Lettura del Giorno

Cristo Ideale del Sacerdote [Cap. 1]

Patriarca Venezia_Luciani
Albino Luciani

L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni su "Cristo Ideale del Sacerdote.

_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _

Ha sposato solo la Chiesa

6.        L’immagine di Cristo non si può sepa­rare dalla Chiesa. Cristo l’ha « amata ed ha sa­crificato sé stesso per lei » (69); essa è stata per Lui, prima quasi una fidanzata, vagheggiata nella mente, poi, sul Calvario — ex corde scisso Ec­clesia Christo iugata nascitur — la sposa conqui­stata, unica donna della sua vita.

Il sacerdote, che desidera configurarsi intera­mente a Lui, sposa solo le anime: « La perfetta e perpetua continenza... non è richiesta dalla na­tura stessa del sacerdozio », ma è... « particolar­mente confacente alla vita sacerdotale » (70). Ed è stata «raccomandata da Cristo Signore» (71). Sentita, infatti, la risposta di Cristo sulla indis­solubilità del Matrimonio, « Non merita sposarsi », Gli dicono i discepoli. E Cristo: « Non tutti ca­piscono... ma solo quelli ai quali è stato con­cesso ». Con queste parole Egli insinua già che si tratta di una cosa, che, a certe condizioni, è un dono, un grande bene. Continua poi: « Ci sono degli eunuchi nati così dal seno della madre, e ci sono degli eunuchi fatti tali dagli uomini, e ci sono quelli che si sono fatti eunuchi da sé in vista del regno dei cieli » (72).

Questo terzo, non è eunuchismo fisico, ma morale e, evidentemente, perpetuo; il « regno dei cieli » è il regno di Dio sulla terra, la Chiesa. La castità viene abbracciata per collegarsi più in­tensamente con questa Chiesa, in modo da offrire ad essa e al suo Capo un servizio totale. « Chi non ha moglie si dà pensiero delle cose del Si­gnore, in qual modo possa piacerGli » (73). E’ la dimensione ecclesiale del celibato ecclesiastico, « segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale » (74). « Segno », perché con la castità i presbiteri « si consacrano a Dio con nuovo ed eccelso titolo » {15), « stimolo », perché una spo­sa e dei figli impegnerebbero fortemente il sacer­dote non solo per il mantenimento, ma per il tempo, le preoccupazioni, la libertà di decisione. Lo faceva notare amabilmente S. Francesco di Sales alla calvinista che, dopo lunghe sedute, gli riproponeva per l’ennesima volta una difficoltà su­perstite: « Perchè la Chiesa proibisce ai preti di sposarsi? » — « Signora, giudichi lei: se avessi avuto moglie e figli, dove avrei trovato il tempo per ascoltare tutte le sue difficoltà? ». Fu la ri­sposta che, per quella volta, tagliò la testa al toro.

C’è poi la dimensione escatologica: la vita futura — in cui non ci si sposa — dev’essere lo sfondo tenuto presente da tutti, anche dagli spo­sati. Succede, invece, che moltissimi oggi si im­mergono completamente nel mondo presente, negli affari materiali. E’ bene, se i sacerdoti, colla vista casta, « diventano segno vivente del mondo fu­turo » (76).

Tanto più significativo, quel segno, quanto più la castità è pregiata. La Rivista di Ascetica e Mistica (77) rievoca una pagina bellissima, in cui Gandhi racconta come, piano piano, lui prima e sua moglie dopo, capirono che a un certo mo­mento la loro maturazione spirituale esigeva che facessero il voto di castità perfetta, come di fatto fecero.

E’ un aiuto — insomma — che i sacerdoti cercano di dare con la castità vissuta. Si parla tanto di condividere le condizioni dei poveri. Ma ecco la povertà affettiva: tante donne, che deside­rano sposarsi, non hanno marito; tanti matrimoni sono andati in frantumi; tante ragazze hanno scel­to la vita religiosa; tanti giovani devono fare grandi sacrifici per conservare la purezza fino al matrimonio. Un prete casto davvero non potrà molto aiutare queste persone colla sua testimo­nianza di vita?

