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Modena, solennità di San Geminiano con il Cardinale Beniamino Stella

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Card. Beniamino Stella

Nella solennità di San Geminiano, patrono dell’Arcidiocesi di Modena, Celebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero. Il Porporato, prendendo spunto dal vescovo Geminiano che ha annunciato il Vangelo e difeso la fede, ha invitato i presbiteri ad essere, secondo le esortazioni di Papa Francesco, “pastori vicini alle cose di Dio e in mezzo al Suo popolo”.

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Solennità di S.Geminiano, Patrono dell’Arcidiocesi

Modena - 31 gennaio 2015

Con animo grato al Signore, questa comunità diocesana si presenta davanti a Lui nel caro e devoto ricordo del Vescovo San Geminiano. Non è “archeologia della fede”, il ricordo di qualcosa ormai lontano, ma il senso di appartenenza presente a questa terra che ci riunisce qui oggi; una terra che ha ricevuto grandi benefici da questo Santo Vescovo, al quale si deve l’annuncio del Vangelo e la difesa della fede, non solo con le parole, ma soprattutto con la sua vita intera e con il suo amore per i fratelli.

È una festa importante quella di oggi, perché San Geminiano è patrono della città e della Diocesi; oggi tutti sono in festa grazie a lui, i credenti, i non credenti e anche i “distratti”. Oggi, come in passato, i meriti che la tradizione attribuisce a questo Santo hanno portato beneficio a tutti, anche a coloro che forse non avevano simpatia per lui e per la fede della Chiesa; penso alla circostanza che lo ha visto proteggere Modena da Attila o dagli invasori, nel ‘500. Conoscete assai meglio di me quanto riguarda San Geminiano, il quale si è rivelato un dono per la Chiesa e per la società intera.

Anche in ragione dell’incarico che Papa Francesco mi ha affidato alla Congregazione per il Clero, il mio pensiero è corso subito ai sacerdoti, alla loro vocazione e al loro ministero; anch’essi sono un dono che Dio fa alla sua Chiesa e alla società in mezzo alla quale operano come pastori. È importante pregare perché ogni sacerdote sappia di essere un dono dell’amore di Dio alla Chiesa e al mondo.

Da parte di noi sacerdoti occorre invece fedeltà alla vocazione a essere pastori, che Dio ci ha donato, e alle sue esigenze, concretamente vissute nell’incarico che tramite la Chiesa ci è affidato. Perciò è necessario che il dono che ogni sacerdote è giunga a tutti gli uomini e non resti in qualche “ripostiglio clericale”, “incartato” e “impacchettato”, magari in una confezione elegante.

Tra le esigenze della vocazione sacerdotale, Papa Francesco richiama spesso quella di essere pastori vicini al popolo, in mezzo al popolo, e non solo “funzionari” che gestiscono “l’organizzazione della Chiesa”, più vicini alle “cose di Dio”, che a Dio stesso e ai loro fratelli.

È bello quando il cuore dei pastori è aperto alle necessità e alla vita delle loro comunità, ma anche a quelle di chi è fuori, di chi non ha capito, di chi è stato scandalizzato, di chi ha detto “no” a Dio, di chi non cerca più niente, di chi vive un’altra fede. Un cuore dilatato dall’amore di Dio, attraverso una forte spiritualità e una disciplina personale, ha questo spazio da offrire in dono a tutti gli uomini.

Considerando la Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato, vorrei “concretizzare” questa immagine del dono attraverso tre parole, che in essa sono risuonate con forza e che ben si addicono al ministero pastorale di un sacerdote, che vive in mezzo alla gente: avvertire, servire, compatire.

Seguendo le parole del profeta Ezechiele, il sacerdote è posto come “sentinella” in mezzo al mondo. Vigila, sta attento, attraverso un amoroso ascolto della realtà che lo circonda e, libero dalla tentazione dell’indifferenza e da quella di mettere troppi confini al suo ministero, si fa voce del Dio che lo ha chiamato. Quando un sacerdote ricorda questo, non sta in silenzio, non fa calcoli di opportunità e non ricerca la popolarità, ma annuncia il Vangelo di Cristo e dà voce anche a coloro che non l’hanno.

Quando l’ingiustizia si fa palese, quando la sofferenza ferisce, quando il bisogno cresce, egli può essere un richiamo, per la comunità ecclesiale e per la società tutta. Con le sue parole e con il suo generoso esempio, un sacerdote può “sensibilizzare” gli uni verso i bisogni degli altri, può farsi strumento di unione o almeno di sincera collaborazione, al di là delle convinzioni personali dei singoli.

