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Omelia del Cardinale Stella per la S. Messa in occasione della solennità di S. Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa

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Solennità di S. Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa

28 agosto 2016, Basilica di S. Agostino

 

Cari amici, Padri della comunità agostiniana e fedeli frequentatori di questa Basilica, con gioia e devozione celebriamo la solennità odierna di Sant’Agostino, riuniti intorno all’altare del Signore, per rendere grazie dei suoi tanti doni.

 

Quando ci accostiamo alla figura di un grande santo, un rischio nel quale potremmo incorrere è quello di concentrarci solo sui frutti della santità e non sul cammino percorso per raggiungerla. Rischiamo cioè di dimenticare che ogni santo è un uomo che ha aperto la sua vita al Vangelo di Cristo e ha permesso allo Spirito di lavorare in lui, per divenire come “un’opera d’arte” nelle mani di Dio. Santi non si nasce, ma si diventa, rispondendo alla chiamata che Dio rivolge a ciascuno, in nome di quella “vocazione universale alla santità”, richiamata dal Concilio (Lumen gentium, nn. 39-42).

 

In questo anno giubilare, dedicato alla Misericordia, desidero soffermarmi sull’uomo Agostino, sul cammino di santità da lui compiuto e sulla sua ricerca di Dio; perciò, affidando le letture odierne alla vostra meditazione personale, sull’esempio di Papa Francesco in questa stessa circostanza, nel 2013, vorrei lasciar parlare la vita e le opere di Sant’Agostino stesso nel corso di questa omelia.

 

Parlando della ricerca di Dio del giovane Agostino, potremmo forse dire che è stato Dio, guidandolo con discrezione attraverso segni e tracce messi sul suo cammino, a farsi trovare gradatamente da lui, che alla fine descriverà con appassionate parole il senso e il frutto di tale ricerca: «Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo… Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te… Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità… mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace» (Confessioni, X, 27.38).

 

La scoperta bella di Agostino, è stata che mentre lui cercava Dio si è reso conto che era Dio a cercare lui: «in questo modo scopre che Dio lo aspettava, anzi, che non aveva mai smesso di cercarlo per primo», come ha ricordato proprio in questa Basilica Papa Francesco 3 anni fa (S. Messa, 28 agosto 2013). È l’esperienza dell’infinita e amorevole misericordia divina, che ci avvolge e penetra nella nostra vita, a volte anche quando non ce ne rendiamo conto, per poi mostrarci il suo volto luminoso al momento opportuno, quando vinta ogni resistenza ci abbandoniamo nelle mani di Dio, per lasciarci amare da Lui.

 

È questa una buona occasione per ripensare in quest’ottica la nostra vita e, guardando a ritroso, cercare in essa le tracce dei passaggi di Dio in essa. Si sarà trattato di persone, luoghi, situazioni varie, che in un determinato momento ci hanno fatto sentire che Dio ci era vicino, che si interessava proprio a noi, che amava noi personalmente. Si tratta cioè di pensare con gioia e sollievo alla misericordiosa perseveranza con cui Dio accompagna la nostra vita, anche quando gli diciamo dei “no” o siamo distratti. Come per Agostino, Dio sa trovare la via per il cuore di ognuno di noi e a essa bussa, perché gli apriamo.

 

Tra i segni della misericordia di Dio che hanno accompagnato il cammino di Sant’Agostino, mi piace ricordare in primo luogo la sollecitudine e l’amore della madre, Santa Monica, la quale con le parole e con l’esempio, nelle umili circostanze della quotidianità, ha reso presente ad Agostino la persona di Cristo; al momento della conversione, sarà lui stesso in seguito a rendersi conto di quanto Monica sia stata per lui da sempre uno strumento di Dio, rivolgendosi al quale ha infatti scritto: «Di chi erano dunque, se non tue, le parole che facesti risuonare alle mie orecchie per la bocca di mia madre, tua fedele?» (Confessioni II, 3.7).