7.    Le difficoltà in una materia tanto deli­cata non si possono però ignorare. Non si ignora che anche il sacerdote ha una vita affettivo - sen­sitiva, che se è irrazionale, non è anti-razionale e costituisce, invece, quasi un bagno, in cui la sua vita intellettual-volitiva è continuamente im­mersa. Al sacerdote non si può imporre: Non devi aver gusti e affetti umani! Si cerca invece di dire: Cerca di aver affetti umani adatti al tuo stato di vita! mèglio ancora, che ti inclinino al bene, che sostengano la tua volontà! Se ti co­struirai un equilibrio affettivo interiore, ti con­sacrerai con più coraggio all’azione pastorale!

Dice il Concilio: I presbiteri « si riuniscano volentieri per trascorrere insieme in allegria qual­che momento di distensione e di riposo, ricordan­do le parole con cui il Signore stesso invitava gli Apostoli: Venite in un luogo deserto a riposare un poco (78). Una specie di week-end, previsto da Cristo stesso? Week-end a parte, qui importa il motivo: « ...per eventualmente evitare i pericoli della solitudine » (79). Si potrebbe aggiungere: per venire incontro al bisogno di una vita pri­vata ossia non esclusivamente pastorale, percepito spesso anche da chi ama il proprio celibato. Vita di allargate relazioni interpersonali, nelle quali in­contrarsi per scopi di cultura, di discussione, di scambi di vedute, di onesto divertimento o di distensione con sacerdoti o con laici. In questi incontri il sacerdote non dovrebbe dimenticare, naturalmente, il proprio sacerdozio; avrebbe anzi modo di esteriorizzarlo con più spontaneità e naturalezza: non si sentirebbe prima artificiosa­mente e prevalentemente sacerdote e dopo, solo un pochino, uomo, ma schiettamente un uomo, che ha scelto di realizzare la sua vita di vero cristiano nel sacerdozio. Effetto degli incontri dovrebb’essere non: ritornare distratto e disamo­rato ai propri impegni sacerdotali, ma: incorag­giato e serenato, sentirsi spinto a riprendere con più lena il suo lavoro. Ciò si può realizzare solo in un ambiente adatto, con pubblica mentalità preparata e da chi unisce prudenza a grande equi­librio. Questo equilibrio è il risultato di molte componenti. In Seminario il sacerdote dovrebbe venire preparato ad abbracciare con slancio ed en­tusiasmo non solo il sacerdozio, ma anche la ca­stità. Comincia infatti male chi riceve l’Ordine con entusiasmo, ma si rassegna quasi obtorto collo alla castità cui la Chiesa condiziona il conferimen­to del Sacerdozio. Un sincero entusiasmo giova­nile per la castità, però, non basta neppure; bi­sogna ch’esso sia anche fondato su solide basi teologiche e psicologiche, che sia stato collaudato da un buon allenamento ascetico e affettivo-emotivo-sociale e che, infine, sia di continuo rinno­vato e circondato da opportune cautele.

Il Frassinetti, facendo parlare il Signore in prima persona, dice: « io lasciavo che (le donne) mi seguissero nella mia predicazione e si vedeva che io amavo il fervore della loro pietà (80). Ho voluto che restasse scritto nel Vangelo: Diligebat autem Jesus Martham et sororem eius Mariam (81). E ciò devi osservare (o sacerdote), affinché una fuga o timore eccessivo non t’impedisca di curare la loro spirituale salute... Il tuo parlare sia sempre da padre, affinché, anche le più an­gustiate e le più timide si possano accostare a te con quella fidanza, che è necessaria a chi deve manifestare i secreti più occulti della coscienza. Fidati di me, che né tu, né quelle ne avrete danno » (82).

Parole molto sagge. Ma se il sacerdote pre­tendesse avvicinare la donna non solo « per cu­rare la di lei spirituale salute » ma per una pro­pria « integrazione affettiva »? Mi sono sentito, in materia, obiettare l’esempio di Francesco di Sales e di Giovanna di Chantal. Ma, nel caso, siamo di fronte a due anime d’una nobiltà e san­tità del tutto eccezionali: la loro collaborazione strettissima a opere sante e la loro amicizia spi­rituale vanno considerate come una specie di mi­racolo. Altri casi, quello ad esempio di Fénelon e Madame Guyon, lasciano stupiti e perples­si (83).

