L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote alla luce del Vaticano II
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Il Sacerdote alla luce del Vaticano II
Diceva un vescovo francese: « Parecchi dei miei preti — specialmente giovani — vogliono vivere coi dettami del Vaticano III. Parecchi — specialmente anziani — stanno ancora al Vaticano I. Nessuno o pochi sono col Vaticano II
I
« PRETE VATICANO II »
Eppure il Vaticano II ha delineato abbastanza chiaramente la figura del sacerdote e accennato ad alcuni problemi oggi assai sentiti.
La figura del sacerdote
Descrivendo il ministero sacerdotale, il Concilio di Trento2 si era soffermato di preferenza sull'ufficio di santificare. Ciò, per reazione ai protestanti, che riducevano il ministero all’insegnamento della parola 3.
Il Vaticano II completa ed allarga, parlando di tre compiti: predicare, santificare, guidare. « I Presbiteri... in virtù del Sacramento dell'Ordine, ad immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote ..., sono consacrati per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il Culto Divino » 4.
Primo ufficio, in ordine di tempo, è il predicare: « i Presbiteri hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio »5.
Il primato di dignità resta, però, all'ufficio di santificare e soprattutto al Sacrificio: « il loro (dei presbiteri) servizio, che comincia con l'annuncio del Vangelo, deriva la propria forza e la propria efficacia dal Sacrificio di Cristo » ed ha come scopo che « tutta la città redenta . . offra a Dio un Sacrificio Universale per mezzo del Gran Sacerdote » Cristo 6. « Annunciano a tutti la Divina Parola, ma soprattutto esercitano il loro sacro ministero nel culto eucaristico o sinassi » 7.
Il terzo ufficio, di pascere, è intriso di autorità, I laici, infatti, hanno bensì i sacerdoti come fratelli, ma fratelli che « posti nel sacro ministero, insegnando, e santificando e reggendo per autorità di Cristo, pascono la famiglia di Dio »8. I Presbiteri, « esercitando la funzione di Cristo Capo e Pastore per la parte di autorità che spetta loro, a nome del vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata dall'unità e la conducono al Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo » 9,
Il Concilio ha sottolineato il legame, che intercorre tra l'evangelizzazione e il Sacrificio. Aveva scritto S. Paolo 10: « Grazia mi è stata data di essere liturgo di Gesù Cristo tra i Gentili, esercitando il Sacro Ministero della predicazione del Verbo di Dio, affinché l'offerta di sé, che i Gentili gli fanno, gli sia gradita ». Dunque, ha dedotto il Concilio, anche il predicare è liturgia, è culto. Ma in che senso? Nel senso che dispone al culto. Infatti: predicando il Vangelo, il sacerdote convoca e raduna il Popolo di Dio; ma il Popolo di Dio viene radunato perché offra se stesso come « ostia viva, santa e accettabile da Dio » 11 ; ma, a sua volta, questa offerta (che è « sacrificio spirituale dei fedeli », interiore e personale) è resa perfetta, quando viene unita al Sacrificio di Cristo nella S. Messa « per mano dei Presbiteri e in nome di tutta la Chiesa » 12.
In altre parole: il sacrificio rituale pubblico è sempre cosa bella; ma parte di questa sua bellezza gli proviene dal fatto che riassume o racchiude in sé l'offerta interiore e personale, che gli uomini fanno di sé a Dio; a sua volta questa offerta degli uomini è frutto del Vangelo predicato. Il culto del Nuovo Testamento, nella sua accezione piena» comincia dunque con la predicazione del Vangelo, continua nel sacrificio spirituale della vita virtuosa, si compie nel sacrificio pubblico o S. Messa.
In questa visione di cose strettamente concatenate non si può separare il sacerdote evangelizzatore dal sacerdote sacrificante. Evangelizzando, il sacerdote del Nuovo Testamento avvia il Sacrificio; sacrificando, completa l'evangelizzazione. L'evangelizzatore è già potenzialmente liturgo; il liturgo presuppone l'evangelizzatore. La Messa è, sì, un culmine presbiterale, ma legata ad un altro culmine: la parola di Dio.
