L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul perché i sacerdoti studino.
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9. - Ancora una difficoltà, che proviene talora dai sacerdoti stessi: la mancanza di metodo. Qualcuno asserisce che, ormai, il vero studio s’ha da fare in équipe; altri chiede se è preferibile frequentare un Corso oppure leggere un libro; altri si dà pazzamente a letture indiscriminate.
Tutto è buono: e la lettura e la presenza ai Corsi e il lavoro di gruppo; però, ogni cosa a suo tempo, con i suoi limiti e senza preconcette esclusioni. Chi ha detto, ad esempio, che le « lezioni di una volta » condannassero gli alunni a pura e passiva « recettività »? Scolari, che fossero a guisa di scodelle spalancate a ricevere il « fagiolame », che il maestro vi versava, dimenando a tutto spiano il mestolo della sua erudizione, non sono esistiti mai. Dante, Leonardo, Galileo, non sono stati in scuole che tenevano gli alunni « a sedere » perpetuamente.
S. Tommaso mostra, viceversa, di volere gli alunni ben « in piedi », quando dice: Il maestro « muove » ossia stimola il discepolo, e il discepolo, solo se risponde a questo stimolo, arriva ad un qualche reale apprendimento (45 a)!
Ma prendiamo il « lavoro a gruppo » così di moda! Utile, specialmente se il gruppo, è di poche persone e diretto da gente capace e competente: infatti il « lavoro in gruppo » stimola il sacerdote ad essere « attivo » oltre che « recettivo » e ad essere sé stesso nello stesso imparare; lo obbliga ed abitua non solo a manifestare il pensiero, ma un pensiero che, « rimasticato », diventa originale; permette uno scambio di esperienze e quindi arricchisce gli uni e gli altri; favorisce la lealtà negli scambi, l’attenzione verso gli altri. Tutto questo, però, ad un patto: che al gruppo si vada dopo essersi preparati con studio personale o leggendo. Per alcune discipline, specie se il tempo a disposizione è scarso, basta la lettura attenta o lo studio personale. Per altre, il gruppo di lavoro o la lezione di un esperto può essere necessaria o molto utile. Lo dirà per volta il buon senso o, magari, il « presbitero di provata scienza e virtù », di cui sopra (pag. 305).
10. - Averlo, questo presbitero, in Diocesi, e veramente preparato, disponibile, paziente, sarebbe la gran cosa sia per il Vescovo che per la cultura dei sacerdoti. Egli dovrebbe intuire i bisogni e le esigenze del clero in fatto di teologia e di pastorale; dovrebbe adattarvi, con pazienza e colla collaborazione di altri, i programmi, invitare i maestri, scelti tra cento, accettando ciò che di valido c’è nei moderni senza permettere la mania del nuovo per il nuovo, vigilando a che la Teologia non venga in balìa di tutte le « ipotesi di lavoro », delle illusioni « scientifiche », che spuntano un po’ dappertutto, del fascino — spesso fallace — dei grandi nomi. Egli dovrebbe essere presente alle lezioni, alle discussioni dei « gruppi di lavoro » o almeno alle sintesi che le riassumono; soprattutto, dovrebbe avere il prestigio della santità e della cultura, in modo da essere scelto fiduciosamente come consigliere per le riviste cui abbonarsi, per i libri da acquistare o da consultare, per le letture da fare.
Forse quanto sto scrivendo è un sogno, ma questi sarebbe l’uomo adatto ad educare e avviare i preti alla « bella biblioteca » personale e parrocchiale, della quale ci parlava a Costabissara S.E. Mgr. Santin. E’ un fatto che, se i libri ci sono, ben scelti, a portata di mano, la spinta buona e la sollecitazione a leggere è continua. D’Argenson, ministro di Luigi XV, a Bignon, appena nominato bibliotecario del Re, fece questo complimento: « Ecco una bella occasione per imparare a leggere! ». Scherzava, ma i libri sono davvero « una bella occasione »!
« Ben scelti » ho detto. Il sullodato presbitero insegnerà anche a diffidare della pubblicità e di certe recensioni. Dobbiamo essere alla mano colla povera gente, ma, quanto a pensiero e ad autori, meglio « frequentare solo l’aristocrazia ».
E saper trattare coi libri come con la gente. Non ci si comporta col papà allo stesso modo che una persona incontrata casualmente: Leggiamo per formarci? Si tratta di autori sicuri, che insegnano cose a noi sconosciute o da noi dimenticate? Ci si affida, ci si immerge nel libro, si impone la « docilitas ». « Da magistrum » diceva s. Cipriano quando chiedeva al domestico i libri di Tertulliano. Così noi: sentirci discepoli, leggere e meditare con rispetto: non essere il proto, che legge solo per trovare errori di stampa né diventare la comare della teologia, che raccoglie notiziole e rileva difetti solo per andar poi pettegolando e criticando di porta in porta.
Abbiamo, invece, solo bisogno di informarci? di completare cioè o di confrontare idee, che già saldamente possediamo? Meglio essere sbrigativi, non immergerci nel libro, ma solo attingere da esso.
In ogni caso, però, bisogna reagire attivamente alla lettura, ripensando per conto nostro e facendo nostro ciò che si è letto. Aristippo a uno, che si vantava di aver divorato una quantità di libri, rispose: « Non quelli che mangiano di più sono i più sani, ma quelli che digeriscono meglio ». Giusto: non basta inghiottire, bisogna digerire e poi assimilare quello che si è letto, in modo che, se poi si parla o si scrive, sia pensiero originale, veramente nostro. Perfino citando possiamo essere originali, perché c’è modo e modo, brio e non brio, anche nel riportare gli altri.
Sennonché l’Ecclesiae Sanctae (46a) parla di «uno o diversi presbiteri ». Il campo degli studi ecclesiastici è vasto: un presbitero solo difficilmente può essere « omnis Minervae homo », competente e specializzato in tutte le discipline. Se i sacerdoti poi sono numerosi e davvero desiderano — in buon numero — approfittare dei lumi degli esperti per fruire di una vera guida, sia occasionale che abituale, è evidente che un solo « prefetto degli studi » non basta. Questa è una prima osservazione. Ce n’è un’altra sulla « bella biblioteca ». Anche in questa materia « l’argent fait la guerre ». Occorrono molti denari per i libri e le riviste; anche se ci si limita agli strumenti di lavoro indispensabili (dizionari, riviste, libri validi, scelti con oculatezza) pochi sacerdoti possono avere una biblioteca a propria disposizione. Ideale secondo il Card. Lercaro, sarebbe « la biblioteca vicariale, che contribuirebbe anche all'affiatamento della comunità vicariale» (46b).
Nella mia piccola diocesi, data la grande facilità dei mezzi di comunicazione e considerato che la direzione degli studi del clero è in mano ai professori del Seminario, mi accontenterei che fosse funzionante e frequentata dai sacerdoti la Biblioteca del Seminario aperta al pubblico quasi tutti i giorni.
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(45 a) Si Veda tra l’altro, la Summa Theol. pars 1, q. 117, a. 1 ad 3: «magister... movet discipulum per suam doctrinam ad hoc quod ipse per virtutem sui intellectus formet intellegibiles conceptiònes, quarum signa sibi proponit exterius ».
(46) Ibidem, p. 198.
(46 a) E S, 7 (2215).
(46 b) Card. G. LERCARO, l.c., p. 159.