L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II
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Briciole teologiche sul sacerdote diocesano
Il sacerdote diocesano descritto dal Concilio è sacerdote ritoccato, rimesso a nuovo, quasi riscoperto, sia come sacerdote sia come diocesano. Tutti lo ammettono ed io mi propongo solo di far rilevare qualche novità, procedendo a base di confronti tra « prima » e « adesso ».
« Prima » vuol dire ciò che in materia di sacerdozio diocesano si scriveva, insegnava e predicava o universalmente o almeno come importante corrente di opinione fino ai documenti conciliari. « Adesso » si riferisce alle messe a punto, alle direttive e disposizioni del Concilio, che non sono, evidentemente, rottura col passato, ma ritorno al passato, illustrazione del passato, sviluppo di temi che il passato aveva trascurato 0 lasciato in ombra.
1. Prima usava marcar forte la distinzione « potere d’ordine - potere di giurisdizione ». Quest’ultimo appariva fratello o almeno cugino del potere civile con discorso continuo o ricorrente di diritti e poteri; una lista intera era rizzata nei manuali e vi figuravano il potere legislativo, giudiziario, penale, coattivo, amministrativo, di governo.
Adesso quella distinzione si attenua; resta il giure, ma si teme il giuridismo; i poteri sopra elencati sono veri poteri, ma da esercitarsi a mo’ di servizio, di diaconia. « L’ufficio, che il Signore affidò ai Pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella S. Scrittura è chiamato significativamente ” diaconia ” » (lì. «I presbiteri nel "presiedere la Comunità ”... devono ” mirare solo al servizio di Gesù Cristo unire !! i loro sforzi a quelli dei fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro come il Maestro, il quale tra gli uomini non venne ad essere servito, ma a servire ” » (2). « Presiedano e servano » (3). « Chiamati a servire il popolo di Dio » (4ì. « Servono al bene di tutta la Chiesa » (5).
2, Prima si insegnava una poverissima teologia dell’Episcopato. L’ordinazione del vescovo? « Non è sacramento, ma semplice sacramentale », ritenevano molti. S. Tommaso era con essi (6). L’ordinazione sacerdotale era il vertice; l’ordinazione episcopale aggiungeva solo un’idoneità a ricevere dal Papa il potere di giurisdizione su una diocesi. Ma il potere di ordinare altri sacerdoti? Non l’ha solo il vescovo, ritenevano alcuni. Il potere di ordinare c’è anche nel semplice sacerdote, basta che il Papa sciolga certi legami che ne impediscono l’esercizio; caso già contemplato, già avvenuto più volte nel medioevo. Cos’è allora un vescovo? mi chiedevano, a scuola, gli alunni. Un prete « scatenato ». Cos’è un prete? Un vescovo « incatenato »!
Questo nel settore della « potestas ordinis ». Nel settore della giurisdizione e del magistero il vescovo appariva possedere tanto, ma possedeva — dicevano i più — non ricevendolo dal Sacramento dell’Ordine, ma immediatamente dalle mani del Papa per via di mandato. Quanto al sacerdote, pareva che il potere di predicare gli provenisse dalla sola missione canonica.
Adesso la consacrazione episcopale è detta conferire la pienezza del sacramento dell'Ordine; oltre l’ufficio di santificare, conferisce pure gli uffici di insegnare e governare e costituisce l’ordinato membro del corpo episcopale (sempre che ci sia anche la Comunione col Capo del Collegio e colle membra) (7). L’autorità di un sacerdote che predica è costituita dal fatto che è — e appare esternamente — in comunione col vescovo e, tramite questo, con l’insieme del Collegio episcopale.
3. E’ avvenuto quindi il rovesciamento, che la Tradizione reclamava. Il sacerdozio-tipo o modello o vertice, lo scalino più alto dell’Ordine appare adesso l’Episcopato; da esso procede, su esso viene misurato, definito, qualificato il presbiterato e non viceversa.
Prima si perdeva tempo a chiedere: Un sacerdote cosa riceve in più con l’ordinazione vescovile? Adesso, invece, a chi chiede: Cos’ha un sacerdote meno del vescovo? Si risponde: ha i poteri stessi del vescovo, ma li esercita in maniera diversa. Li esercita in rappresentanza del vescovo, facendolo in qualche modo presente, entro il campo fissato da lui. Li ha poi (almeno in actu primo) per mezzo dell’ordinazione (8).
Acquisizione importante: i Presbiteri sono collaboratori subordinati al vescovo, ma « necessari » ed in tutta l’estensione della di lui missione.
Adesso, acquista sapore la formula del Pontificale: « Sint providi cooperatores ordinis nostri »; adesso, si capisce bene S. Ignazio d’Antiochia, quando afferma che i sacerdoti stanno al vescovo come le corde alla cetra.
