Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti
Ed. San Paolo
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22. Queste e altre considerazioni, e migliori, sono state fatte dai santi del passato, i quali parlarono con tanta severità contro le ricchezze degli ecclesiastici che sono state la spinta verso questi mali. San Girolamo nega che il chierico sia dalla parte di Dio se parte di lui è attaccata al mondo. Sant’Agostino non riceveva nessuno nel chiericato se questi non si spogliava delle proprietà e portava i suoi beni alla comunità. E, anche se poi cambiò questo intendimento a causa della debolezza di alcuni, si deve considerare con quanto peso disse le famose parole: «Qui non vult mecum manere et in communi vivere, habeat libertatem; sed videat utrum possit habere felicitatem [Colui che non vuole rimanere con me e vivere in comunità, è libero di farlo; ma consideri se così possa avere la felicità]» (14,42 c. Nullo item). Crisostomo dice di affermare con coraggio che non sta bene che il superiore abbia più del vitto e del vestito. E, per concludere questo con una sentenza certa, ascoltiamo il quarto Concilio di Cartagine, che dice: «Episcopus vilem supellectilem et mensam ac victum pauperem habeat; et dignitatis suae auctoritatem fidei et vitae meritis quaerat [Il vescovo si accontenti di suppellettile modesta e di mensa e vitto povero; e cerchi di fondare la sua autorità su meriti di fede e di vita]».
Scompaiano, quindi, gli idoli della superbia e l’intemperanza degli ecclesiastici; e capiscano che, se al vescovo, che è il gerarca e il superiore principale, il quale è giusto sia assai stimato per il bene di molti, sono vietate quelle pompe che essi chiamano onore della Chiesa, e gli viene comandato che con altro mezzo, diverso, cerchi l’onore della sua dignità, a fortiori sono loro interdette e si dichiara loro il modo in cui devono essere stimati da tutti gli uomini, e la Chiesa da loro. Questo è il modo di sentire della Chiesa e dei santi, i quali, comprendendo che le ricchezze sono occasione di molti mali, e che è difficile essere buoni e temperati se da esse si è circondati, e quindi occorre salvarsi da esse, secondo quanto dice il Vangelo (cfr. Mt 19,24; Me 10,25; Lc 18,25), vollero che i chierici non fossero ricchi, in modo che avessero una vita libera, così da poter servire Dio e avere un cammino sicuro e facile per guadagnarsi il suo regno.
E anche se tutto ciò dovesse scomparire, e tenessimo sempre presenti i grandi mali che i nostri occhi hanno visto venire dall’abbondanza goduta da taluni ecclesiastici, tutto ciò induce a temerne altrettanti o maggiori, se non vi si pone rimedio, nel futuro. E, anche se agli ecclesiastici virtuosi le ricchezze sono di aiuto per esercitare le virtù, tuttavia questi sono così pochi, e coloro che hanno cattive inclinazioni così tanti, e tanti i giovani liberi e senza virtù, che è giusto valutare ciò che più spesso si verifica, giacché a questo tipo di cose si oppongono le leggi, e occorre dare agli ecclesiastici una vita priva sia di mendicità che di ricchezze, che è la vita più sicura per coloro che non sono perfetti, e libertà di occuparsi interamente di Dio (cfr. Pr 30,8), assegnando loro una rendita ragionevole; in modo tale che non vi sia nessun beneficio (ecclesiastico) che non sia sufficiente a un mantenimento medio; e se vi fosse una rendita maggiore, allora vi si tolga ciò che avanza e si metta in mani sicure, senza che prima venga a passare per le mani del beneficiato, in modo che venga speso in questi collegi o in opere pie di misericordia. E la stessa cosa si faccia con la rendita dei superiori e delle fabbriche[1]; giacché, essendo in questo tutti uguali, il carico deve essere sopportato da tutti. E ciò non deve pesare a nessuno. Perché, se sono cattivi e spendono male la rendita, se ne devono rallegrare, dal momento che si toglie loro l’occasione di perdersi e li si aiuta a rispettare ciò a cui sono obbligati; e a coloro che spendono bene, si presti l’aiuto in modo tale che siano buoni con maggior fermezza. Ed è bene che si sottopongano a questa legge, anche se non ve ne è bisogno, perché i molti che vivono fuori di essa vi si assoggettino e perdano questo loro diritto per la grazia di molti, secondo l’esempio di nostro Signore, che si assoggettò per assoggettare noi.
[1] Fabbrica è l’organizzazione che provvede al mantenimento delle grandi cattedrali.