L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni su "Cristo Ideale del Sacerdote.
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Ha pregato, ha insegnato a pregare, s'è offerto in Sacrificio
11. L’immagine di Gesù, che imperfettamente sto tentando di tracciare, sarebbe imperfettissima, se non dicessi che soprattutto Egli adora il Padre, insegna a pregare, offre Sé stesso per i peccati nostri.
« Nei giorni della sua carne (mortale) avendo innalzato a Colui, che Lo poteva salvare da morte, preghiere e suppliche gridate al cielo tra le lacrime » fu esaudito per la sua pietà o religione (159). Prima di eleggere gli Apostoli, « trascorse tutta la notte in orazione a Dio» (160): « la mattina, avanti giorno, si alzò, uscì e si recò in un luogo deserto, e là si mise a pregare » (161). Altre volte prega in pubblico, alzando gli occhi, ringraziando il Padre, che invoca con la parola Abba, carica di affetto filiale e di totale fiducia. Anche prima di affrontare la sua passione Egli sente il bisogno di pregare a lungo e per l’incontro con Dio sceglie un luogo appartato, l’orto degli ulivi.
Si preoccupa molto di insegnare il modo di pregare; vuole che i discepoli preghino con costanza, senza stancarsi, con la certezza di essere esauditi, perché colui al quale si rivolgono è il Padre (162).
Infine, in diverse maniere ed occasioni, la Scrittura dice ciò che afferma Paolo: Cristo « offrì sé stesso immacolato a Dio » e « purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, per prestare un culto al Dio vivente» (163).
In che modo il sacerdote possa imitare Cristo nella preghiera è detto dal Concilio: col « nutrirsi del Verbo divino alla duplice mensa della S. Scrittura e dell’Eucarestia »; colla « fruttuosa ricezione dei Sacramenti, soprattutto con la Confessione sacramentale frequente »; col « venerare e amare » la Madonna con « devozione e culto filiale »; col « dialogo quotidiano con Cristo... praticando il culto personale dell’Eucarestia »; con il ritiro e la direzione spirituale, con l’orazione mentale e le varie forme di preghiera (164).
Ancora il Concilio richiama il dovere sacerdotale di insegnare a pregare: I presbiteri insegnano ai fedeli: « ...a offrire la vittima divina a Dio Padre nel Sacrificio della Messa, e a fare, in unione con questa vittima, l’offerta della propria vita... a sottomettere con cuore contrito i propri peccati alla Chiesa nel Sacramento della Penitenza... ad avere per tutta la vita uno spirito di orazione sempre più attivo e perfetto» (165) ...a « sviluppare ciascuno la propria vocazione specifica secondo il Vangelo » (166).
E’ dunque facile vedere come il sacerdote possa imitare Cristo orante e maestro di preghiera.
Ma come imitare Cristo offerente sé stesso? Per comprendere meglio, qui è bene ricorrere al Tridentino. Nel Cenacolo, vi è detto, Cristo ha offerto al Padre il Suo Corpo e il Suo Sangue sotto le apparenze del pane e del vino. In quel momento costituì agli Apostoli sacerdoti della Nuova Alleanza e comandò ad essi, ed ai loro successori nel Sacerdozio, di offrire (il Corpo e il Sangue sotto le apparenze del pane e del vino) con queste parole: Fate questo in memoria di me (167).
Celebrando, il sacerdote non solo fa adesso ciò che Cristo ha fatto allora nel Cenacolo, ma sensibilizza sacramentalmente ciò che Cristo è al presente. E cos’è? E’ il Risuscitato, Sacerdote eterno e Vittima perpetua, realmente presente sotto le specie a questo scopo: fare la Chiesa, permetterci di ricordare quello ch’Egli ha fatto donec veniat (168). Si può dunque affermare che il Sacerdote celebrante non solo rappresenta Cristo in quanto transustanzia il pane e il vino, ma anche Cristo in quanto presente nell’Eucarestia come fabbricatore della Chiesa in via di continuo sviluppo. In altre parole: ogni volta che celebriamo, dobbiamo preoccuparci di « fare la Chiesa », di ingrandirla e unirla.
In questo modo, tutto quanto è stato detto in antecedenza (« incarnarsi », fare, parlare, essere casti, poveri, servire, pregare, insegnare a pregare) ritorna all’Eucarestia come a proprio centro.
Nella Eucarestia è presente sostanzialmente il Sacerdote vero; a Questo ci riferiamo noi, che siamo, se si può dire così, Sacerdoti-sacramento o Sacerdoti-segno. Con Lui, rappresentandoLo, noi facciamo che la Messa sia il momento privilegiato, nel quale il ministero nostro e della Chiesa locale trova la sua piena realizzazione.
Uscendo di chiesa, dopo il santo Sacrificio, fedeli (e noi con essi) dovrebbero cercare di « trascorrere tutta la loro vita con gioia nella fortezza del cibo celeste, partecipando alla morte e alla resurrezione del Signore... di compiere opere buone e di piacere a Dio..., amando la Chiesa, mettendo in pratica ciò che hanno imparato... » (169).
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(159) Ebr. 5, 7.
(160) Lc. 6, 17.
(161) Mc. 1, 35.
(162) Mt. 6, 5-6; Lc. 11, 1 ss; Mt. 6, 9 ss; Lc. 18, U; Mt. 5, 44; Lc. 6, 28; Lc. 18, 1; Mc. 11, 23; Mt.
7, 11; Le. 11, 13.
(163) Ebr. 9, 14.
(164) PO, 18, 1304-1306.
(165) PO, 5, 1254.
(166) PO, 6, 1258.
(167) DS, 1741.
(168) 1 Cor. 11, 26.
(169) EM, 13, 2895.