suoi frutti. E in questa giornata dedicata all’essere “fortificati”, penso sia conveniente ritornare nella preghiera alle radici della nostra personale storia vocazionale, per «non perdere la memoria del primo amore», secondo la felice immagine evocata da Papa Francesco (Meditazione quotidiana a S.Marta, 30 gennaio 2015).
Permettetemi un’immagine semplice: la vocazione è un seme che il Padre ha messo in noi, Cristo è l’agricoltore che lavora il campo della nostra vita, affinché lo Spirito possa vivificare quel seme e farlo crescere, in una maniera spesso inaspettata e non preventivabile.
Comprendere la vocazione è prima di tutto accoglienza e docilità, di fronte all’agire di Dio, che si affaccia alla nostra vita e prende possesso dei nostri desideri, li immerge nel suo Spirito, e ne trae qualcosa di inatteso e grandioso. Pensiamo a Maria di Nazareth; desiderava esse moglie e madre, desiderava avere figli, di cui aver cura. Ha messo la sua vita nelle mani di Dio, ha permesso al suo Spirito di entrare nella sua vita e tutto ciò che aveva sognato si è realizzato, ma in una maniera del tutto speciale; moglie castissima di Giuseppe, madre di Dio e, per mandato di Gesù, madre di tutti i credenti. Lo stesso è accaduto a Pietro, chiamato da Gesù a restare pescatore…ma di uomini…mettendo la sua vita, totalmente e definitivamente, nelle mani del Maestro.
Mettere la nostra vita nelle mani di Dio, aprirla allo Spirito, significa proprio questo: nulla va sprecato o buttato via, ma tutto è trasformato dal fuoco divorante dello Spirito. E qui sta il nostro lavoro ascetico, la nostra cura spirituale per la nostra persona e per tutti i doni che Dio ci ha fatto. Non possiamo meritarli a suon di “buone azioni”, come obbligando Dio a ricompensarci; possiamo anzi rischiare di rendere inefficaci i suoi tanti doni, tanto con il nostro eccessivo protagonismo troppo umano, che con la nostra inerzia.
È la vita nello Spirito la nostra via alla santità e all’efficacia apostolica. Di essa ha parlato in un suo bel libro di qualche anno fa (“Il canto dello Spirito. Meditazioni sul Veni Creator”) p. Cantalamessa. Egli mi perdonerà se lo cito. Con una felice immagine, nell’introduzione del libro citato, egli ha illustrato la vita nello Spirito a partire dal volo degli uccelli, i quali se sono troppo protagonisti – cioè se si limitano a sbattere le ali – o troppo inerti – restando fermi in attesa di essere spostati dal vento – non vanno da nessuna parte. Se invece muovono le ali quel tanto che basta per intercettare il vento, possono farsi trasportare da esso, aggiustando di tanto in tanto la rotta, e arrivando così a distanze impensate.
Queste distanze – fino a raggiungere vette sublimi di santità - sono i frutti di una vocazione accolta e custodita, come segno che il dono dello Spirito che abbiamo ricevuto, non si è inaridito per la nostra incuria. Qui sta il bello dell’essere discepoli del Signore; come sacerdoti, non sta a noi pianificare e progettare chissà ché; siamo invece chiamati a tendere alla santità personale, senza scoraggiarci – configurandoci a Cristo, sotto la guida dello Spirito – e ad adoperarci per la santità delle persone a noi affidate, e anche per quelli che hanno dimenticato Gesù o non lo hanno mai conosciuto.
Così, sperimentiamo la forza di Dio quando stiamo in relazione con Lui e viviamo la carità fraterna con i confratelli. Infatti, come sacerdoti, non ci sentiamo forti quando pensiamo alle nostre capacità – grandi o piccole che siano – o ai nostri successi pastorali – che pure fanno piacere e consolano – ma soprattutto quando abbiamo la chiara consapevolezza di essere molto amati e perdonati da Dio, quando cioè facciamo esperienza della vicinanza e della misericordia da parte di Dio.
Essa, infatti, «non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio… Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono», secondo le parole del Santo Padre nella Bolla di indizione del prossimo Giubileo (Misericordiae Vultus, n. 6).
