Lettura del Giorno

Perché i sacerdoti studino [Cap. 2 - 9-10]

S_E-luciani
Albino Luciani

L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul perché i sacerdoti studino.

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9. - Ancora una difficoltà, che proviene talora dai sacerdoti stessi: la mancanza di metodo. Qualcuno asserisce che, ormai, il vero studio s’ha da fare in équipe; altri chiede se è preferibile frequentare un Corso oppure leggere un libro; altri si dà pazzamente a letture indiscriminate.

Tutto è buono: e la lettura e la presenza ai Corsi e il lavoro di gruppo; però, ogni cosa a suo tempo, con i suoi limiti e senza precon­cette esclusioni. Chi ha detto, ad esempio, che le « lezioni di una volta » condannassero gli alunni a pura e passiva « recettività »? Scolari, che fossero a guisa di scodelle spalancate a ricevere il « fagiolame », che il maestro vi versava, dimenando a tutto spiano il mestolo della sua erudizione, non sono esistiti mai. Dante, Leonardo, Galileo, non so­no stati in scuole che tenevano gli alunni « a sedere » perpetuamente.

S.  Tommaso mostra, viceversa, di volere gli alunni ben « in piedi », quando dice: Il maestro « muove » ossia stimola il discepolo, e il di­scepolo, solo se risponde a questo stimolo, arriva ad un qualche reale apprendimento (45 a)!

Ma prendiamo il « lavoro a gruppo » così di moda! Utile, specialmente se il gruppo, è di poche persone e diretto da gente capace e competente: infatti il « lavoro in gruppo » stimola il sacerdote ad es­sere « attivo » oltre che « recettivo » e ad essere sé stesso nello stesso imparare; lo obbliga ed abitua non solo a manifestare il pensiero, ma un pensiero che, « rimasticato », diventa originale; permette uno scam­bio di esperienze e quindi arricchisce gli uni e gli altri; favorisce la lealtà negli scambi, l’attenzione verso gli altri. Tutto questo, però, ad un patto: che al gruppo si vada dopo essersi preparati con studio per­sonale o leggendo. Per alcune discipline, specie se il tempo a disposi­zione è scarso, basta la lettura attenta o lo studio personale. Per altre, il gruppo di lavoro o la lezione di un esperto può essere necessaria o molto utile. Lo dirà per volta il buon senso o, magari, il « presbitero di provata scienza e virtù », di cui sopra (pag. 305).

10. - Averlo, questo presbitero, in Diocesi, e veramente preparato, disponibile, paziente, sarebbe la gran cosa sia per il Vescovo che per la cultura dei sacerdoti. Egli dovrebbe intuire i bisogni e le esigenze del clero in fatto di teologia e di pastorale; dovrebbe adattarvi, con pazienza e colla collaborazione di altri, i programmi, invitare i maestri, scelti tra cento, accettando ciò che di valido c’è nei moderni senza per­mettere la mania del nuovo per il nuovo, vigilando a che la Teologia non venga in balìa di tutte le « ipotesi di lavoro », delle illusioni « scien­tifiche », che spuntano un po’ dappertutto, del fascino — spesso falla­ce — dei grandi nomi. Egli dovrebbe essere presente alle lezioni, alle discussioni dei « gruppi di lavoro » o almeno alle sintesi che le riassu­mono; soprattutto, dovrebbe avere il prestigio della santità e della cul­tura, in modo da essere scelto fiduciosamente come consigliere per le riviste cui abbonarsi, per i libri da acquistare o da consultare, per le letture da fare.

Forse quanto sto scrivendo è un sogno, ma questi sarebbe l’uomo adatto ad educare e avviare i preti alla « bella biblioteca » personale e parrocchiale, della quale ci parlava a Costabissara S.E. Mgr. Santin. E’ un fatto che, se i libri ci sono, ben scelti, a portata di mano, la spinta buona e la sollecitazione a leggere è continua. D’Argenson, ministro di Luigi XV, a Bignon, appena nominato bibliotecario del Re, fece questo complimento: « Ecco una bella occasione per imparare a leggere! ». Scherzava, ma i libri sono davvero « una bella occasione »!

« Ben scelti » ho detto. Il sullodato presbitero insegnerà anche a diffidare della pubblicità e di certe recensioni. Dobbiamo essere alla ma­no colla povera gente, ma, quanto a pensiero e ad autori, meglio « fre­quentare solo l’aristocrazia ».

E saper trattare coi libri come con la gente. Non ci si comporta col papà allo stesso modo che una persona incontrata casualmente: Leggiamo per formarci? Si tratta di autori sicuri, che insegnano cose a noi sconosciute o da noi dimenticate? Ci si affida, ci si immerge nel libro, si impone la « docilitas ». « Da magistrum » diceva s. Cipriano quando chiedeva al domestico i libri di Tertulliano. Così noi: sentirci discepoli, leggere e meditare con rispetto: non essere il proto, che legge solo per trovare errori di stampa né diventare la comare della teologia, che raccoglie notiziole e rileva difetti solo per andar poi pettegolando e criticando di porta in porta.

Abbiamo, invece, solo bisogno di informarci? di completare cioè o di confrontare idee, che già saldamente possediamo? Meglio essere sbri­gativi, non immergerci nel libro, ma solo attingere da esso.

In ogni caso, però, bisogna reagire attivamente alla lettura, ripen­sando per conto nostro e facendo nostro ciò che si è letto. Aristippo a uno, che si vantava di aver divorato una quantità di libri, rispose: « Non quelli che mangiano di più sono i più sani, ma quelli che digeriscono meglio ». Giusto: non basta inghiottire, bisogna digerire e poi assimilare quello che si è letto, in modo che, se poi si parla o si scrive, sia pen­siero originale, veramente nostro. Perfino citando possiamo essere ori­ginali, perché c’è modo e modo, brio e non brio, anche nel riportare gli altri.

Sennonché l’Ecclesiae Sanctae (46a) parla di «uno o diversi pre­sbiteri ». Il campo degli studi ecclesiastici è vasto: un presbitero solo difficilmente può essere « omnis Minervae homo », competente e spe­cializzato in tutte le discipline. Se i sacerdoti poi sono numerosi e dav­vero desiderano — in buon numero — approfittare dei lumi degli esperti per fruire di una vera guida, sia occasionale che abituale, è evi­dente che un solo « prefetto degli studi » non basta. Questa è una prima osservazione. Ce n’è un’altra sulla « bella biblioteca ». Anche in questa materia « l’argent fait la guerre ». Occorrono molti denari per i libri e le riviste; anche se ci si limita agli strumenti di lavoro indispensabili (dizionari, riviste, libri validi, scelti con oculatezza) pochi sacerdoti possono avere una biblioteca a propria disposizione. Ideale secondo il Card. Lercaro, sarebbe « la biblioteca vicariale, che contribuirebbe an­che all'affiatamento della comunità vicariale» (46b).

Nella mia piccola diocesi, data la grande facilità dei mezzi di co­municazione e considerato che la direzione degli studi del clero è in mano ai professori del Seminario, mi accontenterei che fosse funzio­nante e frequentata dai sacerdoti la Biblioteca del Seminario aperta al pubblico quasi tutti i giorni.

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(45 a) Si Veda tra l’altro, la Summa Theol. pars 1, q. 117, a. 1 ad 3: «magister... movet discipulum per suam doctrinam ad hoc quod ipse per virtutem sui intellectus formet intellegibiles conceptiònes, quarum signa sibi proponit exterius ».

(46) Ibidem, p. 198.

(46 a) E S, 7 (2215).

(46 b) Card. G. LERCARO, l.c., p. 159.