Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti
Ed. San Paolo
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[Rimedio particolate: educazione dei candidati allo status ecclesiastico]
8. Allora, andando più nei particolari, e passando a dare le disposizioni necessarie per realizzare quanto sopra esposto, citerò tre punti principali sulla riforma della vita degli ecclesiastici; e per primo parlerò dell’educazione con cui devono essere formati; in secondo luogo, il modo in cui devono essere scelti; in terzo luogo, come devono essere curati nel corpo.
[1. Necessità e condizioni dell’educazione dei candidati]
9. Per quanto si riferisce al primo punto, già è chiaro che ciò a cui questo santo concilio aspira è il bene e la riforma della Chiesa. E a questo scopo, è chiaro, pari- menti, che il rimedio è la riforma dei suoi ministri. E giacché questo è il mezzo per ottenere il bene a cui si aspira, ne consegue che tutto l’obiettivo di questo santo concilio deve consistere nel dare ordini sul modo in cui questi ministri siano all’altezza di una carica così alta.
Sia quindi questa la conclusione: si diano ordini e modo perché siano educati ad essere tali; e che è necessario che tutta la questione venga affrontata a priori, e che occorre essere certi che, se la Chiesa vuole avere buoni ministri, sarà conveniente che li renda tali; e, se vuole avere la gioia di avere buoni medici delle anime, deve rendersi responsabile della loro formazione e applicarsi in questo compito; altrimenti, non raggiungerà ciò che desidera.
Sembra chiaro, quindi, che sia necessario agire in questo modo, dal momento che, per tutti i generi di cose che ci sono sulla terra, desideriamo che esse siano perfette: dall’uomo, fino alle piante. L’albero che deve crescere dritto sarà d’uopo, già da piccolo, guidarlo e indirizzarlo perché così si formi. Il cavallo e la mula, perché imparino a tenere il passo, prima di tutto devono essere guidati da chi li deve addomesticare. In tutti i mestieri umani, il buon lavoratore non nasce già tale, ma deve diventarlo. Il medico, l’avvocato, il falegname, il ciabattino e tutti gli altri mestieri, hanno i loro anni di apprendistato e tirocinio perché si impari a poco a poco ciò che poi si sarà in grado di esercitare senza pericolo. Quindi - dato che essere sacerdoti, anche se consisterà semplicemente nell’essere confessore o predicatore, curato o pastore, significa una cosa di così grande perfezione e di tanta difficoltà perché venga fatta bene -, che ragione vi è perché non ci sia bisogno del tempo necessario per imparare l’arte che poi si deve esercitare, soprattutto visto che si tratta di un’arte che dovrà essere appresa molto bene e il cui frutto, per giunta, risponde alla diligenza e al lavoro di colui che la impara? Quindi è chiaro che, per raggiungere conoscenza e virtù, è importante la buona • formazione, forse ancor più della natura stessa. E dove l’educazione non bastasse per rendere buoni e dotti, almeno servirebbe affinché la Chiesa possieda una pietra di paragone che indichi coloro che non sono adatti a diventare ecclesiastici, e non affidi loro ciò che non meritano. Il che non è cosa da disprezzare.
10. Tornando quindi alla questione, poiché questo mestiere riveste maggior importanza rispetto ad altri, dal momento che da esso dipende la salvezza delle anime, e poiché è importante, perché possa essere svolto, per prima cosa esservi ben formati, quale grande vergogna sarebbe, allora, se - giacché nelle cose terrene in una repubblica non si permette a un funzionario di lavorare prima che abbia imparato il mestiere - si permettesse che nella Chiesa vi sia un ministro che non è mai stato formato per esserlo? Se una nostra bestia si ammala, non osiamo certo affidarla a un veterinario, se questi non ha prima imparato il suo mestiere; oseremmo, allora, affidare un’anima inferma, per la quale Dio è morto, a un medico che non ha mai imparato a curare?
Esaminiamo bene dunque tale questione e osserviamola da vicino e con occhi ben aperti, giacché grande è la sua importanza, e chiediamoci: dei giovani che vengono formati per la Chiesa, non perché sono stati chiamati da Dio o dai loro vescovi, ma perché, quando sono nati, sono stati destinati dai loro genitori alla Chiesa o perché dopo la loro nascita, sono stati destinati al titolo di cappellata per eredità familiare; oppure, costretti dalla necessità, essi stessi hanno scelto lo status; costoro quindi, allevati in pericolosa libertà, senza maestri, senza raccoglimento virtuoso, con il fervore dell’età e circondati dalle possibili scelte del mondo, non conoscendo altra legge se non il loro cattivo appetito, come potranno, se vengono da una condizione così nefasta, essere improvvisamente adatti allo status della grandezza sacerdotale, della cui dignità gli angeli sono ammirati? E non ne tremerebbero, se la dovessero esercitare? E come potranno allora essere confessori, che è un mestiere che consiste nel rendere buoni e guarire le piaghe dell’anima, cosa che è opera dello Spirito Santo o di coloro che sono pieni dello Spirito Santo? Cosa ci si può aspettare da radici così cattive, se non i frutti amari che vediamo e di cui sentiamo, che fanno piangere la santa Madre Chiesa e che gettano nel fango il nome cristiano, a motivo della loro infedeltà? Sia quindi questa la conclusione, nella quale non ci deve essere dubbio né scrupolo: se la Chiesa vuole avere buoni ministri, deve provvedere alla loro buona educazione, perché altrimenti, aspettarseli comunque è segno di grande stoltezza.