In occasione della Festa della Madonna del Conforto, Patrona della città e diocesi di Arezzo, il Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, ha presieduto l’Eucaristia. Nell’omelia il Presule ha affermato che la consolazione di Dio è presenza di Dio che versa olio sulle nostre ferite e ci solleva; Maria Santissima, rendendosi prossima alle situazioni della nostra vita, è segno reale di questa azione di Dio.
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Festa della Madonna del Conforto
Arezzo, 15 febbraio 2015
Con gioia ci riuniamo di fronte al Signore nel ricordo della sua Santissima Madre, che qui è venerata con il bel titolo di “Madonna del conforto”; esso costituisce un immediato richiamo alla premurosa tenerezza che Dio ha per ogni uomo e che tanto spesso passa attraverso la Beata Vergine Maria.
Emblematica in questo senso è la scena che il brano di Vangelo appena proclamato ci ha fatto contemplare; morente in croce, Gesù affida l’uno all’altra il discepolo prediletto e Maria sua madre, per alleviare in questo modo il dolore di entrambi. Nel momento in cui il dramma era al suo apice e lo sconforto doveva essere più forte, prima che si potesse intravedere la luce della risurrezione, l’ultima parola di Gesù per i suoi cari non riguarda l’abbattimento o la tristezza, ma il conforto di un affetto che prosegue.
Questa è la consolazione di cui il profeta Isaia e l’apostolo Paolo ci hanno parlato nella prima e nella seconda lettura e che ben descrive l’immagine del Vangelo. La consolazione di Dio è la consapevolezza che Egli è presente e non ci ha abbandonato, prima ancora che il suo intervento si mostri in tutta la sua forza. Essa è come l’olio che il “buon samaritano” della parabola di Luca ha versato sulle ferite dell’uomo aggredito dai briganti; quell’olio non è stato il rimedio definitivo o il superamento della sofferenza, ma il segno tangibile che qualcuno si stava curando di lui e che il male non aveva vinto.
Ai piedi della croce, Gesù ha dichiarato Maria madre del discepolo prediletto, e, in lui, dei discepoli di ogni tempo, i quali hanno spesso fatto ricorso alla sua materna intercessione nei momenti di maggiore fatica o paura. Ed ella è solita consolare i suoi figli, in maniera discreta, facendosi loro prossima in circostanze semplici e umili, come è stata la povera immagine di terracotta invetriata, annerita dal fumo, attraverso la quale si è manifestata qui per la prima volta.
La città era spaventata dal terremoto e la paura per una sciagura che pareva inevitabile aveva atterrito tutti; quel piccolo segno – l’immagine di Maria splendente di luce – ha ridato la speranza, è stata come l’irrompere dell’amore di Dio nella vita di persone che si erano abbandonate a un senso di sconfitta o di inutilità di ogni impegno.
Magari anche tra noi oggi ci sono alcuni che vivono un momento del genere, feriti da un qualche evento, schiacciati da circostanze della vita, ma tuttavia accorsi davanti a questa immagine di Maria, per ravvivare il lumicino della loro fede alla fiamma della sua consolazione, come fecero i tre calzolai nel 1796.
La consolazione.. cioè l’istante in cui ci accorgiamo che Dio sta arrivando da noi, che tra in breve inizierà a sollevarci, o la consapevolezza che il male è ancora presente, ma si sta ritirando. Essa è come la corda lanciata che pende davanti al viso di chi è caduto in burrone, come la luce che si intravede al fondo di un tunnel buio, come le lancette dell’orologio ormai vicine a un momento tanto desiderato, o come la mano alzata del sacerdote che sta per donare la misericordia di Dio attraverso l’assoluzione, perché «la consolazione più forte è quella della misericordia e del perdono», come ha recentemente ricordato Papa Francesco (omelia a Santa Marta, 9 dicembre 2014).
Pensando alla consolazione che viene da Dio, anche il male e la sofferenza, che mai ci trovano impassibili, possono essere guardati in una luce diversa, perché solo chi ha sofferto o si è sentito perso può provare la gioia di sentirsi consolato; solo chi è ferito dal peccato o dalla sofferenza può comprendere la gioia della guarigione. Le ferite del nostro cuore perciò sono un’occasione speciale – non l’unica, ovviamente – per sperimentare l’amore misericordioso che viene da Cristo, le nostre lacrime ci meritano il tenero abbraccio materno di Maria, al quale abbandonarci.
Credo che ognuno di noi – a ben pensarci – abbia provato qualcosa del genere in uno o più momenti della propria vita; mentre siamo qui raccolti in preghiera proviamo proprio a far questo, a far memoria di tutte le circostanze in cui ci siamo sentiti schiacciati dalla vita, scoraggiati e preda solo della paura o della tristezza, ma abbiamo avvertito la consolazione di Dio, attraverso la preghiera, nell’incontro con una persona, in un pensiero apparso all’improvviso, in una canzone o in un paesaggio. I doni più grandi spesso Dio li fa in maniera umile e quotidiana.
È importante richiamare alla memoria questi momenti, per evitare che restino dentro di noi, parcheggiati, quasi dimenticati e non più in grado di farci tenere aperta la porta della speranza. A volte siamo strani, un po’ per paura, un po’ per sfiducia, ci abbandoniamo alla sofferenza, ci abituiamo ad essa, permettiamo al nostro cuore di indurirsi e al nostro orgoglio di farci credere che non possiamo fare di più; magari, ha ricordato ancora Papa Francesco, «siamo abituati ad “affittare” consolazioni piccole, un po’ fatte da noi; ma non servono, aiutano ma non servono. Infatti, ci giova soltanto quella che viene dal Signore col suo perdono e la nostra umiltà. Quando il cuore si fa umile, viene quella consolazione e si lascia portare avanti da questa gioia, questa pace» (omelia a Santa Marta, 9 dicembre 2014).
L’umiltà è la porta della consolazione e la memoria di essa si trasforma in gratitudine e riconoscenza per il bene ricevuto. In questi luoghi, il popolo confortato da Maria, non solo sconfisse la paura, ma soprattutto visse una nuova primavera dello Spirito e sperimentò la conversione del cuore in un rinnovato slancio di vita cristiana. Lo stesso accade a noi, quando con animo grato al Signore per il bene ricevuto, ci disponiamo a servire i fratelli, i più poveri, i più deboli e persino quelli più antipatici. La gratitudine al Signore la mostriamo con la nostra vita, divenendo a nostra volta strumenti di quella consolazione che altri hanno portato a noi.
Pensiamoci; nella preghiera possiamo ringraziare il Signore per le persone che hanno consolato noi e farci un esame di coscienza valutando se noi stiamo facendo lo stesso per qualcun altro. Ho consolato qualcuno questa settimana, questo mese? Ecco una domanda concreta. Cosa porto alle persone che incontro? Solo le mie tristezze o i miei egoismi o stati d’animo, o magari ho cura di portare anche la consolazione e la gioia del Signore?
Alziamo lo sguardo a Maria e invochiamo sulle nostre famiglie e sui nostri cari la sua materna protezione, alla quale ricorriamo volentieri. Per sua intercessione, il Signore ci liberi dalla tristezza e ci scuota dall’abitudine alle false consolazioni, ci doni la sua gioia e ci renda suoi testimoni nel mondo, in quel pezzetto concreto di mondo che ognuno di noi abita, a casa, al lavoro, a scuola, per le vie della città.
Maria, Madonna del Conforto, prega per noi.