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Aspetti pastorali-amministrativi nella spiritualità presbiterale: S.Em. il Card. Beniamino Stella

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S.Em. il Card. Beniamino Stella

Eccellenza Reverendissima e cari sacerdoti, vi saluto con viva cordialità, mentre ringrazio don Francesco Scalmati, Presidente della FACI, per il cortese invito rivoltomi a partecipare a questa giornata dedicata alla riflessione, alla condivisione e, nel pomeriggio, alla preghiera per la vita e il ministero dei presbiteri, nel contesto delle celebrazioni per il Centenario della vostra associazione.

Visto il servizio che svolgo presso la Congregazione per il Clero, mi sono dedicato volentieri al tema che mi è stato indicato per questo incontro, che ho affrontato a partire dalla spiritualità presbiterale, cercando di delinearne alcuni tratti fondamentali, per poi vedere come essa si declina – si “incarna”, per così dire – in una specifica sensibilità pastorale e in alcuni impegni amministrativi.

Dico da subito che mi piace pensare che è soltanto la spiritualità del presbitero la risorsa capace di sostenerlo in tutta la sua vita e in ogni suo impegno, come realtà unificata, senza che si dia una frattura o, peggio, una contrapposizione tra impegni pastorali e impegni amministrativi. Configurato a Cristo Buon Pastore, il presbitero vive e agisce come tale, adoperandosi per far scaturire ogni suo gesto dalla carità pastorale e per animare e riempire tramite essa le sue attività, in modo che nessuna sia ridotta a mera pratica burocratica.

«Il contenuto essenziale della carità pastorale», leggiamo in Pastores dabo vobis (n. 23) «è il dono di sé, il totale dono di sé alla Chiesa, ad immagine e in condivisione con il dono di Cristo. “La carità pastorale è quella virtù con la quale noi imitiamo Cristo nella sua donazione di sé e nel suo servizio. Non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente”». 

Se si parte quindi dal dono che, in quanto pastore, il presbitero è chiamato a fare di sé alla Chiesa e a tutti gli uomini, è facile comprendere come non ci possano e – mi permetto – non ci debbano essere “compartimenti stagni”, tali da dividere ciò che è “pastorale” da ciò che è “amministrativo”; si tratta di impegni di tipo diverso, ma comunque ricompresi nella carità pastorale, che è «il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero», riprendendo nuovamente Pastores dabo vobis (n. 23). In sintesi, vorrei dire che, in quanto pastore, tutto ciò che il sacerdote fa e vive è pastorale, perché si rivolge alle persone – che, di fatto, costituiscono il suo gregge, la sua famiglia – e le coinvolge in qualche modo.

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