Lettura del Giorno

Cristo Ideale del Sacerdote [Cap. 1]

Patriarca Venezia_Luciani
Albino Luciani

L'allora Patriarca di Venezia, Albino Luciani, in alcune riflessioni su "Cristo Ideale del Sacerdote.

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« Potente in parole »

5.    «  Potente   in  parole »,   Cristo   aveva, si può dire, la passione della Parola e dell’insegna­mento. « Sono già tre giorni che (questo popolo) sta con me e non ha niente da mangiare » (40). «Uno solo è il vostro Dottore, il Cristo» (41). Di sé afferma: « La luce è venuta nel mondo »(42) ; « io sono la luce del mondo » (43); « io che sono la luce, sono venuto nel mondo, affin­ché chiunque crede in me, non resti nelle te­nebre » (44).

Parlando e insegnando, ha avuto successi e applausi. « Nessun uomo ha mai parlato come Lui», rispondono le guardie, quando i Gran Sa­cerdoti chiedono: « Perché non L’avete condot­to? » (45). « Beato il seno che ti ha portato! » (46), grida una donna ed è applauso a scena aperta. « Mentre Egli così parlava, tutti i suoi avversari rimasero confusi, ma tutta la folla si rallegrava » (47).

Ha conosciuto anche gli insuccessi, gli ab­bandoni e le ripulse. « Questo linguaggio è duro », si mormora nella sinagoga di Cafarnao, e « da quel punto molti dei suoi si ritrassero e non andavano più con Lui » (48). « Ve l’ho detto — risponde nel tempio ai Giudei — ma non cre­dete » (49).

Adeguandosi all’uditorio, Egli ha saputo al­ternare discorsi altissimi con discorsi piani, po­polari, interrotti da dialoghi e ravvivati da para­bole, esempi e similitudini; è stato omileta feli­cissimo nella Sinagoga di Nazareth (50) e sulla strada di Emmanus, quando « cominciando da Mosè e da tutti i Profeti, spiegò loro quanto Lo riguardava in tutte le Scritture» (51). Effetto: « Ci sentivamo ardere il cuore dentro di noi, mentre ci parlava per la via » (52).

Gli Apostoli, che hanno avuto il mandato « Andate e fate miei discepoli tutti i popoli »

(53) , ereditano la stessa passione e parlano a qua­lunque costo, senza paura di tormenti o di in­successi. Minacciati, affermano: « Non possiamo non parlare » (54). Messi in carcere e liberati, la prima cosa che fanno, è di andare « al tempio e di insegnare al popolo » (55). Carichi di occu­pazioni, si disimpegnano dall’ufficio di distribuire ogni giorno alle mense per « essere assidui alla preghiera e al servizio della parola » (56).

S.  Paolo è battuto, messo in prigione, cacciato, causa il parlare. Dopo il sonoro « fiasco » di Atene, non si arrende: « Pregate per noi — scrive — affinché la parola del Signore si diffonda » (57). E’ in prigione, alcuni predicano proprio per fargli la con­correnza, « pensando — dice — di suscitare tribo­lazioni alle mie catene. Che importa? Questo solo: che Cristo, o per secondi fini o con sincerità, venga predicato » (58)! Ancora in carcere, alla vigilia del martirio, egli pensa sempre alla predicazione e rac­comanda a Timoteo di portargli da Troade il man­tello, ma anche i « libri e specialmente i mano­scritti » (59). E se, frattanto, non può avvicinare gente, perché incatenato, si consola così: « ma la parola di Dio non è incatenata » (60)!

Sulla strada aperta da Cristo e dagli Apo­stoli trovate i migliori sacerdoti. Per S. Agostino, causa la salute debole, la voce fioca (egli si faceva sentire solo nel silenzio più assoluto) e la coscien­za di essere impreparato (nonostante avesse letto e scritto moltissimo), la predicazione rappresenta sempre una fatica ed un tormento. Ciononostante, predica moltissimo, a Ippona e fuori: almeno tutti i sabati e le domeniche; spesso per più giorni consecutivi; spesso anche due volte al giorno (61).

E dice, predicando, sempre cose belle e sovente originali, ma nella forma più semplice possibile. Se giova alla chiarezza, ricorre anche ai barbari­smi; sempre poi ha pronti i paragoni, che ricava dalle cose più umili della vita quotidiana. Gli uditori non si stancano di ascoltarlo, anche quan­do egli è stanco di parlare. E lo interrompono con applausi e con domande. A queste egli ri­sponde graziosamente (un « grazie! » dovrebbe oggi andare agli stenografi del tempo, che hanno trasmesso questi gioiosi intermezzi!); quanto agli applausi, ne tremava e ne godeva insieme (62).

