L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote alla luce del Vaticano II
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4. Riforma dei Seminari. Qui gli slogans sono: veracità, libertà, spontaneità, autenticità, aggiornamento, dialogo, riscoperta e rispetto della personalità umana, maturità. E con questi nomi in bocca si parte per contestare molte cose: la stessa esistenza del Seminario minore, il sistema di formazione, la disciplina tradizionale, l'autorità.
D'accordo sui nomi invocati: sono nomi sacrosanti, ma sono sempre capiti bene? La spontaneità non è spesso confusa con il ghiribizzo? La libertà con il dipendere da nessuno? Montesquieu è considerato padre del liberalismo politico, eppure ha scritto: « La libertà non è l'indipendenza: non consiste nel fare ciò che si vuole, ma nel poter fare ciò che si deve »! La veracità e l'autenticità sono cose buonissime, ma non tutta la virtù. Aggiornamento, invece che ritorno alle origini, non significa talora adeguamento alle mode educative del mondo e rifiuto di tutto ciò che dà fastidio?
L'abolizione dei Seminari minori non è voluta dal Concilio, che, viceversa, dedica il n. 3 della OT a ottime norme per la « formazione spirituale e intellettuale dei Seminari minori »66. Difetti ed errori nell'educazione in essi impartita nel passato non si possono negare: imperfezioni e limiti nel futuro — anche dopo i perfezionamenti desiderati dal Concilio ed ora in fase di attuazione un po’ ovunque — si possono prevedere. Ma voi, cosa proponete di meglio (e di collaudato!) al posto di questi Seminari?
La famiglia! dice qualcuno. Ma essa non può arrivare dappertutto, specialmente se ci sono dei germi di vocazione da proteggere. D'altra parte, il Concilio prevede appunto che Seminario e famiglia si completino a vicenda (« Superiori. .. coadiuvati opportunamente dai genitori »67).
Inviamo i ragazzi alle scuole statali! dice qualche altro. Ecco la questione! Credo che nessuno di noi possa dubitare che l'ideale sia di impartire l'istruzione delle Scuole medie in casa nostra con insegnanti preparati e qualificati dopo aver parificato la scuola. Purtroppo, non sempre la cosa è possibile: nelle piccole diocesi le classi — specialmente di Liceo — sono oggi poco numerose ed i professori non posseggono tutti titolo accademico. D'altra parte, oggi si esige che ogni alunno conseguisca un diploma di scuola media superiore; ciò è bene per la necessaria libertà di scelta e per spronare l’alunno stesso a fare virilmente degli sforzi e conseguire una patente di maturità almeno intellettuale, se non ancora affettiva, psicologica e umana! Alcuni vescovi e Superiori religiosi, rinunciando ad un optimum vagheggiato, hanno dovuto — usando naturalmente le opportune cautele e sapendo di andare incontro a probabili rischi — inviare i loro studenti ad altre scuole: ecclesiastico-pareggiate, se possibile; altrimenti, statali. Ciò, specialmente dopo le disposizioni della Legge Sullo, che rendono gli esami molto più onerosi per i privatisti che per gli altri alunni, creando difficoltà almeno psicologiche ai seminaristi e alle loro famiglie.
Si verifica un fenomeno: se i Seminari minori sono contestati dall’esterno (di solito invocando criteri educativi talora apprezzabili ma,
lo ripeto, non collaudati!), i Seminari maggiori sono contestati più dall’interno e cioè dai chierici e talora dai professori. La disciplina, per esempio, per un processo di elefantiasi psicologica, viene presentata quasi un'Inquisizione, una tortura medievale. Chi la chiede è quasi un Attila, un Gengiskan, un Tamerlano inficiato di autoritarismo e di giuridismo; se poi la chiede con garbo e umiltà è un « paternalista », che assume le maniere del padre per carpire ciò che personalmente gli torna conto carpire.
Di fronte à questa situazione s'impone una doppia rieducazione: dei Superiori, che sappiano comandare nel modo adatto e che concedano volentieri ciò che oggi sarebbe dannoso o ingiusto o inopportuno negare, e degli alunni. Questi bisognerà convincerli, nei modi adatti, che l'obbedienza non è affatto cancellata dal novero delle virtù cristiane e sacerdotali con l’avvento dei tempi nuovi; che, pur ardua, essa è possibile e feconda di ottimi frutti; che la disciplina non va subita per forza, ma accettata volonterosamente; che essa, se inizialmente è esterna e fatta di direttive proposte dal di fuori, in un secondo tempo, accettata e voluta, diventa interna, personale, si fa auto-disciplina; che essa non è attentato alla libertà del chierico, ma palestra, in cui egli si allena a dominarsi, a portare e amare la Croce, a pervenire a vera maturità umana.
Oggi sono di moda i « gruppi ». Si introducono anche nei Seminari. È bene, se, rispettando l'istituzione del Seminario, essi si limitano a perseguire questa o quella settoriale meta determinata in un contesto di lavoro comunitario. Ma apprendo dalla stampa che qualcuno intende i « gruppi » in modo diverso. Si fa cioè il « gruppo »; si sceglie un capo; e il capo guida i soci verso mete, che piacciono al « gruppo », prescindendo dal Rettore e dal Seminario, vanificando l'uno e l'altro, spesso osteggiandoli addirittura. È quindi un « gruppo », che sostituisce e soppianta il Seminario. Si dirà: perché questi buoni figlioli rifiutano l'autorità del Rettore e gradiscono quella del capo? Perché escludono il Seminario e accettano il « gruppo »? Vi rispondono: Perché il Seminario è cosa artificiale e tutto vi è prefissato, calcolato, imposto dall'esterno; il « gruppo », invece, è spontaneo, valido, autentico, caldo di umana amicizia, ricco di esperienze impreviste.
S'è tentato — a titolo di esperimento — una onesta « contaminatio » tra atti previsti dalla regola e atti lasciati alla libera iniziativa di singoli o di gruppi; tra esercizi di pietà comunitari ed esercizi del singolo. L'iniziativa sembra felicemente riuscita in qualche luogo: altrove non mancano seminaristi, che la respingono sdegnosamente come « paternalistica » e anzi rifiutano il Seminario in blocco, dovendo i preti, secondo l'idea di Ivan Illich, venir presi dai diversi gruppi sociali e lasciati nel loro stato di vita: operai, insegnanti, impiegati, professionisti, celibi, sposati o vedovi che siano.
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66 OT, 3 (778-779).
67 OT, 3 (778).