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Curare la vita interiore e partecipare alla vita della comunità: l’identikit del prete tracciato dal Prefetto, Cardinale Beniamino Stella

Stella Oss
S.Em. il Card. Beniamino Stella

Intervista al Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, su L’Osservatore Romano di oggi. Il Porporato traccia l’identikit del presbitero, a partire dal Magistero di Papa Francesco: uomo della vita interiore che partecipa con cuore alla vita del suo popolo. Sua Eminenza sottolinea l’impegno del Dicastero a sostegno della formazione permanente dei presbiteri e, sul tema delle vocazioni, raccomanda la cura degli aspetti umani della personalità dei seminaristi, perché le ferite e le fragilità dei giovani di oggi non diventino “mortali” nella vita del prete.

Come gli aerei. A colloquio con il Cardinale Prefetto della Congregazione per il Clero – L’Osservatore Romano 21 gennaio 2014

I sacerdoti sono come aerei: ci si accorge che esistono solo quando cadono, mentre la stragrande maggioranza vola senza fare notizia. Riprendendo questa immagine usata da Papa Francesco, il cardinale Beniamino Stella — prefetto della Congregazione per il clero, e già nunzio a Cuba — parla con “L’O osservatore Romano” degli ultimi sviluppi nel Paese e traccia un identikit del prete.

Lei è stato nunzio apostolico a Cuba dal 1992 al 1999: c’erano già le premesse che hanno portato alla recente svolta nei rapporti con gli Stati Uniti d’Am e r i c a ?

Quelli del mio servizio come nunzio apostolico a Cuba sono stati i tempi che hanno preceduto la visita di Giovanni Paolo II e i tempi della visita stessa. Le condizioni di una evoluzione positiva non erano così evidenti, ma si sono andate creando, con molta pazienza, discrezione, rispetto e speranza, direi con quei piccoli passi che si devono fare quando non è possibile correre. Ci sono talvolta, negli interlocutori, timori e paure. Una storia difficile, da tener presente. Personalmente sono stato sempre sostenuto dal conforto e dal contributo dei vescovi del Paese, soprattutto dell’arcivescovo di San Cristóbal de la Habana, oggi cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino. Pastori che portano con sé le sensibilità e le attese delle comunità cristiane, e che hanno vissuto la storia della gente; sono stati veramente i fratelli maggiori, che mi hanno ispirato e consigliato in non facili situazioni.

La fine dell’embargo potrà favorire il progresso sociale, civile e religioso della società cubana?

Questo tema dell’embargo è complesso, non facile da sminuzzare in poche parole. Certamente è stato uno scoglio, una barriera, con conseguenze tanto logistiche quanto umane e sociali nelle relazioni fra i due Paesi. Lo sviluppo di normali rapporti commerciali è stato fortemente condizionato dall’esistenza di questo meccanismo che porta, fra l’altro, a situazioni dolorose di incomprensione e di sfiducia. Direi che, con l’annuncio dei giorni scorsi, cade questo scoglio umano; la prospettiva delle relazioni diplomatiche significa, infatti, che si è pronti a parlarsi, a dialogare e a crescere nella mutua fiducia, che porterà all’abbattimento — come è stato detto — anche di quegli aspetti logistici che hanno impedito una regolare e proficua relazione commerciale, e non solo. Nell’agenda che si prospetta nelle mutue relazioni, confido che prevarranno le ragioni del buon senso, del rispetto e della reciproca comprensione, tanto desiderata e raccomandata dal Papa in tutti i suoi interventi, come, precisamente, nell’iniziativa dei mesi passati che, per merito del Pontefice, ha portato a questo storico disgelo fra Cuba e Stati Uniti.

Si può tracciare un identikit del prete secondo gli insegnamenti di Papa Francesco?

Direi che l’identikit del prete, raccomandato dal Papa, è quello di un sacerdote, da una parte, con una forte spiritualità e disciplina personale, che prega e che cura, con fedeltà e metodicità, la propria vita interiore; dall’altra, di uno che vive in mezzo al popolo di Dio, di un pastore che partecipa con il cuore alla vita della propria comunità. Mi pare che tutto questo non sia una novità; tuttavia, il Pontefice l’ha posto in evidenza con tante immagini e simbolismi, per cui i sacerdoti, oggi, hanno una comprensione molto più sentita e vissuta delle esigenze del proprio stato, tanto nella cura spirituale della propria identità, quanto nella vicinanza e nel servizio al popolo di

Dio, con umanità e taglio evangelico.

Alla Curia romana il Papa ha ricordato che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. È un paragone in cui si ritrova?

L’immagine evocata dal Pontefice è davvero straordinaria. Sì, è vero; del prete si parla solo quando “cade”, ma delle migliaia di aerei che volano non si dice niente... lo si dà per scontato, per acquisito. Quando, però, c’è il “dramma”, allora se ne parla, c’è lo scandalo. Vorrei dire che quest’immagine è stata, da parte del Papa, un grande elogio del sacerdote e delle moltitudini di presbiteri che lavorano con dedizione e con passione, fedeli alla vita spirituale e alla propria missione. Proprio nei giorni scorsi, un sacerdote mi chiedeva di suggerire al Pontefice di essere un po’ più affettuoso con i preti. Sono rimasto sorpreso. Mi pare che il Papa ha sempre parlato con garbo, rispetto ed eleganza della vita dei presbiteri; certamente, è esigente e rigoroso, ma sono innegabili la sua compassione e la sua umanità verso i collaboratori dell’ordine episcopale. Ci sarebbe da sorprendersi se Papa Francesco, a partire anche dalla propria esperienza di formatore e di pastore, non facesse appello alla conversione e alla fedeltà. Nessuno può dubitare di questo grande cuore del Pontefice, soprattutto verso migliaia di sacerdoti che “volano” senza farsi notare, senza richiamare l’attenzione, e che sono la forza delle comunità cristiane.