4. Prima si affrontavano due posizioni teologiche opposte. Il sacerdote è tutto in vista del culto, dicevano gli uni: est ad Missam pro vivis et pro defunctis; è grande liturgo e adoratore. Sembrava appoggiarli il Concilio di Trento (9) in reazione ai protestanti, che dicevano ridotto il ministero all’insegnamento della parola (Lutero, Commento ai Galati: Solum verbum est vehiculum gratiae) (10). Invece il sacerdote è soprattutto salvatore d’anime!, rispondevano altri. Ed allora è soprattutto evangelizzatore, catechista e missionario. In Aula Conciliare le due posizioni si son fatte sentire vivacemente in più interventi.
Adesso, però, esse son conciliate in una. Il Concilio infatti si è ricordato — o meglio ha scoperto — che S. Paolo considera come culto e liturgia la stessa predicazione evangelica e ne ha tirato delle buone conclusioni. Aveva scritto S. Paolo in un testo di cui era passato sinora inosservato il nesso con il sacrificio: « Grazia mi è stata data di essere liturgo di Gesù Cristo fra i Gentili, esercitando il sacro ministero (sacerdotale) della predicazione del Vangelo di Dio affinché l’offerta (sacrificale) di sé che i Gentili gli fanno, gli sia gradita ». (11).
Da questo testo si vede che c’è legame inscindibile tra predicazione del Vangelo e sacrificio cultuale e quindi Eucaristia, argomenta il Concilio. Infatti: predicando il Vangelo, il sacerdote convoca e raduna il Popolo di Dio; ma il Popolo di Dio viene radunato perché offra se stesso come «ostia viva, santa e accettabile da Dio» (12); ma, a sua volta, questa offerta (che è « sacrificio spirituale dei fedeli », interiore e personale) è resa perfetta, quando viene unita al sacrificio di Cristo nella S. Messa « per mano dei Presbiteri e in nome di tutta la Chiesa » (13).
In altre parole: il sacrificio rituale pubblico è sempre cosa bella; ma parte di questa sua bellezza gli proviene dal fatto che riassume o racchiude in sé l’offerta interiore e personale, che gli uomini fanno di sé a Dio: a sua volta quest’offerta degli uomini è il frutto del Vangelo predicato. Il culto del Nuovo Testamento, nella sua accezione piena, comincia dunque colla predicazione del Vangelo, continua nel sacrificio spirituale della vita virtuosa, si compie nel sacrificio pubblico o S. Messa.
In questa visione di cose strettamente concatenate è assurdo separare sacerdote evangelizzatore e sacrificante. Evangelizzando, il sacerdote del Nuovo Testamento avvia il sacrificio; sacrificando, completa l’evangelizzazione. L’evangelizzatore è già potenzialmente liturgo; il liturgo presuppone l’evangelizzatore. La Messa è sì un culmine presbiterale, ma legata ad un altro culmine: la parola di Dio. Il sacerdozio nostro è un sacerdozio originale, diverso dal sacerdozio cultuale dì tutte le altre religioni, è essenzialmente legato alla predicazione della fede e a una fede che deve investire tutta una vita; l’opus operatum vi si mescola con l’opus operantis; è qualcosa di vivo, molto più vivace del puro rito cultuale.
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Convenzionalmente: LG = Lumen gentium - PO = Presbyterorum Ordinis; AA = Apostolicam Actuositatem; AG = Ad Gentes; GS = Gaudium et spes - OT Optatam Totius; CD = Christus Dominus; SC = Sacrosanctum Concilium. I numeri tra parentesi si riferiscono alla 3a ediz. Dehoniana dei Documenti Conciliari.
(1) LG, 24 (342).
(2) PO, 9 ( 1272); cfr. anche LG, 37 (382-385).
(3) LG, 28 (357).
(4) LG, 28 (355).
(5) LG, 28 (355).
(6) S. TH., Suppl. q. 40, a. 5.
(7) LG, 21 (335) e 22 (336).
(8) LG, 28 (354); PO, 5 (1254) e 7 (1265).
(9) DENZINGER - SCHÖNMETZER, 1764-1771.
(10) In realtà pare che il Tridentino si riferisca solo al «ministero» in senso stretto, cioè alla potestas sanctificandi in quanto distinta dalla potestas magisterii et imperii. Oggi, invece, la parola « ministero » è presa in senso largo e si riferisce spesso a tutti i compiti sacerdotali, a tutta la pastorazione.
(11) E qui il Concilio stesso, PO, 2 (1247) nota 11, rimanda al testo greco di Rom. 15, 16,
(12) Rom., 12, 1.
(13) PO, 2 (1247).