Sempre riguardo ai tre uffici del sacerdote, il Concilio ha fortemente sottolineato, che essi discendono dall'alto, comunicati da Cristo attraverso un sacramento speciale: l’Ordine. « La funzione dei Presbiteri, in quanto strettamente vincolata all'Ordine episcopale, partecipa della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio Corpo 13. Essi « partecipano, pertanto, all'ufficio dell'unico mediatore Cristo »14; sono « strumenti vivi di Cristo per proseguire nel tempo la sua mirabile opera » 15. È contrario alla mente del Concilio che il Sacerdozio ministeriale o gerarchico sia emanazione o delegazione della comunità cristiana, che venga, cioè, dal basso. Esso viene dall'alto, secondo la scala discensionale seguente: Cristo, Apostoli, Vescovi, Presbiteri. Cristo « promosse alcuni di loro come ministri, in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'Ordine ... per mezzo degli Apostoli rese partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi, la cui funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai Presbiteri1S.
« Trasmessa ». Quando? Come? Per quale via? « Il Sacerdozio dei Presbiteri viene conferito da quel particolare Sacramento per il quale i Presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo capo »17.
Un intero numero della LG è dedicato alla « sacramentalità dello Episcopato » 18, mentre la sacramentalità del presbitero e del diacono vengono toccate in LG, 28 (354) e 29 (359).
I semplici fedeli hanno, è vero, il « sacerdozio comune ». Ma tra questo e il Sacerdozio ministeriale — dice il Concilio — c'è differenza essenziale e non. solo di grado. Tutto si riduce a questo: i laici — in forza del loro sacerdozio — « concorrono all'oblazione dell'Eucaristia, esercitano ( il sacerdozio) col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità »19. È, dunque, ben lontano il Concilio dal- l'asserire che esista solo il sacerdozio comune; che, pertanto, il sacerdozio ministeriale sia solo un « compito » del sacerdozio dei fedeli affidato ai Presbiteri per necessità di organizzazione; che il mandato di predicare, di consacrare, di rimettere i peccati sia appannaggio di tutta la comunità ecclesiale. Per lo meno quattro volte il Concilio riferisce ai soli Apostoli il mandato di Cristo contenuto in Mt 28,19-20 e in Mc 16,15. Vedere LG, 17 (327); DV, 7 (880); DH, 1 (1043); PO, 4 (1250). E si soggiunge: « i Presbiteri hanno una loro partecipazione nella missione degli Apostoli20.
In questo modo il Concilio è in linea con la Tradizione, che lapidariamente, con Agostino, diceva: « Battezza Pietro, è Cristo che battezza; battezza Paolo, è Cristo che battezza; battezza Giuda, è Cristo che battezza » 21.
È in linea pure con la Scrittura, se questa viene interpretata con ermeneutica seria e senza forzatura. Problemi di interpretazione, in materia, ci sono e lo sappiamo; forse ci sono anche vuoti da riempire. Domani, pertanto, capiremo forse meglio e troveremo soluzioni oggi ignote. Questo soltanto è da escludere: che le soluzioni di domani possano dire il contrario di ciò che il Magistero propone oggi come verità rivelata da Dio.
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NOTE
Sigle — DS: Denzinger, ultima edizione.
LG: Lumen Gentium.
CD: Christus Dominus.
OT: Optatam Totius.
AG: Ad Gentes.
PO: Presbyterorum Ordinis.
GS: Gaudium et Spes.
AAS: Acta Apostolicae Sedis.
La numerazione tra parentesi è della Edizione Dehoniana.
