Lettura del Giorno

San Giovanni d'Ávila - Memoriali per il Concilio di Trento

SJA
San Giovanni d'Ávila

Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti

Ed. San Paolo

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[2. Scelta dei candidati]

16. Fino qui abbiamo detto dell’educazione dei chie­rici. Resta ancora da dire della scelta di coloro che devo­no essere selezionati per questa formazione, giacché in­dovinare in questa scelta è la cosa più proficua. Infatti, quando la buona educazione si riversa in un buon reci­piente, si realizza una cosa perfetta; e quando il sogget­to non è capace, non è più proficuo trattare dell’educa­zione di quanto lo sia scrivere de agrorum cultu sterilibus terris [sulla coltivazione dei campi in terre sterili].

Ciò che, a causa dei nostri peccati, abbiamo visto es­sere frequente, per quanto riguarda l’accedere allo sta­tus ecclesiastico, è che si abbraccia, come abbiamo detto prima, quasi fosse un officio come tanti altri, vale a dire per avere di che mangiare senza dover lavorare, attratti dal denaro e dalle regalie, e non da Dio. Ed entrando in tal modo, non dalla porta, ma dalla siepe (Gv 10,10), cosa devono fare se non uccidere e distruggere, come i ladri che sono, giacché la vita, come la si inizia, così la si finisce? Chi non dubita, d’altronde, che il sangue delle anime del popolo cristiano è versato per le cattive opere e le cattive parole e per la negligenza dei cattivi ecclesia­stici? E cosa possiamo credere, se non che le sferzate che arrivano alla Chiesa sono causate soprattutto dai pecca­ti degli ecclesiastici? E allora, se, per il sangue di Cristo che è stato sparso una sola volta, Dio ha castigato così severamente Gerusalemme e le sue terre, non ci castighe­rà Egli tante volte quanti sono i sacerdoti che consacra­no e ricevono Gesù Cristo indegnamente, ciò che è un peccato pari a quello di crocifiggerlo? Geremia lamenta che i mali del suo tempo sono venuti per questo, e dice: Propter peccata prophetarum et sacerdotum, qui effuderunt sanguinem in medio Ierusalem (Lam 4,13). E lo stes­so possiamo piangere noi nel nostro tempo, e pensare che la carneficina di anime che vediamo morire è causa della cattiveria o della negligenza degli ecclesiastici, e che l’effetto di questo male sono le sferzate che Dio ci invia. E la causa di questo male è che nella Chiesa ci sono uo­mini indegni e che sono entrati dalla porta sbagliata. Si chiuda questo accesso così nefasto, e i suoi effetti perni­ciosi cesseranno. E così faremo se ci atteniamo alla Scrit­tura, che dice: Nemo sibi sumit hunc honorem, sed qui vocatur a Deo, tamquam Aaron (Eb 5,4). E parimenti ces­serebbero questi effetti, se ci attenessimo anche all’uso degli apostoli, che era quello di cercare fra i credenti per­sone di buona fama per chiamarle al servizio della Chie­sa, senza badare alla loro professione, anche se era molto lontana da quella del sacerdozio, né prendere in consi­derazione qualsiasi altra cosa, ma tenendo soltanto conto del fatto che erano più religiose e sagge.

17. Allora, secondo questa autorità e questo esempio, coloro che dovranno essere scelti per questi collegi siano fra i migliori che ci sono in tutto il paese, e il vescovo fac­cia profonde ricerche su ciò e su coloro che il concilio gli indicherà. E in questo modo saranno chiamati e non risucchiati, ed entreranno dalla porta dell’obbedienza e della chiamata di Dio, da dove entrano i suoi ministri nel santuario, senza che vi si introducano con sfacciataggi­ne e superbia. E questo è il cammino più sicuro e certo che la prudenza umana può trovare, dal momento che non dobbiamo chiedere rivelazione particolare da Dio, né aspettare la buona sorte. E si deve far uso di massima diligenza in questa scelta, perché non sia preferito il più dotto al più virtuoso, né le lettere prevalgano sulla virtù. Perché per questo si ordinano i collegi, per sopperire a tali mancanze, e perché, come prendendo per mano una persona virtuosa, la Chiesa si prenda la responsabilità di istruirla e formarla per la sua costruzione. Né sia di di­sturbo l’officio o altra cosa simile, dove appare che ci sia virtù. Piuttosto, dall’aratro, dalla campagna (Sal 77,70) e da post foetantes, se ve ne fosse bisogno, si scelga colui che la virtù e la grazia dovranno rendere abile per que­sto officio. Ché, per esperienza, tutti sanno che un sacer­dote, ben selezionato, che non sia letterato, né ricco, né di alta condizione, quasi mai ha apportato danno alla Chiesa, mentre la malizia armata di lettere e di dignità l’ha sempre danneggiata.