Lettura del Giorno

Cristo Ideale del Sacerdote [Cap. 1]

Patriarca Venezia_Luciani
Albino Luciani

L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni su "Cristo Ideale del Sacerdote.

_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Ha corteggiato una fidanzata povera!

8.        Il discorso dello sposalizio di Cristo e del sacerdote con la Chiesa, l’unica donna amata, s’è un po’ prolungato. Vorrei tornare al fidanza­mento di Cristo, al suo preparare la Chiesa allo sposalizio, fissando amorosamente i di lei linea­menti, scegliendo gli Apostoli, dettando a questi i compiti e il modo di esercitarli. Fra i princi­pali lineamenti, lo spirito di povertà tanto pro­clamato nel Vangelo, insito nella nostra destina­zione al Regno di Dio, messo oggi in pericolo, necessario... per farci comprendere tante rovine del passato e il metodo migliore per annunciare alle anime la religione di Cristo (89).

Se, infatti, le ricchezze potessero contribuire alla pace, alla vera gloria del sacerdozio, al bene delle anime, Cristo avrebbe indubbiamente scelto per sé e per gli Apostoli una vita agiata. Invece? « Si fece povero per noi, pur essendo ricco » (90); « pur essendo in forma di Dio... annientò Sé stesso, prendendo forma di schiavo» (91). Alla povertà, al risparmio, alla parsimonia, agli impre­visti, al sapersi adattare, abituò anche i suoi: « Mangiate dò che vi sarà presentato » (92); « Gesù attraversò i campi di grano... i discepoli che avevano fame, si misero a cogliere spighe e a mangiare » (93). Disse ai suoi discepoli: « racco­gliete gli avanzi, perché niente si perda » (94). Ha lavorato a Nazareth, mantenendo sé e la madre: ciò dimostra bensì che il lavoro manuale non disdice né al gran Sacerdote né a noi, ma niente di più. Una volta immesso nell’apostolato, infatti, Cristo ha abbandonato il vecchio mestiere. Il motivo? L’annuncio della « lieta novella » lo assorbiva. Fino a quale punto lo dice la rapida osservazione sopracitata di S. Marco: « Egli ri­torna a casa e di nuovo la folla vi si raduna a tal punto che non era loro possibile prendere nem­meno un boccone di pane » (95). I suoi parenti se ne preoccupano e vengono per sottrarlo a que­sto soffocamento delle folle, dicendo che era da pazzi massacrarsi in questo modo (96). Indicativa è anche la frase di Gesù: « il Figlio dell’uomo non ha dove posare la testa » (97). Essa non dice solo la povertà del Maestro divino, ma anche il sonno, che talora non poteva concedersi causa l’intenso servizio prestato alle folle; egli suppliva talora come poteva, anche nei tragitti in barca. Perfino durante una tempesta « egli stava dor­mendo sulla poppa, appoggiato ad un cusci­no » (98).

In questa situazione Cristo non credette op­portuno proteggersi economicamente con iniziative personali di lavoro. Accettò umilmente di dipen­dere dagli altri e di venire spesato: « se ne an­dava di città in città... mentre i Dodici erano con Lui, come pure alcune donne:... Maria... Giovan­na, moglie di Cuza procuratore di Erode, Susan­na, e molte altre, che L’assistevano coi loro beni » (99). La stessa linea tracciò agli apostoli quando li inviò temporaneamente per una spedizione missionaria: annuncino il Regno dei cieli, non si preoccupino d’altro: mangeranno nelle case in cui sono stati ricevuti, « perché l’operaio me­rita il suo salario » (100).

Gli Apostoli hanno seguito l’esempio del Maestro. Fra i tanti passi citabili, ecco questo, di Paolo: « Fino a questo momento noi soffriamo la fame, la sete, la nudità; siamo schiaffeggiati e andiamo randagi, ci affanniamo a lavorare colle nostre mani » (101). Qui, al lavoro, mi aspettano alcuni giovani sacerdoti. « Ci vergogniamo — mi dicono — di pesare sulle spalle dei fedeli. Vor­remmo essere "preti alla S. Paolo”, preti a mezzo impiego, ”preti al lavoro”, preti che "rendono testimonianza” »! Uno: Vorrei essere il « trappista del mondo del lavoro », portando « Gesù silen­zioso » nel mondo degli operai, dando testimo­nianza senza farmi conoscere come prete.