1 Citato da E. Bartoletti, La figura del sacerdote oggi, in XI Corso del Clero Lucchese, 23-26 sett. 1968, pag, 5
2 DS, 1764.
3 Lutero, Comm. Lettera ai Galati: Solum verbum est vehiculum gratiae.
4 LG, 28 (354).
5 PO, 4 (1258).
6 S. Aug., De Civ. Dei, 10, 6: PL, 41 (284). PO, 2 (1247).
7 LG, 28 (354).
8 LG, 32 (367). La sottolineatura, come nella seguente citazione, è dell'autore.
9 PO, 6 (1257).
10 Rom. 15, 16. (E il Concilio rimanda al testo greco: cfr nota 12 di PO 2).
11 Rom. 12 1.
12 PO, 2 (1247).
13 PO, 2 (1246).
14 LG, 28 (354).
15 PO, 12 (1282).
16 PO, 2 (1245).
17 PO, 2 (1246).
18 LG, 21 (334-335).
19 LG, 10 (312).
20 PO, 2 (1247).
Dal mandato "Euntes, docete” (Mt. 28,16) si può dedurre l’esistenza di “poteri” nei soli Apostoli? Ecco come si esprime l’Episcopato tedesco.
« La missione nella sua ampiezza integrale fu affidata dal Risorto anzitutto a tutta la comunità dei discepoli, rappresentata dai discepoli di allora (Mt. 28, 16: gli undici). Fu affidata però in concreto anche agli uomini che divennero più tardi, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli (cap. 1-6), contemporaneamente i capi della primitiva comunità di Gerusalemme, con Pietro loro portavoce e capo. Dalla missione affidata, per se stessa, non si può dedurre se con la costituzione della comunità cristiana sia già anche inteso l’ufficio direzionale di questi uomini nella Chiesa. [...] Se le parole del Signore risorto siano da spiegarsi in modo da giustificare l'apostolato particolare affidato a determinati uomini, si decide solo alla luce della comprensione che (di queste parole) ebbero la Chiesa primitiva e gli apostoli cui furono rivolte da Cristo, e che si rivela già nel Nuovo Testamento. Perciò si deve esaminare in particolare come gli apostoli hanno inteso le loro funzioni e il loro servizio a Cristo nel mondo e nella Chiesa. Sono di particolare importanza per la comprensione dell'apostolato le lettere paoline [...]. L’apostolato è per Paolo un ministero determinato che esige particolari poteri, quindi è un ufficio. Secondo 1 Cor. 9,17 egli sa che gli è stato affidato da Dio un incarico o oikonomia, un ufficio ministeriale; secondo 1 Cor. 4,1 s, egli vuol essere considerato "eletto” (Rom. 1,1; Gal. 1,15), "chiamato" (Rom. 1,1; 1 Cor. 1,1), "inviato” (1 Cor. 1,17; cfr. Gal. 2, 8). Egli ora agisce per Cristo, in sua vece, come suo delegato (2 Cor. 5, 20). Dal Signore ha anche ricevuto il "potere”, cioè il diritto e l’autorità per edificare la Chiesa (2 Cor. 10,8; 13,10). In tale formulazione si accenna ad un carattere ufficiale dell'apostolato. Si tratta di una chiamata, di un incarico, di una missione, del conferimento di pieni poteri, di un ministero responsabile, che impegna il suo detentore anche per la vita. L'apostolo esercita il suo ufficio nella forza e con i doni dello Spirito. La sua parola si basa “sulla dimostrazione dello Spirito e della potenza” (1 Cor. 2,4; cfr. 1 Tess. 1,5). Egli parla "con parole che lo Spirito insegna” (1 Cor. 2,13; cfr. Rom. 15,30). Si esperimenta la sua azione attraverso carismi apostolici (cfr. im. 17,18; 33). Nell’assolvimento di tale incarico l’Apostolo sta di fronte alla comunità. Proprio per questo egli può essere con essa e per essa. Lo testimoniano nel loro insieme le lettere di S. Paolo, che furono scritte alla comunità non da una Chiesa all'altra, né dal rappresentante di una comunità ad un’altra, ma dall'apostolato stesso (e dai collaboratori). Nei loro insegnamenti e