Oggi, 3 settembre, la Chiesa celebra la memoria di San Gregorio Magno Papa. Questa grande figura ci ha lasciato una “Regola pastorale” dalla quale possiamo cogliere molti spunti importanti per la vita dei presbiteri e il loro ministero. Il pastore di anime – scrive Gregorio – sia nel parlare discreto e contemporaneamente deciso. Senza cercare mai il favore degli uomini.
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Dagli scritti di San Gregorio Magno Papa
«Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo che è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio. Il Signore li rimprovera per mezzo del Profeta, dicendo: «Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare» (Is 56,10), e fa udire ancora il suo lamento: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore» (Ez 13,5). Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amor di giustizia, alla guerra dei malvagi. Cos’è infatti per un pastore la paura di dire la verità, se non un voltar le spalle al nemico con il suo silenzio? Se invece si batte per la difesa del gregge, costruisce contro i nemici un baluardo per la casa d’Israele…Chiunque accede al sacerdozio si assume l’incarico di araldo, e avanza gridando prima dell’arrivo del giudice, che lo seguirà con aspetto terribile. Ma se il sacerdote non sa compiere il ministero della predicazione, egli, araldo muto qual è, come farà sentire la sua voce? Per questo lo Spirito Santo si posò sui primi pastori sotto forma di lingue, e rese subito capaci di annunziarlo coloro che egli aveva riempito» (Regola pastorale, Lib. 2, 4 PL 77, 30-31).
«È pure necessario che la guida delle anime esplichi una vigile cura perché non la spinga la bramosia di piacere agli uomini, e quando si dedica assiduamente ad approfondire le realtà interiori o distribuisce provvidamente i beni esteriori, non cerchi di più l’amore dei sudditi che la verità; e quando sostenuto dalle buone azioni sembra estraneo al mondo, il suo amore di sé non lo renda estraneo al Creatore. Infatti è nemico del Redentore colui che, attraverso le opere giuste che compie, brama di essere amato dalla Chiesa in luogo di Lui; ed è così reo di pensiero adultero, come il servo per mezzo del quale lo sposo manda doni alla sposa ed egli brama di piacere agli occhi di lei. Poiché quando l’amor proprio si impadronisce della guida delle anime, talvolta la trascina a una mollezza disordinata, talvolta al contrario ad un aspro rigore. Il suo spirito è portato alla mollezza dell’amor proprio quando, pur vedendo i sudditi peccare, non trova opportuno castigarli per non indebolire il loro amore verso di lui, e non di rado accarezza con le adulazioni quegli errori dei sudditi che avrebbe dovuto rimproverare. Perciò è detto bene, per mezzo del profeta: Guai a coloro che cuciono cuscinetti per ogni gomito e fanno guanciali per teste di ogni età, per rapire anime. Porre cuscinetti sotto ogni gomito è confortare con blanda adulazione le anime che vengono meno alla propria rettitudine e si ripiegano nei piaceri di questo mondo. Ed è come accogliere su un cuscino o su un guanciale il gomito o il capo di uno che giace, quando si sottrae il peccatore alla durezza della punizione e gli si offrono le mollezze del favore, così che chi non è colpito da alcuna aspra contraddizione giaccia mollemente nell’errore. E le guide delle anime che amano se stesse, senza alcun dubbio offrono di queste cose a coloro che temono gli possano nuocere nella loro ricerca della gloria mondana. Infatti esse opprimono con l’asprezza di un rimprovero sempre duro e violento quelli che vedono non avere alcuna forza contro di loro, e non li ammoniscono mai benignamente ma, dimentiche della mitezza del Pastore li terrorizzano in forza del loro potere…Dunque, chi presiede deve applicarsi a farsi amare per potere essere ascoltato; e tuttavia non deve cercare amore per se stesso, per non essere trovato come chi, nell’occulta tirannide del suo pensiero, si oppone a colui che per via del suo ufficio sembra servire. Ciò suggerisce bene Paolo quando ci manifesta gli aspetti nascosti della sua dedizione, dicendo: Come anch’io piaccio a tutti in ogni cosa. E tuttavia dice di nuovo altrove: Se piacessi ancora agli uomini non sarei servo di Cristo. Dunque, Paolo piace e non piace perché, nel suo desiderio di piacere, non cerca di piacere lui, ma che agli uomini piaccia la verità attraverso di lui» (Regola pastorale, II, 8, pp. 95-98).