Che Paolo ci tenesse a mostrare le sue mani incallite, dicendo: queste « hanno provveduto al bisogno mio e di quelli che erano con me » (102) è vero. Che alcune volte ritorni su questo argo­mento e che, anzi, una volta dica « meglio per me morire che »... (accettare denaro da voi, Co­rinti) (103), è pure vero.

Ma è anche vero che egli è conscio che il suo caso fa eccezione: accumula gli argomenti per provare che l’operaio del Vangelo deve vivere del Vangelo (104). Gli altri Apostoli e Cefa sono spesati dai fedeli e hanno il diritto di condurre con sé una donna cristiana in qualità di dome­stica (105). Che più? Gli tocca, a Corinto, di essere « contestato » proprio perché non si fa mantenere: Tu non sei un vero apostolo — gli obiettano gli avversari — tanto è vero che lavori per vivere! (106). Ma poi, in realtà, accetta aiuti in denaro, quando ha bisogno. « Ho spogliato altre chiese, accettando una retribuzione per ser­vire voi » (107); « colmarono la mia indigenza i fratelli venuti dalla Macedonia» (108). Ringra­ziando verso la fine della sua vita i Filippesi per il denaro inviato a mezzo di Epafrodito (109), ricorda che i soli Filippesi, altra volta, all’inizio cioè del suo apostolato in Europa, gli aprirono « un conto comune di Dare e Avere... poiché an­che a Tessalonica e una prima e una seconda volta spediste quanto m’abbisognava » (110 ).

Conclusione. Il sacerdote, specialmente oggi (si parla tanto di «Chiesa dei poveri» (111); la Populorum progressio e i Discorsi di Bogotà hanno dato tale straordinario risalto alla miseria del « terzo mondo »!) il sacerdote deve essere po­vero. Minimo, deve « riscattarsi da ogni disordi­nata affezione» (112), «evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allon­tanarsi » (113). Desiderabile: «abbracciare la po­vertà volontaria, con cui possono essere in grado di svolgere con maggior prontezza il sacro mini­stero » (114). I vescovi, però, con opportuni or­ganismi, non devono trascurare di « provvedere a giusto compenso » pei presbiteri (115), e a un «fondo comune e di previdenza sociale» (116).

Ed il lavoro manuale?

Penso umilmente che gli operai non deside­rino in genere che noi viviamo come loro, se la nostra vita è evidentemente e laboriosamente spe­sa per loro. Noi poi non facciamoci schiavi del­l’idea che solo il lavoro in officina sia vero lavoro, che gli artisti, i filosofi, i letterati siano dei puri oziosi borghesi. Un parroco, un vescovo, che at­tendano con impegno al loro compito, non hanno certo i calli sulle mani: li hanno nel cervello! Fare « l’operaio del Vangelo » con lo stile di Gesù è talmente massacrante che non è necessario ag­giungere qualche ora di « lavoro in fabbrica » per poter dire che anche il sacerdote lavora come gli altri! Si cita il Concilio. Sì, ma il lavoro sacerdo­tale vi è ricordato soltanto come eventuale, stra­ordinario mezzo di apostolato e con due restri­zioni: « che ciò risulti conveniente e riceva l’ap­provazione dell’autorità competente» (117). Gli stessi sacerdoti cattolici, che in Oriente hanno ricevuto l’Ordinazione dopo il Matrimonio, so­no esortati a « dedicare pienamente... la pro­pria vita per il gregge affidato» (118). Il « Gesù silenzioso » confesso di non capirlo. Ho detto sopra, con S. Luca, eh'Egli è stato « potente in parole ». Non capisco neppure un prete che solo lavora in fabbrica senza parlare: che un prete sia povero, operaio tra operai, potrà in qualche caso essere forma di ministero giudicata dalla Chiesa locale necessaria od opportuna nel quadro di una pastorale organica, ma dove met­tiamo il « servizio ai poveri »? Il servizio, voglio dire, dal Vangelo annunciato?