 

Così, quando la luce della fede fece aprire gli occhi ad Agostino, il suo primo pensiero fu proprio per la madre Monica, che vide con gioia il desiderato esaudimento delle sue preghiere e il figlio ritornare a Cristo: «Immediatamente ci rechiamo da mia madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo svolgimento dei fatti: esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi fare più di quanto chiediamo e comprendiamo. Vedeva che le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto con tutti i suoi gemiti e le sue lacrime pietose» (Confessioni VIII, 12.30).

 

Avendo celebrato ieri la memoria di Santa Monica, rivolgiamo un grato pensiero alle nostre madri e a tutte quelle persone che ci hanno offerto il dono della fede e che, in tempi di difficoltà o dubbio, ci hanno accompagnato con il loro amore e la loro preghiera, aiutandoci a non smarrire le vie di Dio. Si tratta di una “santa gratitudine”, per quelle persone che Dio mette sulla nostra strada, a volte solo per poco tempo, le quali sanno stimolarci a ravvivare la nostra fede.

 

Il fertile terreno spirituale preparato da Monica nel cuore del figlio portò i suoi frutti grazie anche a Sant’Ambrogio, un altro dei preziosi segni con cui Dio ha orientato a Sé il giovane Agostino, il quale rimase affascinato dalla predicazione del Vescovo di Milano, che con le sue parole gli dischiuse la bellezza divina contenuta nella Sacra Scrittura; infatti, come ha ricordato Benedetto XVI, «Agostino capì che tutto l’Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo. Così trovò la chiave per capire la bellezza, la profondità pure filosofica dell’Antico Testamento e capì tutta l’unità del mistero di Cristo nella storia e anche la sintesi tra filosofia, razionalità e fede nel Logos, in Cristo Verbo eterno che si è fatto carne» (Udienza Generale, 9 gennaio 2008).

 

Qui non può mancare una parola per i sacerdoti e per l’occasione preziosa che ogni omelia costituisce per parlare di Dio e della bellezza di seguirlo e di vivere il Vangelo. Occorre non dare mai per scontato il momento e l’impatto dell’omelia, improvvisandola, trasformandola in uno sfogo moralistico o personale, o anche evitando di farla; l’omelia, ovviamente, non è il centro della Messa, ma, come nel caso di Agostino, per l’azione dello Spirito, può produrre in chi la ascolta effetti impensati e non previsti dal predicatore. Al riguardo, Papa Francesco ha ricordato che «la Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio, sapendo che il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato» (Evangelii gaudium, n. 139); richiamando anche la necessità di un «linguaggio positivo» - il Santo Padre ha aggiunto: «Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività» (Evangelii gaudium, n. 159).

 

Monica gli insegnò ad amare Cristo, Ambrogio lo attrasse nella Chiesa, Dio fece di lui un suo prezioso strumento al servizio del suo popolo. La misericordia di Dio ha così compiuto il suo percorso in Agostino, avendo trasformato il giovane e ambizioso intellettuale in un pastore zelante e amorevole verso il popolo a lui affidato, «al culmine di un lungo e tormentato itinerario interiore», secondo la descrizione di Benedetto XVI (Udienza Generale, 9 gennaio 2008). Tale itinerario, dalla ricerca personale allo zelo per gli altri, è stato ben descritto nella medesima catechesi da Benedetto XVI: «(S.Agostino) voleva essere solo al servizio della verità, non si sentiva chiamato alla vita pastorale, ma poi capì che la chiamata di Dio era quella di essere pastore tra gli altri, e così di offrire il dono della verità agli altri» (Udienza Generale, 9 gennaio 2008). Quella di Agostino in effetti è stata una “conversione pastorale”, che lo ha portato dal cercare Dio per sé, sino a guidare gli altri, incontro a Dio come loro pastore.

 

Attraverso l’intercessione di Sant’Agostino, chiediamo al Signore che ci aiuti a mantenere «inquieto il nostro cuore, finché non riposi in Lui» (cf. Confessioni, I,1,1), mantenendo il gusto di cercarlo nelle persone e nelle vicende che ogni giornata ci mette davanti, e di annunciarlo con la nostra testimonianza di vita, essendo nel mondo segni efficaci della Sua presenza. Amen.