Lettura del Giorno

San Giovanni d'Ávila - Memoriali per il Concilio di Trento

SJA
San Giovanni d'Ávila

Dagli scritti di San Giovanni d'Ávila, maestro di evangelizzatori - Scritti scelti

Ed. San Paolo

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[Rimedio generale: rendere più difficile entrare a far parte degli ecclesiastici]

6.    Ciò che ha nociuto a tutto il chiericato è stato il fatto che ne è entrata a far parte anche gente profana, che non conosce la statura della condizione che abbrac­cia, ed è governata da spirito di cupidigia terrena. Una volta entrati individui siffatti, sono poi stati allevati in uno stato di libertà dannosa, senza la disciplina degli studi delle lettere e della virtù. E così siamo giunti a un male tanto estremo, come al tempo di Geroboamo, che, quicumque volebat, implebat manum, et fiebat sacerdos (lRe 13,33). Si potrebbe cadere più in basso? Chiunque lo voglia, con un breve di Roma in poco tempo viene ordinato sacerdote, per il suo male, e quello di chi lo ha ordinato, e di tutta la Chiesa, il che ci porta alla condi­zione in cui ci troviamo. Conviene che né l’entrare sia così facile, né la vita sia così sregolata, cosicché vengano esclusi coloro i quali cercano benefici nella Chiesa e ven­gano invece ammessi coloro che sono adatti a diventare ministri di Dio.

Vi sono alcune persone che vedono e piangono que­sto male e, desiderando porvi rimedio, chiedono quale mezzo possa esserci perché non vi siano tanti chierici e perché non siano così cattivi. A questi tali io risponde­rei che non ve n’è che uno, o quanto meno uno, che è il più importante. Che la vita ecclesiastica venga ordinata in modo tale che non sia sopportabile se non per i vir­tuosi o per coloro che cercano di esserlo, e in questo modo ci saranno pochi chierici, perché pochi sono i vir­tuosi e coloro che veramente vogliono esserlo; e la vita regolare e spirituale sarà essa stessa a mandare via i cat­tivi, i quali scapperanno via da sé, anche se gli verrà chie­sto di rimanervi. E se in questo modo non viene loro chiusa la porta, non vi sarà nessun altro modo per farlo. O, se si volesse trovarne un altro, forse ne verrebbero esclusi coloro che dovrebbero essere ammessi, o ammes­si coloro che dovrebbero esserne esclusi. Solo colui che vuole avere Dio pro parte, ut Hieronimus ait, venga am­messo fra i chierici, giacché ha la verità del nome. E colui che non mira a ciò, passerà attraverso un cammino di spine, e non dalla porta legittima. E quindi, sarà un la­dro, che ha intrapreso il mestiere altrui a danno proprio e di molti.

L’esperienza ci dice che a Roma non vi è persona che procuri bolle perché si venga ammessi come frati in un qualsiasi Ordine stretto; imo, nessuno vuole diventarlo, anche se gli viene chiesto. E ci sono invece molti che le procurano per diventare chierici e per ottenere preben­de. Perché, secondo loro, lo status ecclesiastico si confà con la superbia della vita e con la cupidigia della carne e degli occhi, e intendono per regno di Dio il regno del mondo.

7. Beati erano quei tempi, in cui non vi era nella Chie­sa alcuna cosa temporale da cercare, ma piuttosto avver­sità e angosce da sopportare. E vi entrava solo colui che per amore del Cristo Crocifisso si offriva a sopportare questi mali nella vita terrena con una certa speranza di regnare con Lui nel cielo. E tuttavia adesso, visto che nella Chiesa vi è tanta abbondanza di carne putrefatta, certamente i corvi ne sentono l’odore, e da lontano. Chi li fermerà, allora, in modo che non si avvicinino, affama­ti e pronti a mangiarsela, fino a beccarsi e a graffiarsi gli uni gli altri nel contendersela? Non li ferma né il timore né l’amore di Dio, perché non est Deus in conspectu eorum (Sal 10,5); né, tanto meno, vi saranno leggi, o castighi . inflitti o da infliggere. Né potrà bastare per fermare la loro fame rabbiosa alcuna di queste cose se, d’altra parte, non si trova un rimedio; il quale, ed è unico, sta nel met­terli di fronte a una vita così virtuosa, che, a causa della loro cattiveria, ne provino una tale repulsione, da non osare avvicinarvisi, e vadano fuggendo i cattivi corvi che venivano a cercare carne morta, trovando, invece di car­ne morta, vita e spirito vivo. In modo tale che, anche se invitati e importunati, non vorranno entrarvi.