Lettura del Giorno

San Giovanni d'Ávila - Memoriali per il Concilio di Trento

SJA
San Giovanni d'Ávila

Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti

Ed. San Paolo

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21. Per concludere questo terzo punto delle rendite degli ecclesiastici, stupisce vedere quanto sia diverso il nostro modo di intendere rispetto alla Chiesa e ai santi di una volta. L’opinione comune attuale è che è oppor­tuno che gli ecclesiastici siano ricchi, in modo tale che possano mantenere i loro sottoposti e le loro case con servitù, muli, ornamenti, e altre cose simili. Il che dico­no sia conveniente per l’onore di Cristo e della Chiesa, della quale essi sono i ministri. E tuttavia, certamente in tutto ciò vi sono due mali; uno, nella vanità del tratta­mento, l’altro, peggiore, nel dire che questo va a vantag­gio dell’onore di Cristo e della sua Chiesa. Perché, se dicono la verità, allora chiaramente Gesù Cristo invero non la onorò, giacché non seguì questa strada; imo, la disonorò, giacché si comportò al contrario di come essi si comportano. L’onore della Chiesa è Gesù Cristo; al Quale essa dice: Tu es gloria mea (Sal 3,4); e l’onore di lei è celestiale e consiste nel disdegnare gli onori resi con sete e vestiti, e con simili pochezze, come se volessero ornare l’oro circondandolo di fango. L’onore dei mini­stri di Cristo consiste nel seguire il loro Signore, non solo nell’aspetto interiore, ma anche in quello esteriore; per­ché, così come Egli, vivendo nel mondo, fu la luce che svelò la verità ai mondani e diede loro ad intendere, con la sua parola e con il suo esempio, che c’è un’altra vita molto più alta, che deve essere anelata e guadagnata con il disprezzo di questa presente, così essi dovevano esse­re la luce del mondo e il sale della terra (Mt  5,13-14), dovevano testimoniare che il suo regno non è di questo mondo, e con il loro esempio avrebbero stimolato il po­polo debole a disprezzare le cose di quaggiù. Perché, se nei ministri di Cristo regnano queste vanità, a cosa si ri­volgerà la povera gente comune, dal momento che la loro luce si è spenta e il loro sale è andato perduto? Cosa ci si può aspettare dai maestri e dalle guide dell’umiltà e della temperanza presi come maestri degli insegnamen­ti contrari, se non che, camminando come ciechi dietro a ciechi, si cada tutti nella fossa (Lc 6,39)? Piacesse a Dio che gli ecclesiastici volessero vedere questo problema con occhi aperti, o almeno sentire ciò che dice di loro il popolo; perché certamente non direbbero che compor­tandosi in questo modo essi sono stimati, e, attraverso di loro, lo è la Chiesa. Piuttosto, capirebbero come, a causa di ciò, essi sono così poco stimati e considerati profani e giudicati come cattivi perfino dai più ignoranti, i quali pensano vi siano radici di superbia in quei cuori, veden­done uscire tanta abbondanza di frutti; e, mettendo a confronto la loro povertà con l’abbondanza e con la pompa degli ecclesiastici, maturano la scontentezza per la propria vita e l’invidia per quella loro: e, ciò che è peg­gio, si lamentano contro nostro Signore per tanta disu­guaglianza che egli ha messo fra gli uni e gli altri; e vor­rebbero rubare a questi, se potessero, chiamandoli con nomi infami, e asserendo che, fra tanti doni e tanta abbondanza, non staranno senza una donna; e in parte dicono la verità. Infatti, anche senza tutte queste cose è difficile fare a meno di essa. E con queste idee che si fanno di loro, perdono la devozione di andare a sentire le loro messe, e i loro canti, e i loro sermoni. E così, a poco a poco, scandalizzatisi, si allontanano dalla Chiesa, come lo ha fatto la Germania, ed è avvenuto quanto era scritto: Vos autem recessistis de via, et scandalizastis in via plurimos (Ml 2,8). Si deve intendere che, come la parte laica della cristianità deve essere luce in medio nationis pravae, sicut luminaria, al dire di san Paolo (Fil 2,15), perché, attraverso la loro vita, gli infedeli possano cono­scere Cristo, così gli ecclesiastici hanno il compito di essere luce per i cristiani comuni e di farli avvicinare alla stima e all’amore della Chiesa e della sua virtù. Ci si chie­da che stima avessero ai tempi passati i re e gli impera­tori di una persona ecclesiastica; e oggi quanto manca tutto ciò. E non per altra ragione, se non perché allora credevano che Dio fosse presente negli ecclesiastici, e che chi li avesse irritati, avrebbe irritato Dio stesso. E ora credono, da quello che vedono, che non dimora in essi virtù celestiale, ma debolezza mondana e ambiziosa su­perbia, con altre mille macchie che perfino le pietre gri­dano allo scandalo. Non si dica, quindi, che con queste pompe sono onorati, giacché in verità con esse sono disonorati, e i laici vengono allontanati da Cristo, dalla Chiesa e dalla virtù.