Un’ultima nota. La Chiesa, pur povera, « per compiere la sua missione ha bisogno di mezzi umani» (119), i quali, spesso, devono essere richiesti e maneggiati dal sacerdote a somiglianza di Paolo, che si preoccupa delle offerte a favore dei cristiani di Gerusalemme, e organizza raccolte, e usa, nel chiedere, tatto delicatissimo (« la vo­stra grazia ») e si offre di andare in persona a Gerusalemme per dare più importanza alla rac­colta stessa (120). In questa materia va sentito Francesco di Sales, che diceva: « non abbiate lo spirito nelle ricchezze e neppure le ricchezze nello spirito ». Ci riuscirono e ci riescono molti sa­cerdoti.

Don Orione, « povero della carità », « fac­chino della Provvidenza », che arriva a casa tal­volta senza calzoni, sotto la veste, talvolta senza scarpe, che viaggia sui treni con le scarpe sfor­mate o con gli zoccoli da campagnolo, senza oro­logio, con un cappello dai riflessi verdastri, riceve spesso somme cospicue dai suoi benefattori. Ma perché? Perché si sa che il denaro, che passa per le sue mani, non è pece che si attacca, ma dono che scivola subito via per diventare nuovo dono in opere di carità (121).

Anche D. Bosco maneggiò milioni, ma restò povero, con la veste sempre lisa, carico insieme dì debiti, di umile audacia, di carità inesauribile e di tale senso di umorismo, che la gente a lui donava volentieri e sempre. Il Piantelli (122) ricorda una cacciatrice di autografi, che dice al Santo:

—   Padre, non La lascerò, se non mi rilascerà prima un autografo! Don Bosco prende carta, penna e scrive: — Ricevo dalla Signora Tal dei Tali la somma di lire duemila per le mie opere e firma. La signora è accontentata, ma si trova nelle mani un autografo-ricevuta, che la impegna!

Il   Card. De Angelis, mentre D. Bosco sta per congedarsi da lui, gli si inginocchia ai piedi, chie­dendo la benedizione. — Mai più — risponde il Santo — tocca a Vostra Eminenza benedire me!

Quand’è cosi — risponde il Cardinale — vede, Don Bosco, la borsa che è sul tavolo? Se mi benedice, gliela dono per la sua chiesa, altrimenti no. E Don Bosco, dopo aver riflettuto: — Vostra Eminenza non ha bisogno della mia benedizione, ma io ho bisogno della Sua borsa. Dunque, sarà meglio benedirLa (123)!

___________________________

(89) Cfr. PAULUS VI, Litt. Enc. Ecclesiam suam, AAS, 56 (1964), p. 634.

(90) 2 Cor., 8, 9

(91) Filipp. 2, 6-7.

(92) Lc. 10, 8.

(93) Mt. 12, 1.

(94) Giov. 6, 12.

(95) Mc. 3, 20.

(96) Mt. 8, 20.

(97) Mc. 3, 21. 

(98) Mc. 4, 37.

(99) Lc. 8, 1-3.

(100) Lc 10, 7.

(101) 1 Cor. 4, 11.

(102) Atti, 20, 34.

(103) 1 Cor. 9, 15.

(104) 1 Cor. 9, 4-14.

(105) 1 Cor. 9, 4-5.

(106) Cfr. 2 Cor. 11, 7 ss.

(107) 2 Cor. 11, 8.

(108) 2 Cor. 11, 9.

(109) Filipp. 4, 10.

(110) Filipp. 4, 15-16.

(111) LG, 8 (306).

(112) PO, 17, 1299.

(113) PO, 17, 1302.

(114) PO, 17, 1302.

(115) P O, 21, 1311-1312.

(116) PO, 22, 1313-1314.

(117) PO, 8, 1267.

(118) PO, 16, 1296.

(119) LG, 8, 306.

(120) Cfr. 1 Cor. 16, 1-4.

(121) D. SPARPAGLIONE, II servo di Dio D. Luigi Orione, Tortona, 1966, p. 201 ss.

(122) PIANTELLI, Da mihi animas.

(123) Ibidem.