Che cosa fa il dicastero di fronte al dramma dei preti che in alcune parti del mondo pagano con la vita il prezzo della loro testimonianza evangelica?

La Congregazione per il clero non ha una diretta competenza istituzionale verso queste situazioni drammatiche; tuttavia il dicastero, quotidianamente, è accanto ai sacerdoti in difficoltà, con il proprio sostegno e con un grande senso di rispetto della giustizia e di comprensione per l’umana fragilità. Cerchiamo di accompagnare i vescovi nelle loro responsabilità pastorali, ma anche i sacerdoti nelle prerogative che corrispondono loro sulla base del diritto canonico. Sosteniamo i preti, insistendo sulla formazione permanente, sulla cura spirituale di se stessi e sulla necessità del riposo, richiamata di recente anche dal Papa, che parlava di “martalismo”, di super-attivismo, cioè di un rischio sempre reale per tutti, vescovi, presbiteri e diaconi.

Oggi questa situazione di sofferenza riguarda in particolare la Siria e l’Iraq. Come smuovere l’indifferenza in cui si consuma questa tragedia?

Ciò che succede talvolta — sequestri e uccisioni di sacerdoti — fa pensare a un fatto innegabile: il prete, all’interno del popolo di Dio, non è mai insignificante, la sua presenza ha un peso, è scomoda, perché è un testimone che può suscitare nei violenti quelle reazioni che portano, spesso, a situazioni tragiche. Credo che deve esserci molto cara la memoria di tanti preti che hanno sacrificato la vita, il cui martirio ci sprona a un serio impegno di vita, perché il sacerdote possa essere sempre, nella società, sale della terra e luce del mondo, e la sua presenza sia segno del Vangelo, che bussa alla porta delle coscienze e invita alla conversione e alla fedeltà. È importante poi che il prete senta il sostegno della comunità; ne percepisca l’affetto, l’accompagnamento e l’amicizia fraterna.

Come vivranno l’Anno della vita consacrata i sacerdoti appartenenti agli istituti religiosi?

Per i sacerdoti, appartenenti a istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, è un ulteriore impegno a vivere non solo il proprio stato clericale con dedizione, ma soprattutto a purificare quegli aspetti connessi alla consacrazione, vale a dire la fedeltà ai carismi e ai voti, che questi chierici hanno assunto. Mi riferirei soprattutto alla povertà e al distacco dai beni terreni, a vantaggio di un’attenzione speciale per i poveri, tante volte richiamata. Direi che chi è consacrato deve vivere al massimo questo carisma, per poter servire meglio questo mondo dalle mille povertà.

Quali sono le conseguenze della secolarizzazione nell’andamento delle vocazioni al sacerdozio?

Si tratta di un tema — la secolarizzazione — che sentiamo pesare e che ha portato a un allontanamento dalla vita cristiana, da una parte; dall’altra, facciamo anche l’esperienza che proprio in quest’abbandono nascono nel cuore tante necessità spirituali. Dio, che “scompare ” da una presenza visibile, pubblica, nelle società secolarizzate parla di più al cuore e si fa trovare da chi lo cerca. Come ha detto recentemente il Papa, Dio bussa alla porta, chiedendo di essere accolto. La secolarizzazione ha davvero generato solitudine, fragilità, isolamento, oscurità; Dio si fa presente in mezzo a queste esperienze umane di profonda precarietà. Il prete è chiamato a essere guida e sostegno, una piccola torcia che, in questa società intristita, è necessaria più che mai. Le vocazioni sono responsabilità di tutto il popolo di Dio; certo, gli scandali ci hanno umiliato, ma non devono indebolirci nell’impegno spirituale, nella preghiera, nella riparazione e, soprattutto, in una trasparente donazione di noi stessi agli altri. Circa il tema delle vocazioni e dei seminari, desidererei fare una raccomandazione: è necessario curare gli aspetti umani della personalità dei seminaristi, perché le ferite e le fragilità tipiche dei giovani di oggi non diventino “mortali” nella vita del prete. Se un seminarista quindi sente che non ce la fa nell’impegno di una vocazione particolarmente esigente, deve pensare che potrà essere un ottimo laico e potrà lavorare nella Chiesa a servizio della comunità, in una testimonianza di vita, oggi particolarmente eloquente, nell’ambito laicale, dove essere fedeli in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella vita pubblica, significa essere un faro luminoso, che richiama fortemente alla presenza di Dio nel mondo secolare di oggi. Abbiamo bisogno certo di sacerdoti, ma anche di fedeli laici che, consapevoli della propria identità cristiana, la manifestino, con coerenza e attraente simpatia, negli ambiti della vita quotidiana.