L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul perché i sacerdoti studino.
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7. - Ma come fare in pratica? I giovani sacerdoti vivono un po’ il dramma di Jungmann: in una recente inchiesta {Settimana del Clero, 10 settembre 1967, p. 1 e 7) sono state date 519 risposte alla domanda su quale disciplina i sacerdoti (qui, giovani e vecchi) desiderano specialmente essere « aggiornati »: 390 (75,5% ) hanno segnato liturgia; 377 (73%) bibbia; 321 (62,2%) morale; 203 (39%) ascetica. Altre discipline teologiche vengono, nelle risposte, a molta distanza; il dogma tiene l'ultimo posto.
Credo di indovinare il motivo delle preferenze: la liturgia viene sempre più usata come fonte genuina della fede e mezzo intuitivo ed efficace di formazione ed educazione dei fedeli. La bibbia, oltre che fonte primaria della rivelazione affidata alla Chiesa, è considerata, col Concilio, anima di tutta la Teologia e strumento, specialmente per i più anziani, in gran parte da riscoprire e da meglio utilizzare. La morale è vista sempre meno come « scientia liciti et illiciti » organizzata soprattutto in vista del confessionale; la si vuole proposta in modo nuovo (intendiamoci: nuovo il modo di proporre, non la morale proposta) in vista della predicazione nei suoi aspetti essenziali e positivi (« Siamo figli di Dio, siamo tutti chiamati alla santità, desideriamo conoscere la scienza e l’arte di imitare Cristo! »). Non si insista — si chiede — soltanto sul: « fare questo è peccato mortale! », sul: « fin qui è peccato veniale, più in là è mortale! ». Ma si premetta: « Sentite cosa dice s. Paolo, quali ideali ci propone il Signore! e il Concilio! ». Insomma: una morale che non sia un complesso di catene, ma un paio di ali!
Significativa, in proposito, la vicinanza, nella sovracitata graduatoria, della morale con l’ascetica. Ma alcuni vanno più in là: vorrebbero tolta anche la separazione tra morale e dogma per ritornare all’unità della teologia come in S. Tommaso.
Sono aspirazioni, mi pare, da assecondare e favorire, suggerendo lo studio di opere, in cui il dogma è esposto prevalentemente con il sistema dei « temi biblici » e della « storia della salvezza ». Esempi: Il Creatore dei PP. Alszeghy-Flick (Firenze, 1962), Il Vangelo della Grazia degli stessi (Firenze, 1964); i quaderni (ora tradotti anche in italiano) di AA.VV. nella collezione intitolata Le Mystère chrétien (Ed. Desclée); i volumi in collaborazione di Mysterium salutis (Ed. Benziger) ora tradotti dal tedesco in italiano dalla Queriniana.
Per lo studio appaiato del dogma e della Scrittura sembrano utili e da consigliare alcuni recenti Dizionari biblici: del Bauer (Morcelliana), del Léon-Dufour (Marietti), del Dheilly (Desclée, 1964). Quest’ultimo non è, ch’io sappia, ancora tradotto: di carattere divulgativo e chiaro, insieme ai « temi dottrinali biblici », raccoglie anche voci sui personaggi e sulle istituzioni, sulla storia, la geografia e l’archeologia biblica; di facile e piacevole consultazione, ha spesso anche buoni spunti per la spiritualità. Sta per essere tradotto in italiano dalI’AVE il Vocabulaire biblique (3a edizione, Neuchâtel, 1964) diretto da Von Allmen, opera protestante, di alta qualità, da leggersi però con qualche riserva in alcune voci.
Per la Liturgia è ancora valido II Senso Teologico della Liturgia di Vagaggini (Ed. Paoline), come pure qualcuno tra i molti commenti alla Costituzione Conciliare « Sacrosanctum Concilium », ad esempio quello diretto da G. Barauna (Ed. Elle Di Ci).
Trattato di « morale per la predicazione » era chiamato vent’anni fa II Maestro chiama del Tillman (42). La Legge di Cristo di Haering (43), ancora migliore, tenta di presentare sia l’ideale perfetto della vita in Cristo e con Cristo sia la legge in quanto limite cioè linea di confine, la cui trasgressione mette in pericolo l’imitazione di Cristo. E tutto ciò in modo che risaltino, coi peccati, anche le virtù nel loro esercizio faticoso e gioioso; e il carattere dinamico della moralità appaia mescolato alle imperfezioni del cristiano viatore.
