L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul perché i sacerdoti studino.
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11. - M’accorgo che sto ormai trattando argomenti che convengono anche ai sacerdoti non giovani. Qui confesso di aver più volte avuto la vaga impressione che, se non si sta attenti, le cure particolari dedicate al clero giovane possono mettere a disagio gli anziani ed accentuare un contrasto che già esiste a causa della diversa mentalità. E’ opportuno pertanto che la stragrande maggioranza di quanto si fa per la cultura del clero diocesano si faccia per tutti i sacerdoti, di ogni età. Anche ai Corsi dei giovani sia libero, se gradito, l’accesso agli anziani, almeno per qualche argomento interessante. E se ne faccia cortese invito.
E’ vero, d’altra parte, che gli anziani esprimono talora il desiderio di essere aggiornati su problemi, che i giovani hanno già studiato di recente a scuola. Mi riferisco specialmente alle questioni bibliche. Quaranta anni fa, in Biblica, si tagliava corto, semplificando molto, circa l’inerranza, la storicità, il senso letterale storico di alcuni libri e passi. Adesso si usano criteri più larghi. Gli anziani avvertono che qualche cosa di importante è cambiato, hanno l’impressione che la Bibbia è letta dai giovani in maniera nuova, che essi non posseggono il metro sicuro per misurare e accertare il fondo delle questioni: di qui quasi un senso di insicurezza, una specie di complesso. Tener presente questa loro situazione nel programmare convegni e corsi è una premura doverosa. Ho notato che alcuni di essi si iscrivono volentieri ai Corsi nazionali o regionali. Altri hanno esemplarmente organizzato in occasione di decennali o di venticinquesimi dei brevissimi corsi di aggiornamento per tutto il gruppo festeggiato.
E tutto questo con sincero desiderio di aggiornamento. Questo desiderio va stimolato. Gli studi ecclesiastici progrediscono fortemente in quasi tutti i campi e la vita del mondo corre ancor più veloce. Chi si attarda non solo è sorpassato, ma addirittura perde l’autobus. Ho letto parecchie cartelle di un accurato studio, non ancora stampato, di Angelo Gambasin. M’hanno fatto impressione: sinodi, lettere pastorali della seconda metà dell’800 si pronunciano — eccetto rare eccezioni — su socialismo, sciopero, diritto associativo degli operai e materia sociale in genere, in senso quasi sempre negativo. Evidentemente il clero di allora non sembra avere riconosciuto i « segni dei tempi ». Conosceva la società di prima; temeva i cambiamenti; riteneva le « novità » una « tempesta » di passaggio: non s’è accorto che la marcia delle classi popolari era sostanzialmente giusta e storicamente inarrestabile, che alla testa dei lavoratori c’erano organizzatori capacissimi e trascinatori di folle; che dalle università civili uscivano idee e libri destinati a trasformare le istituzioni. Per non cadere nello stesso errore dobbiamo studiare e metterci al passo con la società in cammino. Non si deve tradire nulla, naturalmente; non si consegna il cristianesimo alla scienza (e tanto meno allo scientismo), ma si cerca di guadagnare il tempo perduto e di acquisire alla religione tutti gli elementi buoni della moderna civiltà. C’è da aggiungere che senza lo studio viene compromesso il buon successo ed il serio esercizio della stessa proclamazione della parola di Dio. Quanto scrive il Card. Ler- caro, in proposito, è un po’ forte, ma ai miei sacerdoti può forse giovare di conoscerlo.
Scrive dunque Lercaro:
...per comunicare agli uomini la parola di Dio in una maniera meno inadeguata, questa consuetudine con lo studio è assolutamente necessaria... chi non ha studiato dice delle sciocchezze, spesso delle villanie, fa della polemica fuori posto, apostrofa la gente in una maniera indegna di chi è incaricato di portare il messaggio del Vangelo al mondo; questa è la realtà. Ho più di 50 anni di messa; prima di essere vescovo ne ho sentite di prediche e avevo un sacco di predicazioni in parrocchia, un sacco di novene, la quaresima quotidiana, il mese mariano quotidiano; ho dovuto richiamare più di una volta il predicatore e dirgli: queste sono sciocchezze e non le deve dire, non le può dire sul pulpito e se lei vuol continuare così se ne vada, le pago quello che ha fatto e se ne vada e li andavo a cercare in capo al mondo, con raccomandazione di predicatori di alto grido; perché così non andava. Si declassa il nostro compito di evangelizzatori; gente che intende l’omelia come una diatriba con il popolo, gente che nell’omelia sfoga i suoi crucci, i suoi rancori personali, i suoi litigi, le sue passioni, le sue preferenze, politiche o non politiche, amministrative, non amministrative; è gente che non studia quella;... bisognerebbe ri-sottoporla agli esami, quindici giorni di esami su tutta la teologia, ma con criteri severissimi, e poi fare come diceva il pontificale antico: grattargli Funzione col vetro. Non c'è altra parola di salvezza per il mondo che il vangelo, e tu che ne sei l’annunciatore, che hai ricevuto il mandato di comunicare la parola di salvezza a questo popolo, tu fai questo? ma se hai dei rancori, delle ire, dei litigi, va a sfogarti con la tua serva; non è la chiesa il luogo dove si deve fare. Ma perché avviene questo? perché non sanno cosa dire, perché nell'anima non hanno la dottrina, non hanno la meditazione della parola di Dio, rimuginano queste loro miserie, piccole miserie di piccole viti e naturalmente vengono fuori: la botte dà il vino che ha» (46 c).
10. - Anche per i non più giovani esiste il problema di una scienza teologica « vitale e attuale ». A ben pochi di essi piace studiare per studiare. Sono, lo sappiamo, eccezione gli uomini che possono dire con Hello: Dieu ne m’a pas crée pour agir, mais pour penser. I più direbbero invece con il Faust di Goethe: Im Anfang war die Tat (Nel principio era l’azione). Non rifiutano di studiare, lo fanno anzi con gusto, a patto che il loro studio sbocchi in un risultato pratico immediato. Trovare questo risultato pratico ed assegnarlo o segnalarlo, mi pare importante. Sacerdoti, che conosco, si sono sobbarcati a giorni e giorni di studio intenso per tradurre libri dal tedesco, dal francese, dal latino per le edizioni paoline o per altre editrici. Altri hanno preparato una serie di lezioni accuratissime e brillanti per la « Scuola dei Laici » diocesana, evidentemente con studio approfondito e lungo. Altri ancora hanno frequentato Corsi per predicatori di esercizi, continuando a coltivarsi con libri e riviste di ascetica in vista di questa predicazione specializzata. Insegnanti di Religione nelle Scuole Medie, specie Superiori, presi da senso di lodevole responsabilità, si danno allo studio con un impegno che certo non avrebbero, se non fossero stati destinati all’insegnamento. La redazione regolare di un periodico parrocchiale, impostato con criteri di pastorale aggiornata, ha pure incitato ed impegnato, in più casi, allo studio.
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(46 c) Ibidem, pp. 164-165.