Dagli scritti di San Giovanni Crisostomo sul sacerdozio.
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L’eloquenza esige un costante esercizio per conservare la sua efficacia
IV. Ma non potrà sottrarsi a un assiduo travaglio neppure quando possieda gran potenza di parola, cosa che non è facile trovare se non in pochi; poiché, essendo l’eloquenza frutto di studio anziché dono di natura, quando pure alcuno ne abbia raggiunto il culmine, ne perde affatto l’esercizio se non alimenta questa sua facoltà con costante diligenza e fatica; onde il travaglio diviene maggiore per i più istruiti che per i più idioti; non è infatti eguale a questi e a quelli il danno della trascuratezza, ma è di tanto maggiore, di quanto diverso è il corredo di cultura degli uni e degli altri. A questi ultimi nessuno muoverebbe rimprovero se parlando espongono solo inezie; quelli invece se non mettono in mostra cose sempre superiori alla fama in che tutti li tengono, subito sono fatti segno a critiche; inoltre agli altri si prodigano grandi elogi anche per piccolo merito, ma se i pregi di quelli non sono molto meravigliosi e abbaglianti, non soltanto si nega loro la lode, ma anche si scagliano loro contro numerosi vituperi; già, gli uditori siedono giudici non tanto delle cose dette, quanto del dicitore, onde quanto più uno supera tutti gli altri nell’eloquenza, tanto più gli è d’uopo di laboriosa cura. A lui invero non è lecito soggiacere nemmeno a ciò che è comune alla natura umana, cioè al non fare perfettamente ogni cosa, ma se i suoi discorsi non sono proporzionati all’altezza della sua rinomanza, ne esce carico degli scherni e delle critiche innumerevoli di tutti. Nessuno considera che un abbattimento sopravvenuto, le lotte e le preoccupazioni, spesso anche l’irritazione, possono oscurare la limpidezza del pensiero e impedire che i concetti vengano espressi con chiarezza, né che essendo egli in tutto uomo, non gli è possibile mantenersi sempre dello stesso umore e sempre col vento in poppa, ma naturalmente deve talvolta venire meno e mostrarsi al disotto del proprio livello; nulla, come dico, di tutto questo vogliono considerare, ma gli fan colpa di tutto come se giudicassero d’un angelo. È poi particolarmente proprio dell’uomo il far poco caso di grandi e numerosi pregi che si trovino in persona vicina; se invece in essa appaia una colpa, per quanto piccola e d’antica data, ognuno se ne accorge tosto, se ne fa severo censore e a ogni occasione vi ritorna sopra; onde spesso un difetto piccolo e comune sminuì la fama di molti e grandi uomini.
V. Vedi, o ottimo, che v’è bisogno di operosità sopra tutto per chi è fornito d’eloquenza; e oltre all’operosità gli occorre anche tanta tolleranza quanta non ne occorre a tutti quelli di cui ti ho parlato sopra. Molti infatti gli si oppongono di continuo senza ragionare, nulla avendo da rinfacciargli, ma solo eccitati dall’essere egli in fama presso tutti: bisogna ch’egli sappia sopportare la fastidiosa gelosia di costoro. Non riuscendo essi a celare quest’odio loro maledetto, che ingiustamente nutrono, vengono a ingiurie, a maligne critiche, calunniando di nascosto e imperversando a faccia aperta; onde un’anima che cominciasse ad affliggersi e irritarsi per ciascuno di questi incontri, morrebbe anzi tempo di crepacuore. Non solo da se stessi gli fanno guerra, ma s’adoperano anche per avere l’aiuto di altri; e spesso scelto qualcuno che non sa affatto ben parlare, cominciano a levarlo a cielo con lodi, e vanno magnificandolo oltre il suo merito, gli uni facendo ciò per ignoranza, gli. altri per ignoranza ed invidia al tempo stesso, più per togliere la fama a quell’altro, che per far apparire mirabile chi in realtà non è tale. Ma quel generoso non ha da combattere soltanto contro costoro, bensì spesso anche contro la rozzezza di tutto il popolo. Poiché il pubblico non è composto tutto di uomini eccellenti, ma la maggior parte dell’assemblea sono gente volgare, mentre gli altri poi, pur essendo più istruiti dei primi, tuttavia sono lontani dal poter apprezzare l’eloquenza molto più di quanto il volgo sia al disotto di loro; sicché rimangono a stento uno o due che possiedano tale capacità. Quindi accade necessariamente che chi meglio parla, spesso raccoglie minori applausi e talvolta persino ne rimane privo affatto. Anche di fronte a questi ingiusti apprezzamenti deve comportarsi con fortezza e perdonare a quelli che ciò fanno per ignoranza, e quelli che invece vi sono spinti da invidia, compiangerli come miserabili e degni di pietà; né deve stimare che il suo valore venga menomato per i giudizi sì degli uni che degli altri. Ché anche un eccellente pittore e superiore nell’arte a tutti gli altri, qualora vedesse un quadro dipinto da lui con ogni cura censurato da profani, non avrebbe per certo da avvilirsi e riputare cattiva l’opera sua in forza del giudizio di quelli; come nemmeno dovrebbe giudicare meravigliosa e affascinante un’opera in sé cattiva, sol perché desta l’ammirazione degli idioti. L’artefice ottimo dev’essere anche giudice lui solo delle opere sue, e queste s’hanno a ritenere buone o cattive quando l’intelletto che le ha prodotte avrà dato questi suffragi, senza neppur badare all’opinione degli estranei, soggetta a errore e incompetente. Ora chi affronta il cimento del magistero non deve badare agli elogi degli estranei, né l’anima sua deve essere abbattuta qualora gli siano negati, ma componendo i suoi discorsi in guisa da piacere a Dio (questo dev’essere per lui il criterio supremo per giudicare dell’ottima fattura d’essi, non gli applausi, né gli elogi), se verrà lodato anche dagli uomini, non rifiuti i loro encomi, ma se gli uditori non glie ne concedono, non ne vada in cerca né se ne affligga. Sufficiente sollievo delle fatiche, e maggiore di ogni altro sarà per lui la coscienza del suo sforzo di indirizzare e disporre il suo insegnamento in modo da incontrare l’approvazione divina.