8. - Altre difficoltà possono venire dall’interno. — Abbiamo poco tempo! mi dicono spesso. Ed io rispondo: — Forse è proprio meglio aver poco tempo. Così vi sforzate di supplire alla durata con l’intensità; così conoscete meglio il valore del tempo e cercate di non perderlo in cose inutili o futili e di ordinarlo accuratamente. « Il tempo è come una valigia: se voi vi mettere le cose alla rinfusa non ci sta niente o ci sta poco, ma se voi vi aggiustate bene tutte le cose, ben piegate, bene assottigliate tutte, e riempite, nella valigia ci sta un guardaroba. La giornata è una valigia, si tratta di mettere le cose per benino, ce ne stanno molte di cose... in questa valigia di ventiquattro ore » (43 a). Col tempo contato, vi potrà anche accadere di rifugiarvi con slancio nei pochi spazi che il ministero vi concede, se lo studio è diventato la cosa da voi scelta e amata. Accadeva a Luigi Barthou, uomo politico francese (1862-1934), che, tornando da qualche tempestosa seduta parlamentare, si chiudeva in biblioteca a leggere, giustificandosi col dire: Si vis pacem, para librum! Accade a molti altri. Ma non può accadere, naturalmente, se non s’è preso gusto allo studio. La settima « regola » Bernardiana si chiama « dilettazione » e viene offerta agli studenti con un esempio calzante: « Senza esser ito a Parigi a studiare, impara dall’animale (il bue) che ha l’ugne fesse, che prima mangia e insacca, e poi rùguma, rùguma, a poco a poco » (44).
Ruguma significa rumina, ma per Bernardino vuol dire qualche cosa di più: il bue va assaporandosi il fieno piano piano, quanto è saporoso e godibile, e fino in fondo. La saporosità dello studio e la godibilità delle cose lette! Nei primi momenti esse non esistono, causa la innata pigrizia da superare, la materia difficile, le occupazioni piacevoli che ci attirano di più; sopravvengono più tardi, quasi premio per lo sforzo fatto e conseguenza del « ruminare ».
Ma, in vista del ben usare il tempo, Bernardino offre anche il consiglio della « quietazione ». « L’anima nostra — dice — è fatta come l’acqua. Quando sta quieta la mente, è come un’acqua quieta; ma quando è commossa, per alcun impedimento, s’intorbida. E’ bisogno, se vuoi attendere allo studio, che si riposi e si quieti » (45). Se lo dicesse oggi ai giovani sacerdoti non troverebbe, temo, facile udienza. Tanto sono bombardati dai mezzi audiovisivi, tanto sono presi da un mucchio di cose spicciole da fare! Eppure son sicuro che il buon santo insisterebbe. Il muro delle cose importanti deve alzarsi come barriera tra il sacerdote e le cose futili e disturbatrici. Se non c’è, almeno ogni tanto, la « cella interiore » o la esteriore (quella che, « continuata, dulcescit »), se manca l’abitudine al silenzio, alla riflessione calma né lo studio può essere gustato né il tempo utilizzato. La quiete è pertanto da chiedere al Signore come un dono e s. Bernardino offre perfino la opportuna giaculatoria: « Quietaci, Messer Domeneddio, la nostra mente »! (46).
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(42) F. TILLMANN, Il Maestro chiama, Morcelliana, 1945.
(43) B. HAERING, La Legge di Cristo, 3 voli., Morcelliana, 1958.
(43 a) Card. G. LERCARO, L’Eucarestia nelle nostre mani, Dehoniane, Bologna, 1967, pp. 155-156.
(44) S. BERNARDINO DA SIENA, Le Prediche volgari inedite, Cantagalli, Siena, 1935, p. 203.
(45) Ibidem, p. 198.
(45 a) Si Veda tra l’altro, la Summa Theol. pars 1, q. 117, a. 1 ad 3: «magister... movet discipulum per suam doctrinam ad hoc quod ipse per virtutem sui intel- lectus formet intellegibiles conceptiònes, quarum signa sibi proponit exterius ».
(46) Ibidem, p. 198.