In una società che troppo spesso induce all’egoismo e all’individualismo, visti come legittima e necessaria preservazione dei propri spazi e tempi, il ministero del sacerdote rompe gli schemi, scuote la comunità cristiana e la società e addita bisogni e sofferenze, alla cui cura tutti gli uomini di buona volontà possono cooperare.

Come Gesù e come, a sua immagine, Paolo, il sacerdote usa la sua libertà per farsi “servo di tutti”…di tutti, nessuno escluso…soprattutto di coloro che più hanno bisogno di essere aiutati, perché meno in grado di cavarsela da soli. Il servizio è il denominatore comune che accompagna ogni attività a cui il sacerdote si dedica; lo “spirito di servizio” è il suo modo di essere nel mondo.

Ascoltando le parole dell’Apostolo Paolo – e anche guardando ai tanti esempi che Papa Francesco ci offre – il Vangelo si annuncia col servizio, con l’amore concreto per il prossimo. Il sacerdote guida la sua comunità perché la serve, con la Parola, con i sacramenti, offrendole quella “moneta preziosissima”, che è il suo tempo. Ma un buon pastore, secondo il cuore di Gesù, si adopera e si ingegna per servire anche le pecore che “non sono del suo ovile” (cfr. Gv 10, 16), perché anche a quelle è mandato, per far sperimentare loro la gioia del Vangelo.

Proprio lo spirito e i gesti di servizio – perdonatemi il gioco di parole – sono il più grande servizio che un sacerdote possa offrire, “incarnando” il modo cristiano di stare al mondo. Così, diventa possibile dare testimonianza che saggio e “furbo” non è l’uomo che sta nel suo mondo e non si coinvolge, o addirittura sfrutta e sottrae agli altri tempo possibilità e risorse, perché così impoverisce il mondo in cui egli stesso vive.

La vera sapienza, che gli uomini dimenticano quando sono preda di un egoismo cieco, sta invece nell’adoperarsi per fare il bene agli altri, per aiutarli a risollevarsi dalle loro miserie di ogni tipo, come un sacerdote può fare in tanti modi; così, attraverso la maggior felicità dei fratelli serviti, il mondo diventa un luogo più accogliente e il servizio di uno finisce per arricchire tutti. È quanto mai importante che un sacerdote sappia valorizzare quanto di positivo la realtà offre, per poco che sia, non lamentandosi dei mali, ma dando volentieri il proprio apporto.

Il servizio secondo il Vangelo si distingue dal “volontariato”, in sé sempre lodevole, perché può capitare che questo resti una azione buona, ma esterna al cuore di chi l’ha compiuta. Il sacerdote invece si mette a servizio perché “compatisce”, cioè si unisce alle gioie e alle sofferenze degli altri, stabilisce rapporti che non sono sul piano del mero “fare per”, ma piuttosto del “sentire con”.

Quando un sacerdote si immedesima con quel che il suo prossimo vive in quel momento, gli diventa possibile servirlo nella maniera più efficace, annunciandogli il volto di Cristo di cui ha più bisogno in una relazione veramente umana. “Compatire” significa avere a cuore la vita e il destino dell’altro, cercando di far arrivare nella sua l’amore di Dio per lui, anche prima di annunciargli esplicitamente il Vangelo.

Questa compassione è qualcosa di profondo, che coinvolge e crea turbamento, come è accaduto anche a Gesù di fronte alla tomba dell’amico Lazzaro, perché «certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime… » e, di fronte ad esse, «la nostra risposta sia il silenzio o la parola che nasce dalle lacrime», come ha ricordato recentemente ai giovani delle Filippine Papa Francesco, profondamente commosso per le vicende dolorose che gli venivano esposte. L’esempio del Papa ci incoraggia, il suo cuore di pastore aperto alla tenerezza per chi soffre ci è d’esempio; possiamo perciò sentire rivolte anche a ciascuno di noi le sue parole: «siate coraggiosi, non abbiate paura di piangere!».

Sono partito dall’immagine del sacerdote dono per la Chiesa e per la società; desidero concludere ricordando che nella festa odierna è bello ringraziare il Signore per questo dono, per i tanti sacerdoti che vivono con responsabilità e generosità il loro ministero al servizio di tutti e perché ogni sacerdote ricordi di essere un dono dell’amore di Dio alla Chiesa e al mondo. Preghiamo anche il Signore “perché mandi operai nella sua messe!”, infiammando il cuore dei giovani al dono di sé nel ministero ordinato.

Un ricordo particolare desidero infine dedicare al vostro Vescovo, S.E. Mons. Antonio Lanfranchi, che affido al Signore tramite la preghiera di voi tutti e l’intercessione del suo predecessore San Geminiano.