Lettura del Giorno

Il sacerdote alla luce del Vaticano II [Cap 3]

Luciani Patriarca
Albino Luciani

L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote alla luce del Vaticano II


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Concludiamo

1.     Sul sacerdozio — l'abbiamo visto — esiste oggi una vasta pro­blematica. Non lasciamoci turbare o mettere in aspettativa da essa. « La nostra gioia di essere preti non riposa sopra una migliore defi­nizione del sacerdozio . . . ma sopra la confidenza totale che noi mettia­mo nel Signore, -che ci ha chiamati nella nostra debolezza a partecipare al suo ministero » 74.

La vera riforma non si aspetti in prevalenza dalle rinnovate « strut­ture » esterne, ma dalla « metànoia » interna, nostra. Così ha inteso Cristo. Così hanno praticato i santi, riformatori di se stessi.

2.     Tra i vari problemi, il più grave non è il celibato o il lavoro manuale o la partecipazione attiva alla vita dei partiti. Il problema più grave verte circa l'essenza del sacerdozio. Qui infatti si tocca la fede, che è la cosa più preziosa della nostra vita. Per non metterla in pericolo, stiamo ancorati alla vita di preghiera; siamo cauti nelle let­ture; aggiorniamoci, sì, con studio costante e non superficiale, ma diffi­diamo di chi critica acidamente la Chiesa, di chi ci spinge a rivedere e a rigettare — senza caute e severe verifiche — tutto l’insegnamento teo­logico ricevuto o ci propone un « orizzontalismo », che fa trovare Cri­sto soltanto nei poveri con lo sprezzo di ogni « ritualismo » o « intellet­tualismo clerical-borghese » (così scrivono). E non andiamo — per pia­cere! — avanti solo a base di sociologia religiosa, ma anche di buona teologia. Armato di precisi dati statistici il sacerdote ha certo in mano un buon termometro, che segna la temperatura religiosa di una zona. Ma solo se è nutrito di buona teologia e di vita spirituale, egli diventa un termostato, che trasforma e regola, la temperatura religiosa della parrocchia e della diocesi!

3.     Una tensione prolungata, acuita e addirittura radicalizzata tra « Vaticano III » e « Vaticano I » può portare ai seguenti non piccoli danni: grande ritardo nell'attuazione dei decreti conciliari; angoscioso smarrimento dei fedeli che non sanno più a chi credere, se alla « sini­stra progressista » o alla « destra conservatrice »; disappunto, delusione e ostilità specialmente dei giovani verso l’autorità con seguito di defe­zioni di sacerdoti, suore e laici, che si allontanano dalla Chiesa accusandola di rimandare sine die le riforme, di non capire i tempi, di rimanere estranea alla vita. Questi pericoli, tutt'altro che ipotetici, devono dare una spinta al preciso dovere che hanno i sacerdoti di promuovere un'attuazione del Concilio graduale e prudente, sì, ma nel medesimo tempo decisa e ben chiara.

4.     Può darsi che l'invio di sacerdoti lavoratori nel vivo dell’am­biente operaio si riveli rimedio estremo. Ma prima dell'estremo, non ci sono gradi e spazi intermedi? Cosa facciamo noi — me lo chiedo io stesso — per capire, valutare e ascoltare i lavoratori e per sensibiliz­zare tutta la comunità (diocesana o parrocchiale) ai problemi numerosi (sempre più urgenti e sinora non risolti) del lavoro? In altre parole: mettere eventuali riserve o more o remore all'introduzione di sacerdoti­lavoratori non deve significare essere tiepidi o trascurati nei confronti di una pastorale del lavoro più intelligente e incisiva. Tutt'altro!

5.     Le conseguenze della problematica agitata — direi — forsen­natamente, ricadono sulle vocazioni.

Dicono i genitori: — Perché mandar in Seminario il figliolo, se, fatto sacerdote, sarà domani quell'ansioso, quel solitario, quel discusso, quell'insicuro, che si legge sulla stampa? se domani ci darà la vergo­gna di una defezione?

Dicono i giovani: — Perché andar prete, se, diventando sindaca­lista o missionario laico, posso aiutare i « poveri » tanto e più che da sacerdote? se sacerdozio comune e ministeriale pressapoco si equi­valgono?

Dicono i preti giovani: — Perché coltivare chierichetti e avviarne qualcuno al sacerdozio, se il Seminario minore ha fatto il suo tempo? se diventar sacerdoti non è un rispondere a Dio che chiama, ma un semplice lasciarsi prendere ed afferrare dal popolo e per il popolo?

Cari sacerdoti, proprio a causa di tutti questi interrogativi, a causa di questa specie di allergia che provano oggi alcuni per l'azione pasto­rale a favore delle vocazioni, se c'è un tempo in cui bisogna amare e aiutare il Seminario, diffondere idee giuste sul sacerdozio, sul sano « nuovo corso » che stanno imboccando i Seminari, occuparsi con zelo, intelligenza e prudenza di vocazioni, se c’è un tempo in cui bisogna diventare modelli di splendente e attraente vita sacerdotale, è proprio questo!

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74  L’Osservatore Romano, 8-12-1968.

75 Paolo VI, Discorso ai quaresimalisti, in AAS, marzo 1966, pag. 229.