Lettura del Giorno

Perché i sacerdoti studino [Cap. 2 - 13-14]

S_E-luciani
Albino Luciani

L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul perché i sacerdoti studino.

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13. - I sacerdoti anziani hanno le loro difficoltà per lo studio. Mentre i giovani tendono, di solito, a gettarsi alle punte, alle novità, al « pepe », essi rivelano, viceversa, a volte, quasi la psicosi della insicurezza. « E’ un gran polverone di idee — dicono — abbiamo timore, se vi ci cac­ciamo dentro, di trovarci domani impigliati in qualche errore o di pre­dicare cose non sicure. E’ opportuno rassicurarli coi seguenti principi.

a)       Un certo pluralismo nelle cose opinabili è bene esista; c’è stato nel periodo d’oro della teologia; se non ci fosse, cadremmo forse nell’immobilismo, nella pigrizia stagnante, nel disco, che si ripete mo­notono ed eguale di secolo in secolo. Diceva Paolo VI al Congresso Internazionale di Teologia: « una discreta diversità di giudizi è com­patibile con l’unità della fede e con la fedeltà all’insegnamento e alle direttive del Magistero; non deve dunque meravigliare, che, anzi, va considerata come benefica, in quanto stimola una più profonda ed ac­curata ricerca di argomentazioni per raggiungere la verità piena, me­diante franche e ben studiate discussioni » (L’ Osservatore Romano, 2-10-1966). Questi vari giudizi, però, appunto perché liberi e de re opi­nabili, non hanno molta importanza nella teologia e nella pratica. Fondamento, infatti, della vita religiosa e cristiana sono le grandi ve­rità rivelate. Un organismo sano non si nutre normalmente soltanto con numerose tazze di caffè stimolante, ma di buon pane e di cibi sani e casalinghi.

b) Al di qua dell’opinabile, c’è la zona dell’assenso di fede e dell’assenso semplicemente religioso. In questa zona non siamo facoltizzati a dissentire, ma siamo facoltizzati, anzi esortati, ad approfondire, a progredire, a riscoprire, a capire sempre meglio. Il progressus fidei, infatti, non si limita a formulare in forma più moderna o più felice le idee antiche; consiste anche nel trovare nelle idee antiche — che con­tinuano a valere — significati prima non scoperti oppure scoperti prima ma poi trascurati oppure illuminati adesso da un angolo nuovo oppure applicati in modo nuovo alla nostra vita spirituale.

c) Questa seconda zona è vasta e varia abbastanza per assicurare, a chi la percorre collo studio, buone soddisfazioni intellettuali e spiri­tuali. Nel contempo è, di solito, bene illuminata da interventi del Ma­gistero e di teologi sicuri, che permettono al ...« viandante » di non smarrirsi.

14. - Fa dunque piacere vedere questo fervore di iniziative, che si estendono a giovani e non giovani. L’ottimismo va tuttavia temperato con una moderata e serena vigilanza sui pericoli, che non mancano.

Si desidera che le verità teologiche siano espresse in forme più congeniali e rispondenti ai tempi e alla civiltà nuova. Giusto. Il guaio è che di queste nuove espressioni esistono sinora solo progetti e tenta­tivi parziali.

Finché esse non siano perfezionate e collaudate, prudenza vuole che ci si attenga al metodo teologico tradizionale, cercando di perfezio­narlo come si può e avendo fiducia nella sua capacità di trasmetterci la Parola di Dio almeno in chiarezza e sodezza. La quale sodezza non è poca cosa; essa equivale, infatti, a possesso di certezze e si contrappone al « problemismo », che consiste, viceversa, nel cercare sempre per il gusto di cercare, nel sollevare un mucchio di problemi, che poi non vengono risolti, ma che danno occasione a discet­tarci altamente sopra e lasciano a chi discetta l’illusione di essere gran teologo. Ma teologo non è chi disputa su cose teologiche, bensì colui che si riempie la mente di certezze su Dio, onde avere una solida base per avvicinarsi a Lui e parlarGli meglio. « Non si tratta di discutere sul Pa­radiso — direbbe S. Agostino — ma di andare in Paradiso » (47). Accanto al problemismo potrebbe esserci qualche tenue tentazione di sperimentalismo. Ritengo che sia opportuno il « coraggio » di ringio­vanire le vecchie istituzioni per lo studio dei sacerdoti. Le nuove istitu­zioni, moderne e più gradite, non saranno però un toccasana; cessato appena il coro degli applausi per le innovazioni, queste funzioneranno con fatica. Nella mia Diocesi i casi di morale ad un certo momento lan­guivano, pochi vi partecipavano con serietà: si decise di sostituirli con relazioni svolte da competenti, su tema preannunciato, intorno al quale tutti dovevano prepararsi e potevano intervenire; dopo un po’ di tempo, però, l’interesse inizialmente vivo, si raffreddò di molto. C’erano gli esa­mi quinquennali: furono tolti e, in sostituzione, ci fu per gli interessati l’obbligo di frequentare una serie di convegni: l’esame orale fu rim­piazzato da due piccole esercitazioni scritte, che dovevano esprimere il succo di un libro interessante oppure essere il risultato di una piccola ricerca o inchiesta; esse avrebbero favorito la famigliarità con la pen­na, avrebbero addestrato a modeste ricerche, ecc. ecc. La frequenza ai convegni fu consolante, ma quanto alle esercitazioni scritte, quale fatica per ottenerle da tutti! — Cambiamo ancora e proviamo un altro siste­ma, mi disse uno dei miei collaboratori. — Meglio restare a quanto fis­sato — ho risposto — altrimenti cadiamo davvero nell’esperientalismo ! Pensavo in quel momento (ma è stata una tentazione) a quanto Ferdinando I di Napoli diceva a Ferdinando II, allora principe ereditario, tutto intento a studiare modificazioni delle divise militari: « Vestili come vuoi; scapperanno sempre! ».

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(47) S. AUGUSTINUS, De moribus Ecclesiae, c. 21.