Lettura del Giorno

San Giovanni d'Ávila - Memoriali per il Concilio di Trento

SJA
San Giovanni d'Ávila

Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti

Ed. San Paolo

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3. Rendite per l’educazione dei candidati]

19. E poiché potrebbe darsi che tutto quanto appena detto sulla scelta sia accolto con favore, ma la sua realiz­zazione risulti impossibile o difficile a causa degli ingenti fondi necessari a questo officio, sarà bene fare un esem­pio concreto di una diocesi media, in base alla quale, fatte le dovute proporzioni, si opererà nelle altre; e sarà chiara, allora, la facilità con cui si potrà realizzare il tutto.

Poniamo che una città abbia dieci parrocchie, nelle quali, mettendo insieme le più grandi e le più piccole, sa­ranno necessarie, per ciascuna, al più, quattro persone fra sacerdoti e confessori, il che fa quaranta. E poniamo che questa diocesi abbia quindici centri con una discre­ta popolazione, nei quali vi sia necessità, tenendo conto di quelli grandi e di quelli piccoli, di altre quattro per­sone fra sacerdoti e confessori, il che, sommato tutto, fa sessanta. Mettendoli insieme con i precedenti quaranta si arriva a cento, che è il numero di sacerdoti e confes­sori di cui era fornita detta diocesi. Ovviamente, perché uno inizi a svolgere il proprio servizio è necessario che muoia o manchi un altro che prima lo svolgeva, e quin­di non è necessario che nel collegio ve ne siano tanti quanti in quel momento sono a servizio nelle chiese. Sem­bra che basti che ve ne sia un terzo, in modo che, man mano che vengono a mancare, essi sostituiscano coloro che svolgono il servizio. Ed è senz’altro ragionevole cre­dere che saranno più essi ad aspettare di andare nelle parrocchie e uscire dal collegio, che non le parrocchie ad aspettare loro. Di modo che vi sarà necessità di un col­legio con trentatré studenti che devono diventare sa­cerdoti e confessori. Ora passiamo al tema dei predicatori. Sembra che sia sufficiente che in una città come questa vi siano sei pre­dicatori che si avvarranno dell’aiuto dei religiosi; e per quindici centri saranno sufficienti venti predicatori, e sa­ranno in tutto ventisei. Poiché non tutti coloro che stu­diano per diventare predicatori poi sono in grado di farlo, sarebbe bene selezionarne più di un terzo per la formazione. Se ne scelgano, per averne ventisei, quindi­ci, che è più della metà, che dovranno stare in un altro collegio. E si vedrà come, per il mantenimento di qua­rantotto persone, che è la somma degli uni e degli altri, basteranno appena duemila ducati di rendita. E vi sono alcuni paesi che hanno una chiesa parrocchiale così ricca di benefici (ecclesiastici) da poter provvedere da sola a tutta questa spesa, e in questo caso non vi sarà di che preoccuparsi.

E in tutto ciò non bisogna spendere molto tempo, perché con prestiti e ricche fabbricerie e aggiungendovi altri profitti, questi importi si potranno trovare con gran­de facilità. E se non sarà possibile trovarli in tal modo, togliendo tre o quattro razioni e altrettanti canonicati al­la chiesa cattedrale, ne avanzerebbe un bel po’. E così sa­rebbe ben fatto; dal momento che, se si paragona con il confessare, il predicare e la cura delle anime, poca cosa è cantare nel coro; anzi, anche se venissero tolti, non per questo ci sarebbero meno voci, dal momento che non tutti i canonici e i prebendari cantano.

E si aggiunga a questo che alcuni dei collegiali avran­no un patrimonio, con il quale è giusto che si mantengano. E lo faranno volentieri, sapendo che non potranno diventare chierici se non passando per il collegio. E se vogliamo raccogliere molti fondi per questa spesa, venga ordinato che colui che è stato collegiale, sempreché rice­va una prebenda che non sia molto bassa, sia poi obbli­gato a mantenere un collegiale. E con quanto detto e quanto diremo, e con tutto ciò che si può dire, sembra chiaro che, se c’è la volontà in questo santo concilio, non ci saranno difficoltà per quest’opera, ma piuttosto molta facilità, giacché dobbiamo credere che nostro Signore ci assisterà, dal momento che lo fa anche in opere di mino­re pietà.