nelle loro istruzioni, nei loro ammonimenti e nelle loro parole di conforto, nelle loro preghiere e nelle loro benedizioni fanno conoscere che l’apostolo "sta di fronte” alle comunità. Egli ha un’autorità, particolare. Paolo è conscio che "quale ministro di Cristo e amministratore dei misteri di Dio » (1 Cor. 4,1) non sottostà ad alcun giudizio umano, neppure a quello della propria coscienza, ma solo a quello del Signore, che alla fine giudicherà tutto (1 Cor. 4,3 ss). È conscio che può esigere dagli altri l’obbedienza. Questa obbedienza non è prestata alla sua persona, ma a Cristo (2 Cor. 10,5), proprio al Cristo da lui annunciato (cfr. 2 Cor. 2,10). Paolo si aggiudica l’autorità di colui al quale sono stati conferiti per rivelazione "la grazia e l’apostolato per condurre, in forza del suo nome, all’obbedienza della fede tutti i gentili” (Rom. 1, 5). Perciò essa è sempre un’autorità vicaria, ricevuta senza alcun merito (1 Cor. 15,8 ss). Paolo imparte ordine "nel nome del Signore Gesù Cristo” (2 Tess. 3,6) ed esorta "per il nome del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Cor. 1,10). Così la sua autorità è legata a Gesù Cristo e non è fondata sull’Apostolo stesso. È un’autorità di servizio: "Non per far da padroni su di voi riguardo alla fede, ma per essere cooperatori della vostra gioia” (2 Cor. 1,24). Perciò può Paolo anche rimettere il suo potere apostolico: "Pur essendo in nostro potere farci considerare persone d'importanza quali apostoli di Cristo, siamo invece diventati dei pargoli in mano a voi, (o meglio) come una madre che cura i suoi bambini” (1 Tess. 2,7; cfr. anche Filem. 3 s; 1 Cor. 4,14; 2 Cor. 6,13).
Un'altra osservazione, che deriva dalle lettere paoline, è anche importante per l'ufficio dell'apostolo. Paolo può rendere partecipi delle sue funzioni membri della comunità. Qui vengono in questione anzitutto i suoi confidenti e collaboratori personali, come Timoteo e Tito.
Essi non sono solo i suoi "figli” e "fratelli", ma anche i suoi "collaboratori" Rom. 16, 21). Timoteo è "nostro fratello e collaboratore di Dio nel Vangelo di Cristo” (1 Tess. 3,2). Come tale egli serve con l'apostolato il Vangelo (Fil. 2,22); "lavora come me nell'opera del Signore” (1 Cor. 16,10). Perciò Paolo può, non solo servirsi di Timoteo e Tito come inviati con determinati incarichi, ma anche inviarli come suoi rappresentanti. Timoteo deve in Corinto "richiamare alla mente" la via additata dall'apostolo e la sua dottrina. Perciò gli portino anche rispetto ed amore (1 Cor. 16, lì). Ugualmente viene Tito per incarico dell'Apostolo e i corinti lo ricevono con timore e obbedienza. (2 Cor. 7,15). (Lettera dei Vescovi Tedeschi sull’Ufficio Sacerdotale, Queriniana, Brescia 1970, pag. 21-26) ».
« Il potere di legare e sciogliere (Mt. 18,18; 16,19; cfr. Gv. 20, 23) sta nel rapporto più intimo con la missione e i poteri affidati dal Signore risorto [...]. Però, strettamente parlando, i testi di Mt. 18,18 e Giov. 20,23 da soli non permettono di conoscere con sicurezza se questa autorizzazione è conferita a tutta la comunità, o solo ad una determinata cerchia di persone (gli “apostoli"). In Mt. 18,19 la stessa parola è rivolta singolarmente a Simon Pietro. Se si collega questo testo con Giov. 21,15-17, non si può dubitare che la Chiesa primitiva vi ha visto il fondamento del particolare ufficio direzionale conferito al capo degli apostoli». (Ibidem, p. 21-22)
21 Aug., In Ioannis Evangelium Tractatus 6, 7: PL, 35, 1428;