Il Prefetto della Congregazione per il Clero, Card. Beniamino Stella, in visita a Belluno, nella Solennità di San Martino di Tours, Patrono della diocesi.
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Eccellenze Reverendissime, cari sacerdoti e fedeli tutti, con gioia siamo riuniti di fronte all’altare del Signore in questo giorno, dedicato a San Martino di Tours, per affidare alla sua intercessione la città e la diocesi di cui egli è il Patrono.
Oggi però abbiamo una ragione in più per ringraziare il Signore per i Suoi doni, dal momento che giovedì scorso la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il Decreto che riconosce l’eroicità delle virtù di Giovanni Paolo I, del “nostro” Albino Luciani, vostro concittadino e mio Vescovo, al tempo della mia ordinazione presbiterale; desidero perciò guardare a San Martino e al “venerabile” Giovanni Paolo I come modelli per il cammino di santità di ciascuno di noi.
Nel brano di Vangelo che abbiamo appena ascoltato, dopo aver elencato alcune opere di carità, compiute in favore di persone povere, bisognose o in qualche modo sofferenti, Gesù enuncia il principio fondamentale che unisce l’amore per Dio a quello per il prossimo: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (25, 40), mostrando anche la natura della carità, evangelicamente intesa.
Tale attenzione all’altro – è bene essere onesti – non sorge sempre spontaneamente, perché il prossimo spesso può non essere simpatico e accogliente. D’altra parte, ogni resistenza può essere vinta quando nell’altro che ci viene incontro vediamo Cristo, e nei suoi bisogni riconosciamo una chiamata per noi da parte di Dio. Per questa via si può passare dal fare, di tanto in tanto, qualche buona azione, al vivere la carità nella quotidianità della nostra esistenza, perché essa è il contesto più idoneo – quello in cui Dio ci ha posti – per la nostra santificazione.
Guardiamo ora a San Martino. È noto il gesto con cui – cristianamente formato, ma non ancora battezzato – ha diviso il proprio mantello, perché uno sconosciuto mendicante potesse coprirsi dal freddo, spinto dall’amore per il prossimo e dall’indifferenza dei passanti. Come narra una biografia del Santo, «poiché il povero pregava i passanti di aver pietà di lui, e tutti passavano oltre senza curarsi dello sventurato, Martino ricolmo di Dio comprese che, siccome gli altri si rifiutavano a un atto di carità, quel povero era riservato a lui» (Sulpicio Severo, Vita di Martino, 3,1). Allora il giovane militare si rende conto di non aver nulla di superfluo, ma solo, scrive la nostra fonte, «il mantello, di cui era vestito; […]. E così, brandita la spada che aveva alla cintura, divise il mantello a metà, e ne donò al suo povero una parte, dell’altra si rivestì» (Vita di Martino, 3,2). Secondo la medesima vita di Martino, la notte seguente, in sogno, il Santo «udì Gesù dire con chiara voce alla moltitudine di angeli che stavano intorno a lui: “Martino, che ancora non è che un catecumeno, mi ha coperto con questa veste”» (Vita di Martino, 3,4).
Mi permetto un inciso al riguardo; recentemente, sono stato a Madrid e davanti alla Cattedrale dell’Almudena ho visto una statua in metallo, opera di un artista canadese (Thimoty P. Schmalz), intitolata “Jesús desamparado”, recentemente (maggio 2016) benedetta dall’Arcivescovo, Cardinale Osoro.
A misura d’uomo, rappresenta un povero, senza tetto, che dorme su una panchina; è totalmente avvolto in una coperta, dalla quale sporgono il profilo di un volto e i suoi piedi nudi, su cui sono i segni dei chiodi. Diverse persone passavano davanti e ne baciavano i piedi, certamente con il proposito in cuore e la devozione di baciare le piaghe di Gesù. Un gesto eloquente, dove la pietà dei fedeli coglie nella persona del povero il corpo di Cristo stesso, proprio come aveva intuito San Martino.
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