Del resto, nessuno, ch’io sappia, più di Fran­cesco di Sales, combatté contro quelli che egli chiamava « amoretti » e noi denominiamo « flirts », più o meno spirituali, più o meno « integrativi ». Si veda la sua famosa lettera a Celso Benigno de Chantal (84). Si tratta di volpicelle — dice — « che non vorrebbero dire né fare quello che dicono, e non vorrebbero essere conosciute da nessuno; cercano le tenebre e fuggono la luce... tutte queste amicizie sono mondane e dispiac­ciono a Dio... Tagliate, troncate queste amicizie e non perdete il tempo a scioglierle a poco a poco. Bisogna ricorrere alle cesoie e al coltello » (85). Si vedano i capitoli 17-22 della Filotea, libro quarto; destinati a laici, essi valgono a fortiori per i preti.

Amourettes, « senza aver per scopo il matri­monio sono aborti o fantasmi di amicizia »... si propongono solo di soddisfare il cuore col dare e ricevere amore...

Sono cattive, folli e vane: « cattive, perché finiscono e si compiono — magari dopo parec­chi anni, passati a stemperare il cuore in brame, desideri, sospiri e altre scempiaggini — nel pec­cato della carne e rubano il cuore a Dio, alla mo­glie e al marito, a cui esso era dovuto; folli, perché non hanno né fondamento né ragione; vane, perché non apportano alcun profitto né ono­re né gloria » (86). Fra l’altro, il Santo (87) porta un esempio umile, ma calzante anche per il sacerdote. Potete paragonare quest’ultimo ad un prato, che deve produrre molta e buona erba per la pastorazione delle anime. Ma ecco che in mezzo al prato vien piantato, cresce e si fa grande un noce. E’ finita per l’erba del prato. Colle sue radici a larghe propaggini il noce as­sorbe dalla terra il meglio dei succhi; il suo fo­gliame è così folto che forma un’ombra grande e densa; i turisti, attirati, calpestano il terreno in cerca di frutti e per fare il loro pic-nic. « Così — conclude il Santo — nuocciono all’anima code­sti amoreggiamenti, perché l’occupano talmente e attraggono con tal forza i suoi moti, ch’essa poi non può più valere per alcuna opera buona; le foglie, cioè le conversazioni, i trastulli, le moine, sono così frequenti, che dissipano tutto il tempo; e infine attirano tante tentazioni, di­strazioni, sospetti ed altre conseguenze, che tutto il cuore n’è calpestato e guastato. In breve codesti amoreggiamenti mettono al bando non solo l’amore celeste, ma anche il timor di Dio, sner­vano lo spirito e indeboliscono la reputazione: in una parola sola il sollazzo delle corti ma la peste dei cuori » (88).

__________________________

(69) Efes., 5, 25 ss.

(70) P O, 16, 1296.

(71) Ibidem.

(72) Mt. 19, 10-12.

(73) 1 Cor. 7, 32.

(74) PO, 16, 1296.

(75) PO, 16, 1297.

(76) PO, 16, 1297.

(77) Rivista di Ascetica e Mistica, Firenze, 1961, p. 235.

(78) PO, 8, 1269.

(80) Lc. 8, 2-3.

(81) Giov. 11, 5.

(82) G. FRASSINETTI, Gesù regola del sacerdote, in Opere ascetiche voi. Ili, Roma, 1910, p. 46-47.

(83) Cfr. D. ROPS, Il grande secolo delle anime, Marietti, 1961, pp. 398 ss. Grande prelato, di costumi certamente intemerati, Féneilon si lasciò andare, nelle lettere, a « una puerilità di espres¬sioni piuttosto desolante », che diede a Bossuet il pretesto (sia pure ingiusto) di parlare di un nuovo caso Montano-Priscilla.

(84) FRANCESCO DI SALES, Tutte le lettere, Ed. Paoline, 1967, p. 1311.

(85) Ibidem, p. 1060.

(86) Ibidem, cap. 18.

(87) Ibidem.

(88) FRANCESCO DI SALES, Filotea, Rizzoli, 1956, capo 18, pp. 198-199.