Se in Dio abbiamo un Padre, inoltre, negli altri sacerdoti troviamo dei fratelli, ai quali siamo uniti attraverso «un vero spirito di famiglia che favorisce la solidarietà e la fraternità sacerdotali, al servizio di una missione comune», come ha ricordato Papa Francesco (Discorso ai Vescovi del Togo, 11 maggio 2015). La fraternità, quotidianamente vissuta attraverso la preghiera, la condivisione, la vicinanza e la cura reciproca, rende visibile la forza del sacramento che abbiamo ricevuto e manifesta la nostra costante apertura all’azione dello Spirito, che ci guida all’unità, prima di tutto tra noi.
III – Lo Spirito invia i sacerdoti
Avete ovviamente presente il titolo di queste giornate: “Chiamati alla santità, per una Nuova Evangelizzazione”. Credo potremmo trarre un intero programma di vita spirituale solo da queste parole. Siamo chiamati; non siamo quindi dei “liberi professionisti” del ministero; e siamo chiamati non una volta per tutte, ma ogni giorno da Dio, e la nostra vita è una risposta generosa a chi ci chiama con amore. E la chiamata ha un obbiettivo preciso e irrinunciabile, perché di una cosa sola c’è vera necessità, della santità. Il popolo di Dio, la Chiesa, non è un’azienda che necessita di eccellenti competenze professionali, per espandersi sul mercato. Serve solo la santità dei suoi membri, per far giungere sempre più lontano, o sempre più in profondità, la parola del Vangelo, che corre per “attrazione”, da persona a persona.
Desidero concludere questa meditazione ricordando, con le belle parole del Santo Padre, che lo Spirito di Dio «viene sempre a sostenerci nella nostra debolezza e questo lo fa con un dono speciale: il dono della fortezza» (Udienza Generale, 14 maggio 2014). Perciò, se restiamo aperti a Lui, non viviamo più nella tristezza e nello scoraggiamento, che ci assalgono e ci abbattono, quando vogliamo fare da soli; infatti, come ci ha detto il Santo Padre nella omelia del Giovedì Santo recente, Dio non cancella la fatica, ma dona la forza per superarla o per sopportarla, ma sempre con una gioiosa serenità di fondo. E anche quando le difficoltà della vita e del ministero ci sembrano insormontabili, dobbiamo rivolgerci a Lui, restare umilmente accoglienti e disponibili nei Suoi confronti, perché nessuna fatica ed umiliazione possono logorare o far naufragare la potenza che viene dal Suo amore.
Nemmeno la “fatica” della vecchiaia è impermeabile allo Spirito; penso anche ai sacerdoti anziani, i quali a volte finiscono per avvilirsi, magari avvertendo, con tristezza, il peso degli anni o delle malattie, insieme alla sensazione di non poter essere più utili, come negli anni della maturità della vita.
Ma lo Spirito dà vigore, sempre, e la testimonianza di fede e di preghiera di un sacerdote è più forte ed efficace di ogni sua attività o impegno pastorale; la freschezza interiore e la vitalità spirituale non seguono l’età anagrafica, e un sacerdote anziano, esperto nelle cose dello Spirito, resta in ogni caso un tesoro e una risorsa preziosa per la Chiesa .
È bello invocare lo Spirito, perciò, all’inizio di ogni nostra preghiera o attività, per mettere sempre più la nostra vita e il nostro ministero nelle mani di Dio; in questo modo, portati dallo Spirito, i doni sacramentali che abbiamo ricevuto e che abbiamo fatto fruttificare, rappresentano sempre una ricchezza e un investimento davanti al Signore al di là di tutte le umane fragilità e debolezze, che possono turbare il nostro cammino verso il Padre .
In meditazione orante, invochiamo lo Spirito Creatore perché sia luce nell’oscurità, sia forza che trascina e sostiene il cuore, e sia fortezza sicura per tutte le malattie e debolezze del corpo e dello spirito. A Maria affidiamo la nostra fiducia di essere sempre accolti dall’amore misericordioso del Padre. Amen