Non continuo con altre numerosissime « im­magini », che potrei portare. Bastano queste — penso — perché il sacerdote si convinca che deve avere fiducia nel ministero della Parola. C’è, oggi, tendenza a proclamare la crisi della predicazione (Mauriac: « Non c’è un predicatore, con cui io non mi trovi in disaccordo dopo la terza frase! »), ad affermare che la massa reagisce ormai soltanto a immagini che la impressionano violentemente e che si succedono rapidamente, a dire che l’uomo moderno non si adatta più ad ascoltare « passivo » un discorso imposto dall’alto autoritativamente. Di qui il moltiplicarsi di dibattiti, tavole rotonde, cineforums, ecc. Sono tutte cose utili, a patto che il primato assoluto resti alla Parola di Dio proclamata dal sacerdote e piamente ascoltata dai fedeli. « E’ Lui (Cristo) che parla, quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura » (63), dice il Concilio. « Il popolo di Dio viene adunato anzitutto per mezzo della Parola del Dio vivente » (64).

I     fedeli devono avere di che nutrire la loro vita spirituale. Ci sono all’uopo i Sacramenti, ma occorre una mistagogia, colla quale iniziare e con­durre i fedeli alla fruttuosa partecipazione dei Sacramenti stessi (65).

Oggi poi esistono dei movimenti davvero non ordinari, che scuotono il mondo fin dalle sue basi, che possiedono ciascuno una propria « an­tropologia » o teoria circa l’uomo e i suoi destini. Il Cristianesimo, massimo tra questi movimenti, se vuole imporsi, deve far prevalere la sua antro­pologia. Ma come, se non la propone con insi­stenza e in maniera suasiva ed efficace? In questa predicazione « l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato... perciò è necessario che tutti i chierici e principalmente i sacerdoti... conser­vino un contatto continuo con le Scritture, me­diante la lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi vano predicatore della Parola di Dio all’esterno colui che non l’ascolta di den­tro » (66).

Lo « studio accurato », di cui la Dei Verbum, si riferisce alla preparazione remota e prossima, alle idee da raccogliere e al modo con cui esporle e alla indispensabile preparazione di preghiera. Le omelie devono essere vere omelie. « Il Magi­stero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve » (67). Dimentica questo il sacerdote, che si serve della lettura biblica solo come di chiodo, cui appendere una sua concione con vir­tuosismi culturali, con divagazioni puramente mo­ralistiche o, peggio, dilagando sempre e solo sul campo delle questioni sociali: l’obbiezione di co­scienza, il terzo mondo, la critica irriverente alle istituzioni ecclesiastiche e civili. La bella omelia, però, costa fatica e richiede la preparazione pros­sima, oltre che remota: è un mito che si possa parlare bene improvvisando. Il Card. Gibbons portava ai suoi preti il seguente esempio: « Edoar­do Everett tenne, un giorno, un discorso agli stu­denti dell’Università di Harvard. Nella foga del dire, rovesciò un bicchiere d’acqua, posto dinanzi a lui. Ognuno credette che fosse un caso acci­dentale. Tosto egli apostrofò la goccia che era rimasta attaccata al suo dito e fece ai suoi uditori una magnifica descrizione della forza ed utilità dell’acqua. Tutti gli astanti giudicarono che la di­gressione fosse affatto spontanea e improvvisata. Non era così. Dopo la seduta, l’oratore ebbe la sincerità di confessare ai giovani studenti che l’acqua era stata versata apposta, e che ogni pa­rola della sua apostrofe era stata studiata con la maggior diligenza » (68).

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(40) Mt. 15, 32.

(41) Mt. 23, 10.

(42) Giov. 3, 19.

(43) Giov. 8, 12.

(44) Giov. 12, 45.

(45) Giov. 7, 45-46.

(46) Lc. 11, 27.

(47) Lc. 13, 17.

(48) Giov. 6, 60 ss.

(49) Giov. 10, 25.

(50) Lc. 4, 14 ss.

(51) Lc. 24, 27.

(52) Lc. 24, 25 ss.

(53) Mt. 28, 19.

(54) Atti, 4, 20.

(55) Atti, 5, 25.

(56) Atti, 6, 4.

(57) 2 Tess. 3, 1.

(58) Filip. 1, 15 ss.

(59) 2 Tim. 4, 13.

(60) 2 Tim. 2, 9.

(61) AG. TRAPE’ Il sacerdote uomo di Dio e servo della Chiesa, Milano, 1968 ; p. 140.

(62) « Non lo voglio del tutto né del tutto non lo voglio. Non lo voglio pienamente, per non cor¬rere nel pericolo delle lodi umane, né piena¬mente non lo voglio, perché non siano ingrati coloro a cui predico»: AUGUSTINUS, Sermo  339, 1: PL, 38, 1480.

(63) S C, 7, 9.

(64) P O, 4, 1250.

(65) Cfr. Direttorio Liturgico per la pastorale dei Sacramenti e dei Sacramentali, nn. 12-16.

(66) D V, 24-25, 907-908, AUGUSTINUS, Sermo 179, 1; PL, 38, 966.

(67) D V, 10, 887.

(68) GIACOMO Card. GIBBONS, L’Ambasciatore di Cristo, Marietti, 1925, pp. 382-383.